GEORGESCU ROEGEN
- GIACOMO BECATTINI -
D ue eventi, entrambi accaduti nelle passate settimane, riportano il nostro pensiero a Nicholas Georgescu Roegen, il grande economista rumeno scomparso nel 1994. I due eventi sono un importante convegno indetto dall'Università di Strasburgo, che a Georgescu aveva conferito la laurea Honoris causa e la morte di Otilia, moglie e compagna di Nicholas attraverso le mille vicissitudini di una vita movimentata. I due Georgescu vivevano da molti anni in una villetta, modesta ma confortevole, alla periferia di Nashville (Tennessee), città più nota per la musica country che per gli studi economici, nella cui Università Vanderbilt, Nicholas aveva insegnato per una ventina di anni. L'uscita recente, ad opera della Bollati Boringhieri, di un volume roegeniano, dal titolo Energie e miti economici, ci pare un'occasione eccellente, e quasi doverosa, di tornare su questa importante personalità del nostro secolo. Non senza avvertire il lettore che si tratta di una raccolta di saggi tratti da diverse fonti e non della traduzione del volume curato dall'autore dal titolo omologo, Energy and economic myths (New York, Pergamon Press, 1976).Chiarissimo, avvincente anzi, come espositore anche delle costruzioni teoriche più complicate, Georgescu non era, peraltro, un carattere facile; come esaminatore, ad esempio, si era conquistato una fama di terribilità che ti rimbalzava da tutti gli angoli dell'America. E anche come critico e polemista non faceva complimenti. La sua collaborazione, al suo arrivo negli Usa, con Joseph Schumpeter e Wassily Leontief è l'aggancio più noto all'establishment universitario americano; per il resto Georgescu, rispettato e soprattutto temuto per l'incisività e la schiettezza delle sue critiche, era, negli Usa, sostanzialmente, un isolato.
Era nella vecchia Europa che il grande mitteleuropeo, poliglotta naturale, trovava il grosso dei suoi interlocutori. Con la cultura italiana in generale e con la Facoltà di Economia di Firenze in particolare, che gli aveva conferito (1982) una Laurea Honoris Causa, i suoi rapporti erano intensi e travalicavano la dimensione puramente intellettuale per invadere quella dei sentimenti. Con tutto ciò l'Europa, a mio avviso, negandogli il Nobel per l'economia, gli aveva fatto un grave torto. Basta ripensare ai suoi saggi fondamentali sull'economia del consumo (1936) e della produzione ('64, '65, '70 e '71), per non dir d'altro, che costituiscono, ognuno nel suo campo, autentiche pietre miliari dell'analisi economica moderna, per domandarsi che cosa mai deve fare un economista per meritarsi quella distinzione. In ognuno di essi c'è una tale mistura di forza logica, di rigore analitico, di raffinata cultura, di senso della storia, di immaginazione creativa; una tale combinazione di ésprit de finesse e di ésprit de geometrie, come usava, civettando con Pascal, dire lui, da appagare e deliziare il lettore più esigente. Certo è che i suoi volumi maggiori, dall'Analitical Economics. Issues and Problems ('66) al The Entropy Law and Economic Process ('71), fino ai più recenti, dedicati, principalmente ai temi ecologici - o bioeconomici, come diceva lui - costituiscono un monumento alla professionalità più rigorosa, unita però, sempre, a una sostanziale libertà, o spregiudicatezza, del pensiero, che ne fanno un vero classico del nostro tempo. Un pensatore, insomma, come ha scritto Silvana De Gleria, una sua allieva italiana, che va oltre la sua epoca.Ma veniamo ai temi ecologici, di cui al libro Energia e miti economici (già recensito da Guglielmo Ragozzino sulla talpalibri del 14 maggio). Qui Georgescu non si presenta come il solito economista che, preso atto dell'insorgere dei problemi ecologici, applica a quelli gli strumenti abituali della sua analisi. Un esercizio come tanti altri. No, Georgescu si cala tutto nel problema, aggredendolo anche nelle sue dimensioni naturalistiche e nelle sue implicazioni filosofiche, per cogliere insidie invisibili alla tranquilla ignoranza di molti suoi colleghi, accuratamente nascoste, per giunta, da corposi interessi materiali. Come scrive, ottimamente, Giorgio Nebbia nell'introduzione al volume, Georgescu demolisce una serie di miti consolatorii del nostro tempo, dai pannelli fotovoltaici al riciclo dei rifiuti, per approdare al
la conclusione che solo un'inversione della crescita (Demain la decroissance s'intitola una sua raccolta francese di scritti) può conciliare lo sviluppo del nostro benessere materiale con la limitatezza delle risorse sul battello spaziale terra. Solo un pertugio è lasciato aperto in questa ferrea cintura, la possibilità di pervenire alla creazione di energia nucleare pulita. Che sarebbe, naturalmente, una condizione necessaria, ma certo non sufficiente.
Per chiudere il cerchio delle sue deduzioni Georgescu usava parlare di un quarto principio della termodinamica che estendeva alla materia il concetto di degradazione entropica dell'energia. Questa sua costruzione è stata attaccata ferocemente dai suoi critici soprattutto fisici, che si sentivano "invasi" nel loro territorio. Ebbene, ora Nebbia ci spiega chiaramente che l'affermazione di Georgescu: "rappresenta essenzialmente un avvertimento circa l'importanza della massa e delle perdite di 'massa utile' che si hanno nella sua trasformazione in merci e oggetti".
Molti dei punti che premono a Georgescu sono obiettivamente "scandalosi" per la cultura prevalente del nostro tempo. Quando nota che la meccanizzazione dell'agricoltura aumenta sì le possibilità produttive a breve gittata, ma, sostituendo un processo biologico che sfrutta l'energia illimitata del sole con un processo che incide su risorse minerarie limitate, in realtà le diminuisce a lunga gittata, egli va contro un preciso mito del tempo: il mito della meccanizzazione dei processi produttivi come cosa buona in sé. O quando ironizza sulla macchinetta per trasportare il golfista da una buca all'altra, egli colpisce il mito del consumismo, in una delle sue più delicate giunture. O quando notomizza con intelletto d'amore l'economia contadina, Georgescu fa baluginare alternative di sistema di cui il capitalismo trionfante non vuol proprio sentir parlare. O quando critica - lui grande matematico - il formalismo matematico, che chiama, sarcasticamente, superstizione aritmomorfica, colpisce l'industria della scienza in uno dei suoi ingranaggi più delicati.Io penso che in tutti questi casi il senso vero dell'opera di Georgescu sia l'avvio di una, diciamo così, guerra di liberazione del senso critico e delle potenzialità costruttive dell'intelletto umano, oppressi e compressi dal conformismo dilagante nella moderna Akademia. Una guerra di liberazione, si noti, che non viene dalla periferia della protesta sentimentale, ma dal centro del più rigoroso pensiero scientifico e filosofico.
Oramai, i Georgescu Roegen, Nicholas e Otilia, sono nuovamente uniti nell'aldilà; ma sotto le ceneri ancora calde del pensiero di Nicholas giacciono tizzoni ardenti di critica metodologica e di teorizzazione alternativa del mondo. Speriamo che ci siano giovani studiosi che si diano carico di non lasciarli spegnere, quei tizzoni, e che anzi li adoperino per sprigionare quel grande incendio in una ricerca spregiudicata e rigorosa, libera dagli impacci di un metodo inadeguato, ch'è stato il sogno di quest'uomo straordinario.