Singapore non ruggisce più

PESCALI PIERGIORGIO

ASIA/APEC IN PIENA FEBBRE ASIATICA

Singapore non ruggisce più

Dopo anni di aumenti di produzione il '98 segnerà un calo del 2%

- PIERGIORGIO PESCALI - SINGAPORE

G li Annali Malesi del XVI secolo, raccontano che il Governatore di Palembang, Sri Tri Buana, navigando nelle acque dell'attuale Stretto di Malacca, fu sopreso da una tempesta che lo costrinse a cercare rifugio su una piccola isola pressoché disabitata, chiamata Pu-luo-chang (L'isola alla fine della penisola) dai cinesi. Qui, mentre aspettava che l'uragano si calmasse, credette di aver avvistato tra la fitta vegetazione, un leaone, cosa alquanto rara.

Si era nel XIII secolo, e da allora i leoni nessuno più li ha visti. A dir la verità, anche il racconto degli Annali non sembra molto attinente alla realtà e, con tutta probabilità, l'animale che Sri Tri Buana intravide, era ben altro che un leone; forse un daino, un tapiro o anche una tigre.

Fatto sta che la leggenda si perpetuò e affascinò talmente l'immaginazione di Sir Stamford Raffles, che quando nel gennaio 1819 mise piede sull'isola per fondare un avamposto commerciale per la Compagnia delle Indie Occidentali, lo chiamò Singapore, dal sanscrito Singa Pura (città del leone).

In realtà sarebbe stato più adeguato chiamarla Shera Putra, città della tigre, perché nella piccola isola di appena 500 kmq (saliti a 600 per le opere di terramento del fondo marino), questi felini erano numerosi, tanto da far dichiarare al Governatore nel 1855, lo stato di emergenza nazionale. Attualmente le uniche tigri esistenti a Singapore sono quelle presenti nel magnifico zoo e nell'interessante Night Safari, dove si possono osservare gli animali in libertà al chiaro di luna.

Anche la tigre che metaforicamente è stata associata come simbolo della furiosa crescita economica degli ultimi trent'anni (ricordate le quattro tigri asiatiche?), sembra oramai moribonda. Dopo anni di aumento della produzione nell'ordine del 7-8% annuo, il 1998, secondo le previsioni più recenti, segnerà una regressione del 2%.

Un duro colpo per i governanti della città-stato, i quali, comunque, sembra siano corsi ai ripari con sufficiente rapidità, tanto che il Far Eastern Economic Review, la prestigiosa rivista di Hong Kong, indica un ritorno ai valori positivi di crescita già per il 1999.

Per ora tutte le feste nazionali, e in particolare il "National Day", utilizzata dal governo come manifesto propagandistico per esaltare l'appartenenza ad un solo Paese, sono state celebrate sotto tono e all'insegna del risparmio.

"I problemi dell'economia di Singapore sono essenzialmente due - mi dice un dirigente dell'Sgs Thomson in visita alla fabbriche della multinazionale francese; - il primo, che il costo del lavoro è aumentato, mentre la produttività rimasta inalterata. Il secondo che a fronte di quattromila multinazionali presenti nell'isola, ben poche sono le aziende autoctone".

Con queste premesse gli economisti si chiedono in che modo Singapore potrà uscire dalla spirale di crisi che sta avviluppando verso il basso le economie asiatiche. Una prima risposta l'ha proposta lo stesso Lee Kuan Yew, considerato il secondo padre fondatore di Singapore dopo Sir Thomas Stamford Raffles. In una intervista rilasciata recentemente al Far Eastern, Lee ha detto che le nazioni vicine (Indonesia e Malesia), con i loro costi di produzione bassissimi, rischiano di estromettere Singapore dai mercati internazionali. Per evitarlo Lee invita il governo a operare drastici tagli in quegli stessi servizi sociali che per anni sono stati il fiore all'occhiello di Singapore: diminuzione dei salari e aumento degli affitti degli appartamenti costruiti dall'"Housing Development Board", in cui vive l'80% dei singaporeani.

"Ma la vera crisi non ancora giunta: - spiega Chow Hung-t'u, della Camera del Commercio Cinese - Singapore può ancora con tare su una produzione di qualità eccellente, nettamente superiore a quella degli altri paesi della regione e questo lo rende ancora competitivo. Per il momento".

Ma quanto durerà questo momento?

Per ora l'agonia della tigre singaporeana è stata evitata anche grazie al passaggio di Hong Kong alla Cina: molte delle compagnie internazionali che avevano la loro sede asiatica nell'ex colonia britannica, hanno preferito trasferirsi a Singapore piuttosto che rischiare di incappare nelle maglie della burocrazia di Pechino. La Malaysia, ha però già costruito la sua "Silicon Valley" nell'isola di Penang e l'Indonesia, con un presidente come Habibie propenso a fare del proprio paese una nazione all'avanguardia nel campo dell'Hi-Tech, non tarderà a riproporsi al mercato del settore.

In altri periodi, sotto la guida di Lee, Singapore avrebbe risposto alla minaccia dei vicini con aggressività, utilizzando la sua esperienza e i legami con gli istituti finanziari a mo' di artigli, non esitando a imprimere un'accelerata alla filosofia economica del lasseiz-faire che, assieme alla stabilità sociale e politica, è stata il leit motif della storia del Paese sin dai tempi di Raffles.

Ma Singapore stesso e l'economia mondiale non son più quelli di dieci anni fa: la globalizzazione ha rotto ogni schema, rendendo le economie dei singoli paesi interdipendenti l'una con l'altra. Inoltre al governo della piccola isola non c'è più il duro e dispotico Lee Kuan Yew, ma il più malleabile Goh Chong Tong. Il quale ha capito che il suo paese non avrebbe sostenuto, a lungo andare, il confronto con i due giganti. E allora, piuttosto di riproporre una sorta di konfrontasi economica, ha preferito cercare un accordo che possa avvantaggiare tutti sfruttando le migliori opportunità che Malaysia, Indonesia e Singapore possono offrire.

Dovrebbe quindi nascere un "Triangolo di Crescita", un'area geografica che ha gli epigoni tra la città di Johor, in Malaysia, Singapore e l'isola indonesiana di Bintan, la più settentrionale dell'Arcipelago delle Riau. Johor potrebbe offrire terreno per nuovi insediamenti industriali con regole ambientali meno ferree; l'Indonesia potrebbe coprire il fabbisogno di manodopera a basso costo e Singapore garantirebbe tecnologie, infrastrutture, collegamenti internazionali di prim'ordine.

Il "Triangolo di Crescita" sembra però che debba essere un'idea destinata a rimanere tale. Mohamad Mahathir, il premier malese, è fermamente intenzionato a creare un corridoio preferenziale con l'Indonesia bypassando Singapore: la costruzione del nuovo aeroporto di Kuala Lumpur e la ristrutturazione del porto di Port Klang, sono risposte già sufficientemente chiare al progetto di Goh.

"Se vi dovrà essere una nuova ripresa economica per Singapore, se la dovranno costruire gli stessi abitanti della città. Solo Singapore può aiutare Singapore", mi ricorda un tecnico polacco.

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