Lo sperpero Namtchylak e il magnifico Westbrook

LORRAI MARCELLO

CONCERTI MILANO

Lo sperpero Namtchylak e il magnifico Westbrook

Due esibizioni nella rassegna dedicata alle musiche di ricerca

- MARCELLO LORRAI - MILANO

I ncredibile ma vero. Nelle ultime due stagioni a Milano i concerti di jazz, di musica improvvisata, di musiche di ricerca di matrice non accademica, di musiche nuove non allineate si erano quasi completamente estinti. Così adesso si stenta a credere che questo autunno si possano avere a disposizione più occasioni di quelli delle ultime due annate messe assieme.

A dare il via alla brusca, e si spera non effimera, inversione di tendenza, è stato il festival MilanOltre, in questa dodicesima edizione, particolarmente ricco di proposte musicali.

Certo il black out nella programmazione di musiche che non sono fra quelle che vanno per la maggiore genera guasti che è poi lungo recuperare, perché la sensibilità del pubblico è qualcosa che si fa molto più in fretta a disperdere, in mancanza di un'abitudine tenuta viva da un'offerta regolare, che a costruire.

Lo si è potuto notare per esempio nella diversa accoglienza ricevuta a MilanOltre dalla performance di Sainkho Namtchylak e dal concerto di Mike Westbrook and Company.

Adesso agevolata anche dal fatto di avere da alcuni mesi eletto a proprio domicilio principale Milano, e invitata per il secondo anno consecutivo ad esibirsi al Salone della musica di Torino, la cantante siberiana, scoperta col solito distratto ritardo di qualche anno dai media di maggiore peso, si trova ora di colpo trasformata in un personaggio di culto.

Così il passaggio della Namtchylak al Teatro di Porta Romana, collocato in apertura di MilanOltre e col titolo facilmente ammiccante di "Virtual Rituality", si è trasformato in un "must", un appuntamento à la page che ha fatto il tutto esaurito.

Diversamente è andata con il gruppo di un musicista del livello del pianista e bandleader inglese, fra l'altro da lungo tempo assente dalle scene milanesi, che ha raccolto solo poche decine di spettatori.

Il canto di gola

Come è noto Sainkho Namtchylak è originaria di Tuva, piccolo paese tuttora piuttosto isolato al centro geografico dell'Asia, al confine nordoccidentale della Mongolia, che negli ultimi anni ha cominciato ad uscire dall'ombra, grazie alle sue importanti sopravvivenze, malgrado decenni di repressione sovietica, di tradizioni sciamaniche.

Paese rinomato per una originale cultura musicale, caratterizzata dalla larghissima diffusione fra la popolazione del "canto di gola", una pratica che consente l'emissione contemporanea di due o anche più note distinte, e più in generale la produzione di una affascinante gamma di suoni, da bassi cavernosi capaci di far impallidire il più truce cantante grind-metal ad acuti lancinanti.

Caso raro e problematico di donna dedita al canto di gola, tradizionalmente prerogativa maschile, Sainkho Namtchylak negli anni ottanta è entrata in contatto con la fiorente avanguardia jazzistica moscovita, e ha poi cominciato a peregrinare per l'Europa occidentale, trovando inizialmente interlocutori soprattutto fra gli improvvisatori di area radicale.

Negli ultimi anni Sainkho ha inciso sotto proprio nome o partecipato a molti, forse decisamente troppi dischi, dando l'impressione di essere una musicista la cui buona fede è fuori discussione, ma che ha difficoltà ad amministrare in maniera artisticamente matura il proprio talento.

Insomma una cantante che rischia di inflazionarsi e di logorare rapidamente il bagaglio della propria specifica cultura musicale lasciandosi tirare in troppe direzioni.

Con un piccolo gruppo di musicisti, al Porta Romana Sainkho ha presentato uno spettacolo di durata più simile a quella di uno showcase che di un concerto, che la ha banalizzata a cantante da acid jazz e trip hop un po' alla buona: naturalmente col corredo di qualche uscita vocale di quelle che paiono irreali e lasciano a bocca aperta.

Ma se alle risorse tecniche non si accompagna un'elaborazione musicale all'altezza, di fronte alla Namtchylak si profila il destino della moda passeggera e il pericolo di scadere a fenomeno da baraccone.

Il cd Naked Spirit

In visibilio il grosso del pubblico, con un entusiasmo degno di miglior causa; boccone indigesto invece per i fan di più antica data della cantante. Naked Spirit, l'album da poco pubblicato dall'italiana Amiata, è di gusto certamente più fine di quello che si è ascoltato a MilanOltre, ma le suggestioni che contiene sono piuttosto superficiali.

Meglio risalire la discografia della Namtchylak cercando il suo solo per la Fmp, il quartetto di impronta free con Peter Kowald sempre per la Fmp, e i duo con sassofonisti di temperamento come Evan Parker (Victo) e Ned Rothemberg (Leo Records).

Il caso Westbrook

Semplice ma sviluppato con eleganza e alta professionalità l'impianto di Platterback, operina di teatro musicale che Mike Westbrook (piano, tuba evoce) ha presentato con la moglie Kate (voce), John Winfield (voce), Karen Street (fisarmonica e voce), Stanley Adler (violoncello e voce).

Cinque personaggi, impersonati dagli stessi musicisti, si incontrano su un treno che dalla campagna li porta in città, e nel corso del viaggio fanno conoscenza e scambiano impressioni, componendo via via, di canzone in canzone, un mosaico di esperienze, sentimenti, sensazioni dalle tinte malinconiche.

Tutti bravissimi, con una segnalazione particolare per la bella vocalità di Winfield, che a tratti poteva ricordare Costello e per la morbida duttilità di Adler nell'aderire all'amalgama musicale creato da Westbrook.

Una nuova lezione di stile e di apertura la garbata fusione e citazione di elementi popular, jazz, rock'n'roll, folk, persino minimalisti, allestita da questo grande protagonista della scena britannica, di cuiMilanOltre ha fatto bene a ricordarsi.

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