I paladini dei diritti umani

CASTELLINA LUCIANA

ANTIAMERICANISMO

I paladini dei diritti umani

LUCIANA CASTELLINA

S crive Paolo Rumiz su Repubblica di domenica che un "borbottio sommerso" sta percorrendo questa Europa atlantica delle sinistre, alimentando un antiamericanismo nuovo: di destra, conservatore, che si salda con "regionalismi etnici", "piccole patrie", "xenofobia subdola ben mascherata da pietismo umanitario", offrendo "sponde inattese al duce serbo col suo mito del sangue e della terra". Ci sarebbe anche del vero in questa analisi - la globalizzazione certamente produce resistenze e proteste inedite e anche, è vero, talvolta ambigue - se la tesi dell'inviato del quotidiano triestino Il Piccolo non fosse fondata su una mistificazione che davvero supera i già alti livelli raggiunti dalla più parte dei media in occasione di questa guerra.

Dalla sua analisi risulterebbe infatti che, contro questa deriva, sarebbero gli atlantici i paladini della società multietnica, in cui gialli, neri, bianchi, musulmani e cristiani si spostano a loro piacimento e ottengono ovunque uguali diritti. Mentre gli altri, naturalmente anche i pacifisti, trasformando il razzismo in etnocentrismo, concorrono a rilanciare un antistorico nazionalismo e la xenofobia.

A proposito di chi ha alimentato le "piccole patrie", "fondate sul mito del sangue e della terra" vale forse la pena ricapitolare qualche fatto. Chi - Rumiz dovrebbe ricordarlo - se non i governi atlantici, ha sconsideratamente festeggiato lo smembramento della Federazione Jugoslava, ammiccando alla progredita Slovenia per farle intendere che, ove si fosse liberata dei parenti poveri e naturalmente meridionali, avrebbe potuto aspirare all'ingresso nell'esclusivo club dei privilegiati, l'Unione Europea? Chi, se non gli stessi governi, anziché operare per dar vita ad un tavolo collettivo che ridisegnasse, assieme a tutti gli interessati, un nuovo assetto dei Balcani, sia pure di stati indipendenti, ma rispettosi di un accordo in cui si iscrivessero garanzie per ogni minoranza - musulmane, croate, serbe, kosovare, ovunque si trovassero - e solo all'esito di una simile conferenza condizionasse la legittimazione di ciascun nuovo stato, ha invece proceduto al riconoscimento unilaterale, una dopo l'altra, di repubbliche fondate proprio sulla medioevale legge del sangue, a cominciare da quella "dei croati", così disconoscendo il moderno e democratico principio di una cittadinanza fondata sul rapporto col suolo? E, ancora, chi, se non gli stessi governi, ha sollecitato, e poi sostenuto - fu proposta, purtroppo, di Badinter - il disgraziato referendum per l'indipendenza della Bosnia, senza aver ricevuto l'assenso della componente serba del paese (che infatti non partecipò al voto), così violando una norma radicata da secoli (e iscritta nella legge della federazione socialista), secondo cui nulla si doveva e poteva fare se non con il consenso di tutte le nazionalità che vi vivevano? Chi, ancora, se non loro, ha acriticamente appoggiato il leadar musulmano Itzbegovich, ben sapendo che si muoveva sulla base di una impostazione teocratica dello stato, al punto che una parte dei suoi ha finito per rivoltarglisi contro? Non sono state forse proprio queste scelte nefaste a offrire almeno qualche giustificazione al nazionalismo serbo che rivendica il Kosovo in nome di antiche e sacre appartenenze, anch'esso paladino - proprio come il nazionalismo croato - della legge del sangue? Come non rendersi conto della responsabilità grave di una simile politica occidentale che ha finito per portar acqua alla cinica e criminale politica di Milosevich, a saldare attorno a lui il suo popolo, esattamente come sta avvenendo ora con i bombardamenti?Ma non c'è solo questo. Nel mucchio dei nuovi antiamericani che convergono con chi protesta co

ntro la dipendenza dell'Europa dagli Stati uniti ci sarebbero - secondo Rumiz - tutti i persecutori dei "sans papiers", da Le Pen in poi, che coprono il loro razzismo intrecciandosi con la sinistra e adottando il suo più accattivante linguaggio che parla di "diritto alle differenze", che, in parole più prosaiche, vorrebbe dire "ciascuno stia a casa sua". Ma quale sarebbe il moderno modello alternativo offerto dai filo americani, dove sarebbero i meravigliosi governi atlantici pronti ad aprire le porte dei loro paesi alle moderne migrazioni, pronti ad accettare società multietniche sulla loro terra e a dare "papiers" a tutti gli immigrati che li chiedono? A difendere - Rumiz lo sa bene - il loro pieno diritto di cittadinanza nelle regioni dove sono arrivati e vivono non sono forse gli stessi che oggi si schierano contro il preteso intervento umanitario degli F16?

La globalizzazione (e chi ne governa il processo, gli Stati uniti) sta, certo, producendo una nuova protesta, che non è però frutto di un antistorico rigurgito di piccolo patriottismo, ma conseguenza modernissima dell'effettivo sradicamento di identità che essa determina, col rischio di un drammatico impoverimento del mondo: perché ogni anno muoiono sementi, piante e culture, falciate dai prodotti standardizzati delle multinazionali, appiattiti e spersonalizzati dalla legge spietata di una competitività che non tollera il costo delle "differenze". Che tutto questo determini reazioni integraliste, ripiegamenti identitari e iperlocalistici è fatale. Ma se si vuole evitarlo occorre sforzarsi di costruire una contaminazione positiva, arricchente, che può fondarsi solo sul riconoscimento - e non sulla negazione -delle diversità, sul loro rispetto, perciò dando loro modo di aprirsi allo scambio, che la paura di scomparire rende altrimenti impossibile. Opporvi un astratto universalismo in cui nessuno può riconoscersi spinge fatalmente a costruire roccaforti chiuse ed è per questo che non si può accettare supinamente l'espianto dell'immaginario collettivo dei popoli - cui Rumiz tanto irride - lasciando che una "mcdonaldizzazione" globale desertifichi il mondo.

Il peggio, comunque, è negare il diritto all'autodeterminazione culturale (necessaria) esaltando, contemporaneamente, l'autodeterminazione statale. L'idea, cioè, che ad ogni identità debba corrispondere, non solo, che è giusto, una autonomia profonda, ma un vero e proprio stato, fino alla proliferazione senza fine di una miriade di statarelli etnici. Che è esattamente ciò che è stato fatto dai "moderni" atlantici nella ex Jugoslavia, dall'inizio fino all'ultimo capitolo dell'indecente accordo di Rambouillet.

Ho scritto su Rumiz perché il suo non è che l'ennesimo (e forse il più pericoloso) fra i tentativi così clamorosamente operati in occasione di questa guerra: quello di mischiare i princìpi della sinistra con quelli della destra, sicchè sarebbero i conservatori a non voler le bombe perché non gli importa niente dei diritti umani, mentre le vorrebbero i progressisti in nome della tradizione internazionalista. Insomma: le truppe Nato come le brigate garibaldine in Spagna. Così si ignora che il diritto di interferenza, se non legittimato da istituzioni e regole da tutti accettate, diventa solo: ciascuno si fa giustizia da sé e come è noto meglio di tutti se la fanno i più forti.

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