Il potere logora?

CASTELLINA LUCIANA

Il potere logora?

Luciana Castellina

E' altamente improbabile che accada, ma sarebbe anche possibile che dopo domenica prossima un altro paese europeo - e che paese: la Germania! - si aggiungesse alla lista di quelli che in un modo o nell'altro sorreggono i loro governi coi voti di formazioni comuniste o post comuniste. Non è per niente escluso, infatti, che la Pds tedesca entri nel Bundestag (se non perché sfonda il tetto del 5%, grazie alla conquista di tre mandati diretti), in questo modo rendendo più difficile la vita di Schröder ma anche possibile un alleanza rosso verde. La Spd, ed ancor più i verdi, rifiutano sdegnosamente l'ipotesi di stringere la mano che viene loro tesa, ma sebbene analogo atteggiamento avessero assunto anche per la formazione del governo nel Land Orientale della Sassonia Anhalt, alla fine, almeno in quella regione, del partito nato sulle ceneri della Sed hanno finito per accettare la cosiddetta "Tolerierung". E' assai probabile che ove dovesse crearsi una situazione in cui i voti postcomunisti fossero determinanti si vada piuttosto alla grande coalizione, ma è un fatto che il problema resterebbe aperto, destinato a riscaldare il dibattito nella sinistra alla prima, inevitabile crisi dell'alleanza Spd-Cdu.

Con il voto svedese la lista comunque si è già allungata. Anche qui non è ancora detto cosa accadrà, ma è un fatto che con il suo brillantissimo raddoppio di voti il Partito della sinistra, erede di un Pc pioniere dell'eurocomunismo e oggi molto antieuropeo e "scandinavocentrico", si è candidato al governo, o comunque come parte determinante della sua maggioranza.

Della diretta partecipazione del Pcf alla guida della Francia si sa tutto, assai meno sul fatto che i comunisti sono al governo anche in Finlandia, attraverso l'Alleanza di sinistra (una sorta di Izquerda unida nordica) che è presente con socialdemocratici e verdi nella coalizione Arcobaleno. E poco si dice anche di un altro paese, il Portogallo, dove un Pc che non è affatto "post", sebbene formalmente all'opposizione è anch'esso in qualche modo nella maggioranza: non determinante, infatti, a livello nazionale, dove il Ps gode della maggioranza assoluta, laddove dei suoi voti c'è bisogno, a cominciare dall'elezione del presidente della Repubblica e dell'importantissimo sindaco di Lisbona, l'accordo si è fatto. E, infine, c'è la Spagna, dove per ora governa la destra, e dove fra comunisti e socialisti si era scavato il solco più profondo, ma dove con l'elezione di Morrel a candidato primo ministro, si è riaperto un promettente dialogo in vista delle elezioni del '99.

Strana sorte: proprio dopo la caduta del muro i comunisti o i loro immediati successori accedono a responsabilità governative, dirette o indirette, cui non avevano mai (salvo una breve eccezione francese) potuto aspirare prima. Tutto bene, dunque? Purtroppo no; e già il fatto che negli stessi giorni si rischia di dover dire: "un caso in più, la Svezia", "un caso in meno, l'Italia", è indicativo della fragilità dell'esperienza.

Il fenomeno, indubbiamente assai più vistoso di quanto non si pensi, più che indicativo della forza acquisita da una rinnovata unità delle sinistre, testimonia purtroppo una debolezza generalizzata degli assetti politici europei: la destra, quasi ovunque, dopo il brutto decennio tatcheriano, è arretrata e incapace di ripresa; la socialdemocrazia perde (salvo che in Inghilterra, ma qui conta molto il sistema elettorale) le sue schiaccianti maggioranze e oscilla fra grandi coalizioni e alleanze con verdi e comunisti. I quali, a loro volta, oscillano fra la loro tradizionale vocazione all'opposizione, e nuove tentazioni governative. Tanto è vero che quasi in ogni caso laddove si sceglie un'ipotesi si apre nel partito un conflitto con chi è a favore dell'altra. (Sta ora accadendo anche nel Pcf dove Huè è contestato da una frangia di ex fedeli di Marchais).

Il fatto è che nel momento in cui matura il problema della assunzione di una responsabilità di governo da parte della sinistra questa fatalmente si divarica in due opposte e laceranti tendenze, che trovano origine in una oggettiva contraddizione difficile da sciogliere: da un lato raccogliere la protesta che nasce dagli strati sociali più colpiti dalla disoccupazione e dalle politiche di contenimento del debito pubblico; dall'altro accedere alle leve di governo per dar risposta a problemi che oramai solo a quel livello possono essere affrontati.Non è dunque solo Rifondazione comunista a trovarsi di fronte a questa impasse, così come non sono solo i Ds a trovarsi a loro volta di fronte all'impasse che spinge le socialdemocrazie ad allearsi con le forze centriste per raggiungere maggioranze che altrimenti non hanno, così però perdendo di identità e della capacità di rappresentare il loro blocco sociale tradizionale.

Il fatto è che in nessun paese è più possibile cavarsela assumendo una o l'altra posizione, rifiutando di farsi carico delle ragioni dell'altro per cercare, per quanto difficile, di ritrovare la via dell'unità reale e non solo tattica delle sinistre. Teorizzare la perennità e l'alternatività delle due sinistre rischia infatti di essere fatale agli equilibri europei. Purtroppo ognuno sembra invece insistere sulla propria scelta, e fra le forze comuniste e post comuniste, che pur si incontrano ormai spesso per discutere delle 35 ore o per lanciare campagne contro la disoccupazione, una vera e comune riflessione su questo nodo cruciale non è stata nemmeno avviata.

Quanto alle terze vie degli ulivi mondiali, anche in questi giorni discusse a New York, rincorrono formule di centrosinistra forse possibili nel mondo anglosassone, ma ormai tramontate nell'Europa continentale, dove l'opzione è oramai ben più secca: fra grandi coalizioni o alleanze con sinistre radicali che esistono dappertutto.

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