Kidjo, dance esasperata

LORRAI MARCELLO

MILANO CONCERTI

Kidjo, dance esasperata

Unica data italiana per la cantante del Benin al Rolling Stone

- MARCELLO LORRAI - MILANO

C on Cassandra Wilson si sono scambiate visita nei loro ultimi album: la cantante neroamericana, uno dei personaggi che contano nel firmamento jazzistico di oggi, ha duettato con lei in "Never Know", uno dei brani di "Oremi", ultimo titolo della discografia di Angelique Kidjo, uscito lo scorso anno; mentre la cantante originaria del Benin compare come ospite in "VooDoo Reprise", che chiude "Traveling Miles", il recente album dedicato dalla Wilson alla musica di Davis. Se riesce a figurare accanto ad una primadonna come Cassandra, è segno che Angelique è riuscita a ritagliarsi uno spazio non disprezzabile sulla scena globalizzata del mercato della musica di oggi. Un pezzetto del poco spazio che, passata la moda e le illusioni anni '80 della "nuova musica africana", c'è oggi a disposizione per artisti del continente nero. Del resto in buona misura riservato a vocalist e musicisti che magari nella produzione discografica in circolazione a livello internazionale introducono lingue come il fon (Angelique Kidjo), il lingala (Lokua Kanza), il kirundi (Khadja Nin), il kiswahili (Lokua Kanza e Khadjia Nin), ma che d'altra parte non sono portatori con la loro musica di un'identità marcatamente "altra", ma piuttosto di varianti un po' esotiche, anche se spesso suggestive del mainstream pop-rock.

E' questo anche il caso di Angelique Kidjo, che poi in un ruolo di mediazione fortemente sbilanciato sul gusto internazionale si trova a proprio agio perché fin dall'infanzia nel suo paese natale assieme con i fratelli si è beata di Hendrix, Santana, Rolling Stones, Beatles, Simon e Garfunkel, rhythm'n'blues, e perché dall'83 è installata a Parigi. Ed è con un repertorio molto dance e decisamente commestibile per tutti che Angelique Kidjo è tornata in Italia, accompagnata da una formazione compatta: due coriste, tastiere, basso, batteria e percussioni. Al Rolling Stone di Milano ha trovato ad accoglierla un pubblico abbastanza folto, complice certamente l'inserimento della sua esibizione nel ciclo "Suoni e Visioni", sempre promosso molto efficacemente dalla Provincia, ma anche indicativo della sua buona popolarità. E' passata ormai una decina d'anni da quando, dopo varie esperienze francesi fra cui quella di fusion jazz/Africa del gruppo Pili-Pili diretto dal pianista olandese Jasper Ven't Hof, Angelique Kidjo cominciava a segnalarsi come artista in proprio, |ma dai suoi show parigini di allora non è cambiato poi molto.

Con il suo gran darsi da fare sul palco, Angelique è rimasta un personaggio che fa simpatia, ma a cui nemmeno la maturazione è riuscita a dare quello scatto decisivo di cui si avverte la carenza. L'ultimo album della cantante si propone di essere il primo di una trilogia destinata a raccogliere spunti offerti dalle musiche della diaspora africana d'oltreoceano: le prossime tappe saranno il Brasile, e poi Haiti e Cuba, e intanto si comincia lasciando affiorare vecchi amori. Così il baricentro dello show è inclinato verso la black music, e l'assortimento dei brani va a discapito dei tratti più originali del repertorio consegnato a dischi come "Logozo" ('91), un repertorio che peraltro si è un po' troppo ripetuto negli album successivi e che si è appannato nell'ultimo, dove appunto, come nella Kidjo dal vivo di adesso, si è perso parecchio della freschezza, dell'esuberanza, del vitalismo, del tono sbarazzino che sono stati i suoi punti di forza. Non giova al concerto l'eccessiva insistenza sulla dimensione dance, quando qualche pausa e qualche passaggio lento in più avrebbero giovato al respiro e alla godibilità dello spettacolo.

Ma soprattutto, quando si espone al confronto con la Makeba interpretando "Malaika", o quando affronta a volte con qualche problema di intonazione brani che i dischi ci restituiscono vocalmente più sicuri e brillanti. Angelique appare in qualche modo vittima di meccanismi discografici e manageriali che l'hanno fatta giocare un gioco che se negli album può reggere, dal vivo risulta forse un po' troppo grande per lei.

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