Duello a Phnom Penh

PESCALI PIERGIORGIO

CAMBOGIA LA POLIZIA SPARA SUI MANIFESTANTI: UCCISO UN MONACO BUDDHISTA

Duello a Phnom Penh

Braccio di ferro tra l'"uomo forte" Hun Sen (appoggiato dalle diplomazie occidentali e dall'esercito) e l'opposizione di Sam Rainsy e del principe Norodom Ranariddh

- PIERGIORGIO PESCALI -

B raccio di ferro tra Hun Sen, l'"uomo forte" della Cambogia e l'opposizione che continua a manifestare nella capitale cambogiana. Un monaco buddista è rimasto ucciso ieri quando la polizia ha aperto il fuoco contro i manifestanti che si erano ammassati davanti alla residenza del principe Norodom Ranariddh. Il movimento di protesta nato per denunciare brogli nelle elezioni di luglio, sta assumendo aggressività nei confronti di Hun Sen. Il leader dell'opposizione, Sam Rainsy, e il partito del principe Ranariddh minacciano di boicottare i lavori dell'Assemblea nazionale, che dovrà aprire i battenti il 24 settembre, e chiedono le dimissioni di Hun Sen.

La Cambogia sta divenendo un immenso scenario in cui degrado di moralità, ricerca sfrenata del potere abiurando ogni idea e ideologia che non sia quella del profitto, fanno da sfondo a questa triste realtà di una nazione, che un tempo era simbolo di serenità e di felicità.Durante la prima metà degli anni Sessanta i vicini thailandesi venivano nelle cliniche cambogiane a farsi curare; i ricchi possedevano sfarzose ville a Kompong Som (l'odierna Sihanoukville); i contadini cambogiani, pur non vivendo nel lusso, non conoscevano la miseria e lo sfruttamento latifondista che affliggevano i loro vicini Thai, Lao, Viet. I Khmer di oggi narrano che i guai iniziarono quando il loro amato re Sihanouk concedette nel 1969 l'autorizzazione ad aprire due casinò, uno a Phnom Penh e l'altro a Sihanoukville, per rimpinguare le casse dello stato: uno scandalo in una società puritana e devotamente buddhista come quella cambogiana. Per una strana coincidenza, pochi mesi dopo l'inaugurazione delle sale da gioco, Lon Nol e Sirik Matak, con il consenso della Cia, spodestarono il monarca, allora in viaggio di ritorno dalla Francia dove si era recato per cure mediche, e proclamarono la Repubblica Khmer dando inizio alla lenta e straziante agonia della nazione.

Oggi di casinò sul territorio cambogiano ve ne sono tre, di cui uno addirittura a Pailin, caposaldo dei Khmer Rossi di Ieng Sary. Non so se è una sorta di maledizione o se realmente il vizio del gioco d'azzardo riesce in qualche modo ad interferire con le vicende storico-sociali della Cambogia, ma l'apertura dei locali ha coinciso con il peggioramento della situazione interna: l'intensificarsi della guerra civile, il colpo di stato dello scorso luglio che ha allontanato dal potere Norodom Ranariddh figlio di Sihanouk ed ora i disordini scatenati da un'opposizione che si ostina a non accettare i risultati di elezioni a cui lei stessa ha deciso liberamente di partecipare, pur conoscendo perfettamente le regole del gioco. Al termine di una intervista concessami poco prima della tornata elettorale del 26 luglio, avevo chiesto a Sam Rainsy, che mi sembrava il candidato più accettabile se non altro dal punto di vista della serietà, se pensasse che le elezioni sarebbero state libere e democratiche.

"No!" mi ha risposto lapidariamente. "E allora perché partecipa?" chiesi. "Perché non posso osservare dall'esterno il crollo della mia nazione; devo in qualche modo impedire che gli youn (i vietnamiti) che per vent'anni hanno dilapidato la Cambogia e derubato i Khmer delle loro ricchezze, continuino a regnare indisturbati".

Stessa risposta, più o meno, avevo ricevuto da Norodom Ranariddh. La speranza è l'ultima a morire, si dice, ma quando anche questa è defunta, si ricorre spesso all'ultima arma che i disperati hanno a disposizione: la violenza.

