Una leggina di corporazioni

MONTI ALESSANDRO

UNIVERSITA'

Una leggina di corporazioni

ALESSANDRO MONTI*

C omplici il clima natalizio e l'attenzione politica tutta rivolta alla Legge Finanziaria, si è riusciti a vincere le diffuse resistenze alla definitiva approvazione di una legge in materia universitaria, in via di pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale. Si tratta di un ensemble di disposizioni varie prive di coerenza logica, nonché scampoli di precedenti provvedimenti d'urgenza mai approvati in via definitiva. Questo è potuto accadere nel chiuso delle Commissioni permanenti riunite in sede deliberante , sia in senato che alla camera, anziché nella trasparenza del dibattito delle assemblee parlamentari, come del resto era già avvenuto per altri provvedimenti in materia universitaria nel corso della tredicesima legislatura.

Con questa leggina il parlamento si è mostrato più propenso a rinunciare ad alcune delle proprie prerogative a favore dell'esecutivo e a tutelare interessi corporativi che preoccupato di salvaguardare il livello qualitativo del sistema universitario.

In questa sede, basti richiamare l'attenzione sulle implicazioni discendenti da due gruppi di disposizioni, il primo che riguarda l'ulteriore delegificazione delle procedure di formazione degli ordinamenti didattici (art.1, comma 15), il secondo si riferisce all'attività di docenza dei ricercatori e dei tecnici laureati (art.1 comma 11 e 12). In particolare, con riferimento al primo gruppo, è stato eliminato l'obbligo per il ministro dell'università di fissare le "annualità d'insegnamento e i contenuti minimi qualificanti dei corsi universitari, con riferimento ai settori scientifico-disciplinari", previsto dalla legge Bassanini bis.

Si trattava del contenuto più pregnante dei criteri ministeriali che avrebbero dovuto essere emanati per prendere il posto delle tabelle nazionali, da poco riordinate dal Consiglio universitario, che hanno finora garantito la validità tecnico-scientifica dei corsi di studio. Tale obbligo è ora sostituito da una generica indicazione degli "obiettivi formativi qualificanti". Viene inoltre riconosciuta al ministro la facoltà di creare nuove tipologie di corsi, in aggiunta o in sostituzione di quelli esistenti e di cambiarne l'attuale durata, mentre scompare ogni riferimento alle competenze e specificità professionali (art.1. comma 15).

Accanto al rafforzamento dei poteri "politici" ministeriali, si registra una dilatazione dei poteri discrezionali dei singoli atenei per quanto concerne gli ordinamenti che favorirà una accentuazione delle differenziazioni, ma anche possibili distorsioni.

Se l'invenzione creativa e l'aggiornamento-snellimento dei programmi e delle modalità d'insegnamento appaiono auspicabili su tutto il fronte della formazione universitaria, le innovazioni degli ordinamenti dovrebbero, invece, procedere con maggiore cautela per evitare possibili incoerenze e squilibri nell'erogazione dei servizi didattici e sopratutto attese illusorie di possibili impieghi.

La cautela si impone non solo nel già variegato campo dei corsi dell'area delle scienze umanistiche , ma soprattutto in quello dei corsi per la preparazione all'esercizio di funzioni a rilevanza pubblica e di attività professionali consolidate.

La creazione di nuovi corsi o cambiamenti rilevanti negli impianti curriculari (numero delle annualità di insegnamento, articolazione e contenuti disciplinari) di percorsi di studio già esistenti, che mantengono la loro denominazione, rischia non solo di creare disorientamento tra gli utenti, ma anche di restringere il riconoscimento dei titoli conseguiti e la convalida automatica degli esami sostenuti in altra sede universitaria, limitando di fatto la mobilità degli studenti e la piena validità dei diplomi conseguiti, sia nel pubblico impiego che nelle attività professionali.

Anche con riferimento al secondo gruppo di disposizioni, si segnalano alcune incongruenze. In particolare: a) i ricercatori universitari potranno assumere incarichi di insegnamento anche se non confermati nel ruolo. Il superamento del giudizio di conferma, condizione posta dall'articolo 12 della legge n.341 del 1990 per consentire l'attività di docenza anche ai ricercatori, è stato abrogato. Al riguardo, si deve osservare come il giudizio positivo era stato considerato dal legislatore del 1990 una garanzia obiettiva minima per l'assunzione della responsabilità di tenere un corso di insegnamento universitario.

b) i ricercatori universitari, anche quelli non confermati, nell'attribuzione delle supplenze d'insegnamento, potranno essere preferiti rispetto ai professori universitari di ruolo. La precedenza finora accordata dalla legge ai professori rispetto ai ricercatori, a tutela della qualità dell'insegnamento, è stata soppressa. c) il personale in servizio presso le sedi universitarie e gli osservatori astronomici assunto con funzioni tecniche o socio-sanitarie (tecnici-laureati) potrà transitare immediatamente nel ruolo di ricercatore confermato attraverso concorsi riservati.

Prescindendo in questa sede dai dubbi di legittimità costituzionale di una disposizione che prevede l'utilizzo dello strumento dei concorsi non aperti a tutti per l'accesso all'impiego pubblico, l'osservazione da fare è quella delle implicazioni che discendono dalla non sottoposizione al giudizio di conferma in ruolo. In realtà, con il passaggio nel ruolo dei ricercatori, anche gli ex tecnici laureati potranno godere dei nuovi privilegi ora accordati ai ricercatori, ivi compresa la possibilità di assumere immediatamente incarichi di insegnamento anche se non hanno mai svolto attività didattica in precedenza.

L'applicazione di queste disposizioni, se da un lato risolverà contingenti esigenze didattiche, rischia di accendere un clima di conflittualità tra i neoricercatori e gli aspiranti tali da una parte e i ricercatori di maggiore anzianità ed esperienza dall'altra, che hanno dovuto rispettare le norme meno permissive prima in vigore.

In prospettiva, l'applicazione di tali disposizioni e di quelle sugli ordinamenti didattici concorrerà da un lato ad attenuare la validità tecnico-scientifica dei corsi di studio finora assicurati attraverso un delicato equilibrio di ruoli tra amministrazione centrale e sedi universitarie, dall'altro a creare le condizioni per un pericoloso abbassamento degli standard minimi dell'insegnamento universitario, con implicazioni sfavorevoli sul valore legale e professionale dei titoli di studio e la loro credibilità sul mercato del lavoro, su quello interno e su quello internazionale.

*docente di scienza dell'amministrazione, facoltà di giurisprudenza, università di Camerino e componente del Comitato tecnico della facoltà di economia, università di Ferrara

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