MINE/MONDO
- NICOLETTA DENTICO -
U na corsa ad ostacoli. La faticosa ratifica italiana del Trattato di Ottawa per la messa al bando delle mine antipersona, con il voto unanime della Camera dei Deputati, percorre il primo, importante, giro di boa.
Siamo lontani dall'"atto immediato e meccanico" che il ministro degli esteri Lamberto Dini, forte della legge nazionale contro le mine appena approvata dal Parlamento italiano, aveva promesso in Canada nel dicembre 1997, alla firma del Trattato di Ottawa.
Ma con il voto di ieri si può tornare a sperare, senza farsi troppe illusioni, che l'Italia faccia in tempo a depositare lo strumento di ratifica della Convenzione in tempo per partecipare a pieno titolo alla sua prima conferenza di revisione, fissata a Maputo dal 3 al 7 maggio. Una corsa contro il tempo, dunque.
Aperto alla firma il 3 dicembre 1997, il Trattato internazionale di Ottawa entrerà in vigore, a tempo di record, il 1 marzo 1999 (occorrevano 40 ratifiche nazionali perché la normativa acquistasse efficacia, ciò che è stato reso possibile dal Burkina Faso, il 17 settembre scorso).
Ad oggi, sono 133 i paesi che lo hanno sottoscritto, 60 quelli che lo hanno ratificato (gli ultimi, in ordine cronologico, lo Swaziland, l'Australia e la Spagna), impegnandosi ad impedire ogni produzione, uso, stoccaggio e commercio di mine antipersona; a distruggere i rispettivi arsenali entro 4 anni; a bonificare le aree infestate nel proprio territorio entro 10 anni; a fornire aiuti tecnici e contributi finanziari per le operazioni di assistenza e riabilitazione delle vittime, e di rimozione di questi nefasti ordigni di distruzione di massa.
Certamente, l'assenza di numerosi paesi significativi dal punto di vista della proliferazione delle mine terrestri - Stati Uniti, Cina, Russia, Turchia, Israele, Egitto, India e Pakistan - costituisce un segno evidente delle difficoltà future che ancora si prospettano per il Trattato di Ottawa.
Le mine disseminate a decine di milioni in oltre 70 paesi del pianeta, ultimo drammatico scenario il Kosovo, non sanno di essere state proibite, e continuano lo stillicidio di vittime, prevalentemente civili.
Impazza la ricerca internazionale mirata alla messa a punto di sistemi alternativi più 'rispettosi' del diritto umanitario, con dispendio di ingentissime risorse economiche. E' questa la strada intrapresa dal governo americano, il quale si è impegnato ad aderire alla Convenzione di Ottawa entro il 2006, se e soltanto se sarà stato possibile sviluppare adeguatamente tali sistemi.
Ma alcuni importanti cambiamenti devono essere registrati. Nel 1998, 10 paesi donatori hanno iniziato 98 nuovi programmi di sminamento in 25 paesi. Il numero delle persone mutilate ed uccise sta lentamente diminuendo: la Cambogia ad esempio è passata dalle 400 vittime al mese del 1991 alle 200 del 1998.
Dei 50 vecchi paesi produttori di mine terrestri, oggi meno della metà continua a fabbricarne, e quasi tutti - inclusi gli Stati Uniti, la Russia e la Cina - hanno adottato divieti più o meno parziali di esportazione. Infine, entro le fine di quest'anno, oltre 11 milioni di mine saranno state distrutte in 12 stati.
A parte le numerose critiche che provengono soprattutto dagli ambienti più vicini al mondo militare-industriale - il bando delle mine antipersona porterebbe a moltiplicare la diffusione di sistemi artigianali e di trappole esplosive, con un ampio rischio di defezione e di moltiplicazione dei free-rider; dal punto di vista strategico questo trattato avvantaggerebbe l'attaccante rispetto al difensore - guadagna dunque terreno il valore aggiunto del processo di Ottawa.
Inedito per il percorso diplomatico che lo ha originato.
Straordinario nel senso che non si è limitato a 'multilateralizzare' gli impegni già assunti unilateralmente da alcuni paesi (tra cui l'Italia), ma ha fatto accrescere, a ritmi inimmaginabili solo alcuni mesi prima, il numero dei sostenitori di un bando totale, con un 'effetto domino' ben superiore ai più rosei auspici degli stessi promotori dell'iniziativa, il governo canadese e la Campagna Internazionale degli organismi non governativi, Premio Nobel per la Pace 1997.
Universalizzazione, oggi, è la parola d'ordine. In questa direzione continua a lavorare il Canada, che della paternità di questa convenzione mantiene onori ed oneri, e la stessa Campagna Internazionale delle ONG. Proprio domani aprirà i lavori a Beirut la prima conferenza internazionale contro le mine del Medio Oriente, per portare direttamente la questione in un'area del mondo dove troppi governi ancora latitano.
La Campagna della società civile prosegue la propria azione di pressione politica anche con la costituzione di nuovi comitati nazionali, o attraverso l'organizzazione di appuntamenti globali di sensibilizzazione - il 1 marzo le campane suoneranno a festa in numerosi paesi del mondo, a celebrare l'entrata in vigore del Trattato di Ottawa; moltissime le iniziative anche in Italia.
Lo stesso Trattato deve fare ancora molta strada.
Il suo testo, ispirato dal principio diplomatico della "ambiguità costruttiva", richiede sostanziali modifiche. Soprattutto per quanto concerne la definizione di mina antipersona, e la messa a punto di un credibile regime di sanzioni.
La prima verifica seria, fra tre mesi in Mozambico. Solo allora si potrà dire veramente, oltre il fragore e la fanfara dei facili entusiasmi della comunità internazionale, cosa gli stati intendono fare concretamente per eliminare dal mondo l'eredità di un'arma così subdola e perversa.