Ed è esattamente quello che hanno fatto i due leader dell'opposizione, immediatamente dopo la proclamazione dei primi risultati che davano la vittoria al Partito del popolo cambogiano di Hun Sen, quando di fronte alle televisioni di tutto il mondo hanno proclamato in modo antidemocratico di non voler accettare i responsi delle urne. Hun Sen non ha replicato; confidando nell'appoggio degli organismi internazionali che avevano sponsorizzato le elezioni (Unione europea, Asean, Giappone), si è messo in disparte, lasciando saggiamente crogiolare i due oppositori. Anzi, offrendo loro un posto per un governo di coalizione nazionale, non potendo allestirne uno da solo dato che non dispone dei due terzi dei deputati dell'Assemblea nazionale richiesti dalla legge cambogiana. "Non accetterò mai di andare al governo con un assassino" mi aveva detto un inviperito Sam Rainsy il 30 luglio scorso. "Potremmo parlarne" affermava invece Norodom Ranariddh, ribaltando come da suo copione, le sue affermazioni pre-elettorali che escludevano ogni accordo con il Partito del popolo cambogiano.

Ma più che far valere le loro ragioni Sam Rainsy e Norodom Ranariddh, cercano di recitare le parti delle vittime, reclamando a gran voce di essere gli obiettivi di complotti orditi da Hun Sen. Non che non abbiano motivi validi da addurre, specialmente Rainsy, che dopo essere scampato ad un attentato il 30 marzo 1997, ne ha subiti altri, l'ultimo dei quali la settimana scorsa al Ministero dell'informazione dove stava conducendo una protesta di fronte alla sede della Nec (National election commission), la Commissione preposta a vigilare sulla regolarità delle elezioni. Ma le intemperanze a cui sono giunti, le dichiarazioni che rasentano la xenofobia razziale sommate all'ultimo appello lanciato proprio da Rainsy che invitava gli Usa a bombardare i punti nevralgici del Partito del popolo, non hanno fatto altro che riabilitare Hun Sen agli occhi del mondo. Un gioco davvero di prestigio.

Con nemici del genere il secondo Primo ministro (il governo resterà in carica sino al 24 settembre) può di certo dormire sonni tranquilli. Neppure il mandato d'arresto emanato dallo stesso Hun Sen nei confronti di Sam Rainsy (in seguito ritirato su pressione di Lakhan Mehotra, rappresentante del Segretario generale dell'Onu in Cambogia) e gli attacchi della polizia ai dimostranti radunatisi nella capitale per chiedere le dimissioni di Hun Sen, sono riusciti a porre in pericolo la popolarità dell'ex Khmer rosso presso le diplomazie asiatiche e europee. Le quali sono preoccupate per la piega che sta prendendo la crisi cambogiana perché giustifica le critiche mosse da più parti: inutile indire elezioni se nel paese vi è una classe politica che rifiuta di accettare e rispettare le regole della democrazia. "Per voi occidentali democrazia significa avere in mano una scheda su cui sono stampati il numero maggiore di simboli di partiti e poter votare uno di essi.In realtà il processo che porta il popolo all'esercizio del potere è assai più lungo e complesso e parte proprio dai rappresentanti che andranno a sedersi nell'Assemblea nazionale. Vi sembra che questi siano degni di proporre la democrazia in Cambogia?" mi aveva chiesto Khieu Samphan pochi giorni dopo le elezioni. La sua domanda è stata profetica.

Ma se oramai nessuno in Cambogia si preoccupa più di tanto dell'ala dura dei Khmer rossi, considerata allo sbando, ci si chiede cosa faranno quelli che sono "rientrati" nelle file governative, specialmente quelli di Pailin. Questo distretto elettorale è stato l'unico in tutta la nazione dove ha vinto il partito di Sam Rainsy, ma è anche il distretto da dove Ieng Sary ha lanciato il suo famoso monito poco prima delle elezioni: "Qualunque sia l'esito delle votazioni, il Movimento unito di democrazia nazionale (il partito fondato da Ieng Sary che raccoglie i Khmer rossi della zona) difenderà il vincitore. Anche a costo di scendere in campo con le armi". Resterà da vedere se, in caso di una recrudescenza della guerra civile, i Khmer rossi di Pailin rispetteranno la scelta fatta nelle urne, o seguiranno il loro leader. L'asso nella manica l'ha comunque Hun Sen, al quale è fedele la maggior parte delle Forze armate reali cambogiane, i cui generali dirigono la politica nazionale da dietro le quinte. Dopo il colpo di stato di luglio e l'eliminazione della maggior parte dei generali membri del Funcinpec, il partito di Ranariddh, il peso politico del Ppc nei ranghi militari si è fatto più pesante. In caso di degenerazione della crisi, saranno i generali a decidere ancora una volta, le sorti della Cambogia. In questo caso lo scontro sarà totale. E decisivo.

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