La resistibile ascesa di una radicale comune

CASTELLINA LUCIANA

EMMA BONINO

La resistibile ascesa di una radicale comune

LUCIANA CASTELLINA

L a cosa più giusta l'ha detta di sé Emma Bonino stessa - e non senza qualche ironia - quando, dopo le elezioni europee, ad una povera giornalista che, rieccheggiando i colti commenti dei politologhi, voleva conferma che il suo successo era dovuto al fatto che era "nuova", ha rispostso: "Nuova io? Non scherziamo, sono 25 anni che calco i parlamenti". L'interpretazione più spiritosa viene invece da Curzio Maltese che l'ha definita come la filiale incaricata della linea giovane della ditta Berlusconi, lui il target adulto, lei - come da Armani - quello dei teenagers e delle donne. Insomma: "una berlusconide in jeens", stesso messaggio virtuale di spot televisivi, gentilmente offerti dalla casa madre.

Più interessante del 9% della lista Bonino è capire tuttavia perché a votarla sia stata anche tanta gente di sinistra, inclusi amici cari. Cerchiamo di analizzare.

La prima ragione è che Emma è simpatica. Voglio dire simpatica e assai vicina a noi di sinistra nelle sue attitudini comportamentali. Se non si guardasse al contenuto delle cose che dice, ma solo al modo in cui le dice e le argomenta, tutti la prenderebbero per una "compagna".

Seconda ragione. Rispetto agli altri commissari europei uscenti, non c'è paragone possibile: tutti sono diplomatici, abbottonati, per non incorrere in infortuni leggono in aula i testi preparati dai loro apparati, senza neppure alterare il tono della voce nel timore di esporsi. Lei no, parla a braccio, esagera come è necessario per esser convincenti, si rivolge direttamente agli interlocutori che ha in faccia, non ai resocontisti parlamentari. L'ha imparato dalla politica, non dall'antipolitica; e con grande capacità usa tutti gli ingredienti del mestiere, della "politique-politicienne" ( come dice sempre il suo padre spirituale Pannella), contro il grigiore funzionariale dei politici da palazzo.

Terza ragione. La storia dei radicali, che a lungo sono stati assegnati allo schieramento di sinistra e cui - a torto o a ragione - viene attribuito il merito di aver introdotto in Italia il divorzio e l'aborto. E' vero, un ruolo indubbio negli anni '60 e '70 i radicali l'hanno svolto nello svecchiare l'opinione pubblica su questi temi. E però dubito che l'elettorato di sinistra si ricordi veramente come sono davvero andate le cose. Per tante ragioni coi radicali sono stata per più di quarant'anni a contatto di gomito e posso quindi offrire qualche ricordo.

Gli esordi

Conobbi Pannella nel 1948, alla facoltà di legge di Roma: lui era candidato all'Interfacoltà (il parlamentino universitario) per la lista "Il Ciuccio" (già allora inventivo nelle sigle elettorali, così aveva chiamato una variante estemporanea dell'Unione goliardica di cui poi fu, per un decennio, il leader indiscusso), io del Cudi, l'organismo che allora ancora riuniva comunisti e socialisti. Da allora non ci siamo più persi di vista, lui impegnato sui diritti civili, io - alla sezione femminile del Pci - su quelli delle donne, che potevano sembrare gli stessi. Nel '76, poi, ambedue in Parlamento, i nostri rispettivi gruppi così minuscoli (radicali 4 deputati, Pdup-Dp 6) che l'amministrazione della Camera, disorientata da questi anomali ingressi, scovò un locale quasi in soffitta che divise in due dandone metà a ciascuno. E' lì che ho conosciuto meglio la più giovane Bonino, e poi sempre meglio, visto che assieme ai radicali sono di lì a poco sbarcata a Bruxelles, qui - per 5 anni - persino nello stesso gruppo. Solo che dopo la prima legislatura noi tutti, un misto di listine di sinistra europea, ci ribellammo e rifiutammo di ripetere l'esperienza di una formazione comune, tanto divergenti erano risultate le nostre posizioni e, soprattutto, i nostri metodi di lavoro. Tant'è che il nutrito drappello dei verdi tedeschi, proprio allora entrato nel Parlamento europeo, fu facilmente convinto che, sebbene allora i radicali passassero per il partito ecologico italiano, con loro non si poteva stare, che c'erano ben più affinità col Pdup nonostante la sua arcaica denominazione "proletaria". E da quella separazione del 1984 con la sinistra-verde europea né Pannella né Bonino ebbero più a che fare.

