A botta calda - e le improvvise dimissioni di Oskar Lafontaine da ministro, da presidente del partito e persino dal Parlamento, sono davvero una grande botta - si è spinti a dare un giudizio del tutto contraddittorio: che guaio e insieme meno male. Un bel guaio perché si tratta certamente di una grande jattura per il socialismo europeo che perde uno dei pochissimi uomini di governo che avevano osato una politica di sinistra. Meno male perché - diamine - in un mondo in cui la politica non suscita più passioni, uno scontro così frontale sui principi e le concrete scelte che ne derivano dà in qualche modo piacere. Riconcilia con la politica. E non si venga a dire che nel gesto c'è solo il ben noto e riprovevole estremismo caratteriale del personaggio. Lo stesso che in passato l'ha portato ad assumere posizioni assolutamente eterodosse rispetto alla moderata tradizione della Spd: l'uscita dalla Nato, la strenua opposizione ai Pershing, l'opzione ecologista. Tutto quello che ne ha fatto il nipotino preferito di Willy Brandt, che rispetto al suo allievo è tuttavia stato sempre assai più prudente. Le motivazioni della scelta drastica che Lafontaine ha appena compiuto sono tutt'altro che personali o stravaganti, riflettono un nodo drammatico dell'intera sinistra giunta alla prova di governo senza averlo sciolto e perciò sempre esposta alle pressioni degli interessi forti così come di quelli di un corpo sociale che non ha più coesione etico-politica (ieri a Bonn hanno manifestato 35.000 operai dell'industria atomica contro il governo): come conciliare il necessario realismo di chi ha le redini del paese e come non deludere chi tanto a lungo ha atteso un mutamento. Soprattutto sul tema più conturbante: il ritorno della disoccupazione di massa.
Che Lafontaine non abbia fatto parte a nessuno della sua decisione; che non abbia neppure tentato di coinvolgere il partito, dove pure detiene la maggioranza e dove è di gran lunga più popolare di Schröder, è il segno di questo tormento. Mettere in discussione il cancelliere avrebbe significato inevitabilmente metterne a rischio la sopravvivenza. Meglio perciò ritirarsi in silenzio.
Il governo attuale è tuttavia probabile che non sopravviva: non è un mistero per nessuno che il cancelliere non amasse l'alleanza coi verdi che avrebbe volentieri scambiato coi liberali solo che le condizioni gli avessero consentito di riproporre la vecchia coalizione con cui la Spd ha a lungo governato. La cocente sconfitta del partito ecologista nelle elezioni dell'Assia aveva del resto già riaperto questa prospettiva. Ora si fa più concreta.
Il vecchio e tutt'ora grande partito socialdemocratico tedesco non ha saputo o voluto dire nulla. E' rimasto ammutolito, o ne è uscita solo qualche spiegazione psicologica, personale. Del resto con le sue dimissioni, non da questa o quella carica ma dalla politica, da cui ha annunciato il ritiro, Lafontaine non ha lasciato margini ai suoi sostenitori.
A pochi giorni dal congresso del socialismo europeo di Milano, la bomba Lafontaine ha riportato tutti alla verità: il suo gesto esprime un problema generale e di tutti i partiti in questa così mal riuscita prima prova di governo in Europa.
L'euro, intanto, festeggia.