Ta Mok, processo cambogiano

PESCALI PIERGIORGIO

CAMBOGIA

Ta Mok, processo cambogiano

Il premier Hun Sen: "No alla Corte internazionale"

- PIERGIORGIO PESCALI - PHNOM PENH

T a Mok sarà processato tra quattro o sei mesi da un tribunale cambogiano". Lo ha detto il giudice incaricato di condurre il processo, Ngin Sam An, in una conferenza stampa. Sembra, quindi, che il governo di Phnom Penh sia deciso a non concedere all'Onu ed agli Stati Uniti, l'avvallo per un processo internazionale, richiesta condivisa anche dalle associazioni per i diritti umani, Amnesty International e Human Rights Watch in testa.

Le giustificazioni apportate da Hun Sen, a differenza da quanto accaduto in precedenti occasioni, questa volta hanno solide fondamenta. Il premier cambogiano asserisce di non aver alcuna fiducia "in una cosiddetta corte internazionale guidata da coloro che hanno appoggiato i Khmer rossi... Siamo noi cambogiani che abbiamo lottato per sconfiggere e smantellare l'organizzazione politica e militare dei Khmer Rossi, quindi è nostro diritto risolvere la questione".

E in un suo raro sprazzo di realismo politico, Hun Sen afferma che "non c'è alcuna speranza di istituire a breve termine una corte internazionale, a causa dei veti già anticipati da parte di alcuni Paesi (Cina, Russia e, in parte, Francia, n.d.r.) all'interno del Consiglio di Sicurezza dell'Onu".

Hun Sen, pur ammettendo che Ta Mok è stato catturato con il "determinante" aiuto degli Usa (sottinteso con cui il premier vuole far capire che l'esistenza dei Khmer rossi dipendeva dall'atteggiamento di Washington), ha ribadito quanto già detto dal ministro degli esteri Hor Namhong, ora in visita negli Stati Uniti: "Secondo la Costituzione i cittadini del Paese non possono essere processati all'estero, a meno che non esista un accordo di estradizione. E, per quanto ne so, questo accordo non esiste tra noi e gli Usa". I contrasti con Washington, risultano evidenti quando il capo del governo cambogiano afferma che "paesi stranieri stanno cercando di sfruttare l'argomento Khmer Rossi per intervenire negli affari interni della Cambogia... Non dobbiamo accettare che gli stranieri facciano giustizia per i cambogiani!". Il sillogismo, neppure troppo mascherato, che ne esce - giustizia cambogiana per i cambogiani - è evidente ed esclude ogni forma di intervento dall'esterno. Resta da chiarire quanto possa essere equo e giusto un processo intentato in un paese dove il potere giudiziario è diretta emanazione di quello politico e dove le associazioni preposte all'osservazione del rispetto dei diritti umani, sono bandite o, nel migliore dei casi, mal tollerate. Amnesty International e Human Rights Watch han già fatto sapere di non credere che a Ta Mok possa essere garantito un processo democratico, motivo per cui preferirebbero la creazione di una corte internazionale.

C'è, inoltre, la paura fondata, secondo molti giuristi, che il processo si limiti a intentare capi d'accusa secondari rispetto alla ben più grave imputazione di genocidio che molti stati occidentali vorrebbero fosse formulata. Ta Mok, infatti, è stato condannato secondo gli articoli 2, 3 e 4 della legge del 7 luglio 1994, che dichiara fuorilegge i "membri del corpo politico e delle forze militari dei Khmer rossi o qualunque altro gruppo che ha commesso atti che conducono alla secessione e distruzione del Governo Reale." Nessun riferimento, quindi, alla parola "genocidio" così cara all'opposizione di Sam Rainsy ed agli Stati Uniti.

Non ci si spiega, inoltre, come mai il generale Nhiek Bun Chhay, comandante di un gruppo che ha lottato per venti mesi per "la distruzione del Governo Reale" di Hun Sen, non solo non sia stato condannato sulla base della stessa legge che ha condannato Ta Mok, ma sia stato addirittura premiato con la designazione di vice-Presidente del Senato. La grossa paura, qui a Phnom Penh, è che l'Assemblea Nazionale, la cui maggioranza dei membri ha fatto parte o ha appoggiato i Khmer rossi in diversi periodi della loro storia, voglia addossare al solo Ta Mok tutte le responsabilità.

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