Separazioni

Le scelte divennero anzi sempre più opposte per via di quella paradossale estremizzazione dei diritti individuali, di quell'idea tutta formale della democrazia e di quell'ossessivo anticomunismo che ha poi portato Emma ad invocare, per prima e con più passione di chiunque altro, i bombardamenti Nato sulla Serbia, ma che già agli inizi degli anni '80 li schierò contro il grande movimento pacifista europeo non allineato in nome dell'installazione dei Pershing e dei Cruise; poi contro l'Olp, fino a manifestare sul piazzale antistante il parlamento di Strasburgo per bloccare l'ingresso di Arafat, invitato per la prima volta dal gruppo socialista; contro l'Anc, rifiutandosi di votare le risoluzioni contro l'apartheid perché non si doveva dare solidarietà al movimento di Mandela (ancora in carcere), in quanto terrorista, come quello palestinese.

Quanto al divorzio e all'aborto, i radicali ebbero certo una funzione di stimolo in una fase in cui il movimento femminista ancora non c'era, il Pci era paralizzato dal timore di una rottura con la Chiesa e di non esser compreso dalla propria base popolare. Ma non posso non ricordare - Adriana Zarri, con la quale partecipammo a tanti dibattiti sul tema lo sa bene - quanto più difficile ci fu far maturare nuove posizioni a livello di massa di fronte alla scatenata campagna anticomunista del Pr e al suo rifiuto di assumere la complessità di cui il tema si caricava per le donne. Quanto all'aborto vorrei correggere l'idea che sembra essersi consolidata nella memoria della gente: non fu un referendum radicale ad introdurlo in Italia, ma una legge del Parlamento, imposta da un movimento delle donne ormai diventato imponente (e cui Emma non partecipò mai). Il referendum fu - come del resto nel caso del divorzio - promosso dal fronte clericale per abolirla. Alla storica battaglia per il No alla cancellazione di una legge certo difettosa ma comunque fra le più avanzate d'Europa i radicali tuttavia non parteciparono, perché avevano presentato un loro referendum volto ad aprire la strada a chissà quale ottimale legislazione abortiva, così seminando confusione e divisione e dunque rischiando di farci perdere una partita che si giocava su un pugno di voti.

Le cose più recenti sono note: Emma candidata nelle liste del Polo nelle politiche del '94 (collegio di Padova), cioè nel momento più duro di uno scontro che aveva come posta in gioco parecchio di più che la vittoria di Berlusconi. Poi, per riconoscenza dell'insperato apporto, nominata commissario europeo dal cavaliere, mandato assolto con la stessa faziosità che aveva portato i radicali a schierarsi contro Arafat o Mandela: deliberatamente ignorando i profughi non amici, a cominciare dai 700.000 serbi di cui il suo dipartimento avrebbe dovuto farsi carico, quali che fossero le colpe del governo di Belgrado.

Non parlo degli attacchi furibondi al sindacato, accusato di essere organizzazione poco meno che fascista perché pretende di agire in nome di diritti collettivi; o del plebiscitarismo divulgato a larghe mani via la ossessiva mania referendaria che distorce, con le sue semplificazioni, la politica e atomizza la società. Sono aspetti più noti della cultura e della pratica radicale. Tutti legittimi, naturalmente. Resta l'interrogativo del perché tanta gente di sinistra abbia votato per la lista Bonino e perché questo voto venga assunto come domanda di novità. Insinuo il sospetto che dipenda dalla sinistra stessa, ormai disabituata a parlare di politica in termini di contenuti.

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