ITALIA-CINA DA OGGI LA VISITA DEL PRESIDENTE ZEMIN
- LUCIO SALVATICI - PECHINO
C he cosa cerca Jiang Zemin in Italia? E' probabile che durante i colloqui con i leader del nostro paese ritornino con insistenza i luoghi comuni e l'immagine diffusa che ogni cinese ha dell'Italia: il calcio, innanzitutto, che affolla i divani di mezza Cina la domenica sera quando va in diretta la partita clou del campionato più bello del mondo (la serie A, circa cento milioni di spettatori alla settimana); e Marco Polo, il cui viaggio in Cina, vero o presunto che sia, rimane per i cinesi il più significativo della storia delle relazioni diplomatiche tra le due culture; l'opera lirica, per lo più personalizzata nel mito di Pavarotti, che a Pechino tenne un concerto alcuni anni fa. Ci salviamo dalla pizza, che i cinesi continuano ad immaginare americana.
Altrettanto probabile è che durante questi stessi colloqui, i governanti italiani si affannino a far presente che l'Italia è anche il paese delle tecnologie piccole e flessibili, che il 70% del nostro export verso questo paese sono macchinari, e che la Cina rimane per l'Italia il terzo partner commerciale. E c'è da sperare che sia piuttosto per queste considerazioni (e non solo per il desiderio di andare in gondola sotto il Ponte di Rialto) che Jiang Zemin ha posto l'Italia all'inizio della prima di due visite europee programmate per quest'anno.
L'ambiente internazionale per la Cina sta cambiando, con il declino irreversibile della potenza politica russa, il montare delle prospettive per il proprio ruolo regionale in Asia, la tensione palpabile con gli Usa per i problemi di riassetto della sicurezza nel Pacifico. La Cina da tempo supporta l'idea di un mondo multipolare (significativo il sostegno alla posizione Italiana per la riforma dell'Onu), ed in questa fase di contrazione dei mercati asiatici l'Europa è tanto politicamente quanto economicamente l'unica àncora di salvezza. Con la sua politica commerciale aggressiva la Cina ha oggi un surplus con quasi tutti i partner europei. Per l'Italia, che basa la propria presenza in Cina più sul commercio e sui traferimenti di tecnologia che sugli investimenti produttivi, un deficit commerciale prolungato potrebbe costituire un problema, visto il sostanziale calo degli ordini durante l'ultimo anno, per la maggiore competitività dei mercati asiatici e la contrazione della domanda interna.
Politicamente la Cina ha bisogno dell'Europa (e in quest'ottica dell'Italia) anche per dare una spinta definitiva alla propria richiesta di accedere all'Organizzazione Mondiale del Commercio, che da tredici anni la tiene alla porta, in particolare a causa degli ancora numerosi vincoli normativi per l'operatività delle aziende straniere e per l'inaccessibilità di molta parte dei servizi finanziari (dalle assicurazioni alle banche, l'apertura continua ma ad un passo decisamente rallentato, soprattutto dopo la lezione impartita dalla crisi finanziaria asiatica). La posizione europea, pur con molte riserve, è molto più elastica e pone meno vincoli di quella americana, ma i tempi sono stretti e a Jiang Zemin sembra chiaro che in vista della prossima ricontrattazione del 2000 (il "Millenium round") le tre parti in causa siano pronte a venirsi incontro a dispetto delle differenze, perché il più grande dei mercati entri finalmente nel gioco del commercio globale.
Un asse Cina-Europa è altrettanto improbabile di un asse Cina-Usa o Cina-Giappone, ma la distanza politica e la mancanza di grandi questioni culturali (italiani ed europei hanno da tempo una posizione più flessibile anche sulla questione dei diritti umani), rende l'Europa un più facile terreno per la costruzione di una relazione "pragmatica", basata sui comuni interessi e sugli affari, di quelle che piacciono a Jiang e piacevano ancora di più a Deng Xiaoping.
L'Italia sconta ancora tuttavia un problema di presenza. Oggi la Cina vuole gli investimenti delle multinazionali (così si è espresso il premier Zhu Rongji), ma l'Italia è paese della piccola impresa, dinamica e fantasiosa, che conquista mercati in tutto il mondo parlando solo il proprio dialetto, e tuttavia è incapace di reggere i lunghi tempi di rendimento degli investimenti imposti dalle difficoltà del mercato cinese e dalle incertezze della crisi asiatica. Il "Sistema Italia" è ancora molto frammentato e individualista, e lo è ancora di più quando opera in un paese dove le opportunità spuntano dalla giungla. Gli imprenditori finiscono con l'agire da soli, fidandosi solo del proprio fiuto, spesso ignorando anche i pochi strumenti pubblici a disposizione della penetrazione italiana nel paese, nella convinzione che chi fa da sé fa per tre. E spesso fanno per tre, ma non sempre. Sempre più aziende italiane vedono i loro prodotti copiati ed esportati in tutto il mondo, o i loro marchi copiati o registrati abusivamente ancora prima di essere arrivati sul mercato cinese. Se il gigante Microsoft ha recentemente vinto la prima causa contro un contraffattore cinese, i piccoli imprenditori nostrani lottano invece contro la chiusura per l'invasione dei prodotti cinesi falsificati nei loro principali mercati di esportazione.
Jiang Zemin viene a rendersi conto di persona di quello che una sequela di ministri italiani è andata in Cina a raccontargli negli ultimi anni, tentando di costruire un'immagine degna di un paese del G7. Jiang, che poi andrà anche in Austria e in Svizzera, viene anche a consolidare la propria immagine di segretario di partito più longevo del ventennio delle riforme, ora che oltre a cantare ha anche cominciato a "deliziare" i propri concittadini con le sue prime poesie, recentemente pubblicate sulla prima pagina di tutti i giornali cinesi. "Mao era un poeta migliore di lui", ha commentato un osservatore occidentale, ma la finalità rimane quella di costruire ancora una volta il culto della personalità del leader, recentemente oscurata agli occhi dei cinesi dalla schiettezza del primo ministro Zhu Rongji. Sembra comunque improbabile che ci sia qualcuno in patria o all'estero disposto ad emozionarsi di fronte a questi versi politici quanto lo fece per gli scritti di Mao.