L'arena del jazz nero

LORRAI MARCELLO

FESTIVAL VERONA

L'arena del jazz nero

3 giorni di grande musica con Hill, Coleman e Jarreth

- MARCELLO LORRAI - VERONA

S e si dà uno sguardo allo sterminato panorama italiano delle rassegne estive intitolate al jazz, salta all'occhio, fra le tante malattie da cui è affetto, l'azzeramento quasi completo del jazz nero americano, e soprattutto dei suoi indirizzi contemporanei e di ricerca. Quello della neutralizzazione quasi totale nei cartelloni dei nostri festival dell'esperienza jazzistica nero americana e delle sue punte più innovative è una responsabilità che certamente Verona Jazz, abitualmente la rassegna che apre la stagione, è fra i pochi a non dover condividere.

Con una continuità sviluppata nell'arco di ormai tre lustri, Verona Jazz ha privilegiato le avanguardie nere e il recupero della tradizione nella quale le loro proposte estetiche affondano le radici. Davanti all'esclusione del jazz europeo, non è mancato chi ha storto il naso. Ma oggi, di fronte allo sgretolamento o alla semplice assenza di identità della maggior parte delle rassegne, la coerenza di Verona Jazz risulta particolarmente preziosa. Verona Jazz ha quest'anno modificato fisionomia, passando dalla classica soluzione del festival concentrato su tre giorni, a quella del ciclo, che già in maggio aveva proposto un paio di appuntamenti. Uno, particolarmente meritorio di menzione, con un inedito ensemble, composto in maggioranza di ance, guidato da Anthony Braxton, musicista di grande levatura di cui, dopo l'epoca ormai lontana in cui il sassofonista e compositore chicagoano era stato di moda, ci si è abbondantemente dimenticati.

Anche se meno densi che nella formula abituale del festival, Verona Jazz è però riuscita a salvaguardare tre appuntamenti di fila, che si sono snodati fra sabato e lunedì. Giustamente non condizionata dall'obbligo della novità a tutti i costi, Verona ama riproporre con una certa frequenza alcuni musicisti che ritiene particolarmente significativi, cercando di documentare così le diverse sfaccettature e l'evoluzione della loro produzione. E' il caso di un musicista di casa a Verona Jazz come Henry Threadgill, protagonista della prima, e gratuita, delle tre serate. All'alto e al flauto il sassofonista e compositore chicagoano ha guidato un quintetto (Brandon Ross alla chitarra, Bryan Carrot al vibrafono e alla marimba, Stomu Takeishi al basso elettrico e J. T. Lewis alla batteria), che nella lievità, nell'organico e nell'andamento poteva far affiorare il ricordo di certo pop-jazz degli anni settanta. Peccato che, ospitata da una cornice suggestiva come piazza Dante, la musica presumibilmente sofisticata sul piano dei colori e degli accenti del gruppo abbia dovuto però fare pesantemente i conti con l'acustica notoriamente temibile del luogo.

Al Teatro Romano invece la seconda serata, che in prima parte ha presentato un austero, concettoso solo di un altro chicagoano, il pianista Andrew Hill, musicista troppo trascurato in rapporto al suo valore, ma studiato con interesse da alcuni dei più interessanti giovani pianisti di oggi. Secondo set con un altro personaggio familiare agli habitué di Verona Jazz, il sassofonista newyorkese Steve Coleman, che ha presentato "The Council of Balance", uno dei più convincenti fra i suoi numerosi "progetti". Su un inesausto tappeto assicurato dalle percussioni e dal basso elettrico, il sassofonista ha condotto, facendo coi suoi soli al sax alto la parte del leone, un gruppo di fiati completato da due trombe, trombone e sax tenore, con un interessante, coinvolgente lavoro di intrecci e dissonanze; accanto, oltre al pianoforte di Vijay Iyer, una sezione composta da legni, flauto e corno francese, che interveniva solo a tratti, sottolineando, integrando, dando respiro ai brani: assetto e organico singolare, per una musica di spessore, ma anche capace di essere colloquiale. Eccellente esempio di quel legame fra ricerca e tradizione che sta a cuore a Verona Jazz, da ascoltare e riascoltare nelle diverse altre piazze italiane dove Coleman la porterà nelle prossime settimane. Conclusione lunedì all'Arena, con Keith Jarrett, che questa volta non ha deluso i suoi fans e si è regolarmente presentato, in trio con Gary Peacock e Jack De Johnette.

Chi non c'era e vorrà, potrà più avanti ascoltare in un Cd Ecm. Il 15 ottobre, chiusura con Sonny Rollins.

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