La sfida continua

PESCALI PIERGIORGIO

HONG KONG INTERVISTA AL GOVERNATORE

La sfida continua

La crisi economica presente e le prospettive future del Territorio ad Amministrazione speciale, sempre più vicino alla madrepatria ma ancora distante e diverso dalla Cina

- PIERGIORGIO PESCALI - HONG KONG

T ung Chee-hwa, il Governatore della Zona ad Amministrazione Speciale di Hong Kong, sorride alla moglie Betty Chiu Hung Ping che versa del tè verde cinese fumante nella sua preziosa tazza:"La porcellana Sung è tra le migliori che i cinesi siano mai riusciti a modellare. Perfettamente bianca, esente da difetti di cottura", dice alternando brevi sorsate all'ammirazione estasiata della piccola ciotola. Poi continua: "La porcellana è talmente fine che si può scorgere l'ombra del proprio dito dalla parte opposta, in modo nitido e netto... Così precisa, così perfetta, eppure così fragile. Proprio come Hong Kong, che per 156 anni è stata come questa tazza, schiacciata tra due potenze che si osservavano reciprocamente. Vi sono stati certi periodi in cui tutti credevano che la tazza stesse per frantumarsi. Ma ha resistito".

Forse perché, rompendosi, i cocci potrebbero ferire le dita che comprimono la tazza, gli faccio notare.

Tung ride: "Ha ragione. Troppo pericoloso. E costoso".

Poi, improvvisamente, si alza e dalla libreria del suo studio estrae un album di fotografie: le sue, della sua famiglia, che posano sullo sfondo di una Hong Kong della fine degli anni Quaranta, quando a 10 anni, Tung arrivò da Shanghai assieme ai suoi genitori. Poi quelle di Tung in Inghilterra, dove ha compiuto gli studi, quindi negli Stati uniti, dove ha lavorato. Infine di nuovo la sua Hong Kong, questa volta degli Anni Settanta, che lo accolse per sostituire il padre nella direzione dell'Orient Overseas Container Lines, la compagnia di famiglia.

Qui, l'album si chiude simbolicamente.

"Ora sono ancora dirigente, ma di un'azienda ben più grossa ed impegnativa" conclude indicando i grattacieli dell'ex colonia britannica, di cui dal 1 luglio 1997 è Governatore.

Un'azienda che fatica a conformarsi al resto della Cina.

Hong Kong non deve conformarsi alla Cina, nel senso che ne è economicamente indipendente, pur essendone, dal punto di vista politico, parte integrante. Un paese, due sistemi. E i suoi abitanti debbono essere fieri dell'alto grado di autonomia concesso dal governo centrale.

Alla vigilia del passaggio di Hong Kong alla Cina, prevaleva la visione pessimista sul futuro del territorio. La maggior parte degli analisti pronosticava la soppressione delle libertà di stampa, di religione, di parola nonché il crollo dell'economia. Tutto questo non si è verificato. A cosa pensa siano dovuti questi errori di valutazione?

Purtroppo non si ha una grande conoscenza della Cina e dei meccanismi con cui si muove la sua dirigenza. La Cina di Deng, ieri, e di Jiang Zemin, oggi, ha sempre perseguito una politica molto saggia dal punto di vista economico, tanto è vero che è una delle pochissime nazioni asiatiche a non aver risentito della crisi che imperversa nel continente.

Il discorso è diverso per Hong Kong: con una contrazione economica del 5% nel corso del 1998 ed un livello di disoccupazione tra i più alti negli ultimi 30 anni, le previsioni non sono molto rosee.

La struttura del mercato di Hong Kong, a differenza di quella della Cina, è strettamente legata a quella internazionale. E' vero che la nostra crescita ha subito un ridimensionamento, ma rispetto a ciò che è accaduto in Thailandia, Malesia, Corea del Sud e Indonesia, direi che siamo riusciti a limitare i danni.

Uno degli aspetti che hanno più favorevolmente sorpreso gli osservatori stranieri, è l'assoluta libertà d'espressione e di critica esistente nella regione di Hong Kong. Questo, più che ad un atteggiamento di rispetto del governo centrale degli Accordi di Pechino, mi fa piuttosto pensare ad un attento esame del sistema in vigore nella Regione ad Amministrazione Speciale, come laboratorio per una futura democratizzazione della Cina. Sbaglio?

Non del tutto. Il sistema economico di Hong Kong è attentamente monitorato e studiato da Pechino che, naturalmente, trova pregi e difetti. Diverso il discorso in campo politico: Hong Kong è un territorio del tutto autonomo, tranne nella Difesa e nelle Relazioni Estere, gestite direttamente dal governo centrale. Lo sviluppo del sistema in versione democratica potrebbe sicuramente rappresentare un progetto su piccola scala da applicare in futuro alla madrepatria. Ma ci vorrà del tempo perché questo sistema possa essere esportato al di là dei Nuovi Territori. Occorre, prima di tutto, che la società cinese diventi più ricca e sofisticata in termini materiali e politici.

Pensa che l'equazione "un paese, due sistemi" riuscirà a reggere per 50 anni o verrà meno prima del termine previsto?

Tutt'altro. Penso che 5 decenni siano un lasso di tempo troppo breve perché Hong Kong si integri completamente alla madrepatria. La Cina è un paese vasto nove milioni di chilometri quadrati, con un miliardo e mezzo di abitanti. Riuscire ad amalgamare economicamente e politicamente una massa così enorme di persone sparse su un territorio così vasto e diverso, richiederà ben più di 50 anni.

Mao vi era riuscito.

Non penso che la sua esperienza, nel bene o nel male, possa essere ripetuta. Almeno nei tempi e nei modi con cui è stata imposta al popolo cinese.

L'anima di Hong Kong è assai diversa da quella della Cina, rispetto alla quale predilige l'individualismo, l'edonismo e valori culturali di matrice occidentale. Cosa teme di più: la crisi economica o la mancanza di identificazione degli abitanti di Hong Kong con la madrepatria?

Senza dubbio la grande differenza culturale che rischia di alienarci dalla Cina. Purtroppo un secolo e mezzo di separazione dalla madrepatria ha stravolto i valori etici e culturali del nostro popolo che, pur essendo di etnia cinese al 95%, fatica a considerarsi cinese. Secondo me sarà questa, più che quella economica, la sfida a cui saremo chiamati a rispondere nel XXI secolo.

PECHINO

U n migliaio di operai licenziati ha bloccato ieri il traffico della città di Suining, nel Sichuan, per protestare contro il mancato pagamento dei sussidi, loro unica fonte di sostentamento. La fabbrica per cui lavoravano un anno fa è stata privatizzata e ha licenziato 1.200 lavoratori su 1.300.

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