LA MALATTIA DEL RICORDO

RUCHAT ANNA

NARRATIVA

LA MALATTIA DEL RICORDO

Alle soglie dei cinquant'anni, l'esordio letterario dello scrittore svizzero Martin Suter con "Com'é piccolo il mondo!", traduzione di Cesare de Marchi

- ANNA RUCHAT -

S chivo e di poche parole, un'aria calma e guardinga, lo scrittore svizzero Martin Suter ha esordito come scrittore alle soglie dei cinquant'anni - prima ha lavorato nella pubblicità - con un romanzo, Small World, che per qualità e spessore rinfranca tutti i quarantenni che pensano di potercela ancora fare, e soprattutto costituisce un monito per la letteratura contemporanea: contiene implicito un elogio della lentezza. Il romanzo - ora tradotto da Feltrinelli con il titolo Com'è piccolo il mondo! - si apre sulla descrizione di un incendio scoppiato accidentalmente a Corfù nella villa dei Koch (una famiglia di ricchissimi industriali le cui sorti sono rette dall'anziana Elvira Senn). L'incendio, apparentemente dovuto al caso, segna in realtà il primo insorgere della malattia del protagonista sessantacinquenne affetto da Alzheimer; nel romanzo si intrecciano, dapprima mollemente e poi con ritmo sempre più serrato, la storia della malattia di Konrad Lang - il protagonista appunto - e quella della sua vuota esistenza ai margini della famiglia Koch il cui intimo segreto si svelerà via via proprio grazie al viaggio nel passato imposto dal morbo.

Ciò che più colpisce, nel romanzo di Suter, è la sua solarità: benché Konrad Lang sia in fondo uno sbandato, un uomo alla deriva, in balìa delle imperscrutabili strategie di un'anziana ma lucidissima donna dell'alta finanza, nonostante l'Alzheimer che colpisce duramente non solo e non tanto lui, ma soprattutto le molte figure femminili (sempre così ben delineate) che gli stanno accanto nelle varie fasi della sua malattia, il romanzo rimane pieno di luce. Tale radiosità è data soprattutto dal modo in cui l'autore ha saputo trasformare la malattia, per tutti i personaggi e per il lettore, in una rivisitazione agile e multiforme delle funzioni della memoria, così che l'Alzheimer non è soltanto un morbo odioso ma anche un'esperienza di maturazione.

"Il mio è un libro sulla memoria maturato meditando l'esperienza della malattia di mio padre, morto appunto di Alzheimer tre anni prima che cominciassi a scriverlo", dice Suter in occasione della presentazione del libro, mercoledì scorso, presso il Centro culturale svizzero di Milano. E si avverte, l'ombra dell'apprensione filiale nella minuziosa osservazione di un protagonista in continuo mutamento, un protagonista che però non involve, ma ritorna lentamente a se stesso. Konrad Lang infatti non appare mai solo come un uomo sofferente, la sofferenza, la perdita sono una componente del processo che comporta anche la divertita riconquista di frammenti alla deriva, di tessere dimenticate. Descritto come il figlio abbandonato della cameriera e amica di Elvira Senn, Anna Lang, cresciuto nell'ambiente asettico e rarefatto dell'alta società (fotografato spietatamente dall'autore) insieme al piccolo Thomas, orfano a sua volta, e figlio invece del primo marito di Elvira, Konrad ritroverà nella malattia il germe di quel "vero signore" che ciascuno poteva riconoscere nel vecchio ubriacone. Di dove gli venga però quel suo rassegnato ma dignitoso incedere nell'ombra, da quali profondità tragga la pacata serenità che caratterizza la sua aria di attesa non è dato sapere né intuire se non con l'evolversi del racconto.

Il "piccolo mondo" di Suter è tutto giocato su una scrittura leggera, anzi lieve - restituita con grande abilità in italiano dal traduttore Cesare de Marchi - una scrittura che affonda le sue radici, come afferma lo stesso Suter, "nella pratica pluriennale con le sceneggiature cinematografiche, il teatro e soprattutto i testi per la pubblicità, che mi hanno insegnato sintesi rapidità e concisione, anche se tutto ciò, allora, era al servizio di un prodotto, mentre qui è al mio servizio". Lo stile di Suter sembra però far perno anche sull'eredità di quello che sempre viene indicato, come uno dei suoi padri spirituali, dei suoi principali modelli, Friedrich Dürrenmatt, dando luogo a una prosa varia e priva di sbavature, spesso brillante, sostenuta dall'ossatura del dialogo al quale si alterna molte volte la narrazione a ritroso, e sempre più spesso col procedere del racconto e della malattia, (ma non tanto da risultare irritante) l'irrompere del passato nel presente a rendere, con grande abilità, il gioco ambiguo e volutamente confuso delle figure che si replicano nella vita del protagonista. Sul piano più dinamico della narrazione interviene poi l'altro modello spesso citato a proposito del romanzo di Suter, Friedrich Glauser, il cui apporto contribuisce a mantenere scarno e svelto l'andamento del racconto, sempre percorso da una sottile, malinconica ironia.

Com'è piccolo il mondo! è dunque un romanzo sulla memoria, come è stato scritto da più parti in Francia dove ha riscosso grande successo, direi di più, la memoria, in questo contesto è intesa come strumento che consente di recuperare o di ristabilire una moralità perduta, la memoria addirittura - e questo colloca di nuovo Suter all'interno della migliore tradizione svizzera, insieme a Dürrenmatt, a Frisch e anche a Ludwig Hohl - va a costituire il baricentro etico dell'esistenza. E' infatti proprio il recupero di ricordi sepolti, la ricostruzione delle numerose tracce cancellate del passato, che consente, in un inspessimento della trama poliziesca sul finale, di ristabilire la Giustizia.

Ma giustizia non significa qui semplificazione, le ultime pagine del romanzo fanno emergere infatti, in un vertiginoso gioco di specchi dove le immagini si sdoppiano e si ricompongono, una realtà ben più complessa di quella descritta all'inizio, al centro della quale si erge con prepotenza la figura di Elvira Senn.

Parrebbe infatti lei, a questo punto, l'effettiva protagonista del romanzo, una donna che con forza chimerica e una determinazione che non sopporta ostacoli ne pervade ogni anfratto: "Era una vecchia signora anche se non lo dimostrava. Nel corso della vita aveva speso un sacco di tempo, energie e denaro per non invecchiare. [...]. Si atteneva scrupolosamente alla sua dieta, nuotava tutti i giorni, si sottoponeva a massaggi, linfodrenaggi, andava due volte all'anno per tre settimane in una clinica di Ischia e cercava di non arrabbiarsi, cosa per lei non sempre facile". Insomma Elvira è l'immagine stessa dell'ideale donna d'affari elvetica, asettica, fredda, ma fisicamente perfetta, sana, equilibrata anche se leggermente tesa, puntuale e non appariscente, una donna che ha saputo sempre vivere nel presente già proiettata verso il futuro e della quale si sospetta che sarebbe sopravvissuta in eterno se il suo passato non fosse riemerso così d'improvviso ribollente e minaccioso dalle profondità insondabili della memoria di Konrad Lang. E non è quell'Elvira, è stato chiesto all'autore, anche metafora della Svizzera stessa, così sana, così perbene, così pulita, il cui passato però è meglio rimanga sepolto negli scantinati degli istituti di credito? Suter ha risposto: "Forse".

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