"Come in Bosnia"

MECOZZI ALESSANDRA

DONNE IN NERO IL KOSOVO PER NOI

"Come in Bosnia"

Conferenza internazionale contro la guerra

- ALESSANDRA MECOZZI -

"V oglio essere orgogliosa della vita dei miei figli, non della loro morte, non li manderò a fare la guerra in Kossovo". E' una donna del Montenegro che parla, una delle 200 circa che dal 6 al 9 agosto hanno dato vita alla VII Conferenza internazionale delle donne contro la guerra che organizzano ogni anno, dal 1992, le Donne in nero di Belgrado, gruppo femminista e antimilitarista. Quest'anno è a Palic, nella Voivodina, vicino al confine ungherese, un bosco in riva a un lago dove si snodano racconti drammatici di donne dell'ex Jugoslavia e dell'Europa occidentale - Spagna, Italia, Belgio, Germania, Danimarca, Olanda -, ci sono anche una palestinese, un'israeliana, un'indiana.

Molto affollati e percorsi da una forte emozione sono i gruppi dove parlano le profughe, tante giovani kosovare (il 60% della popolazione ha meno di vent'anni), ma anche bosniache, serbe, croate, vittime e protagoniste di questi luoghi e tempi difficili.

Una donna di Mostar parla dei parchi del suo paese, pieni di tombe di ragazzi delle tre etnie ma con nomi tutti simili: "non c'è ideale che meriti tanti sacrifici umani". Aggiunge Rada di Belgrado: "Viviamo la stessa storia della Bosnia e col tempo perdiamo la speranza, soprattutto quella che le donne possano fare qualcosa di più e di diverso che curare le ferite delle guerre... Come si fa a prevenire la guerra?".

Sanija, del Kossovo, ha vissuto sfollata per una settimana nei boschi, dove ancora sono a migliaia; racconta di come prima della guerra costruiva con altre donne, soprattutto nei villaggi, cammini di presa di coscienza e di emancipazione, attraverso programmi educativi e sanitari.

La guerra ha interrotto questa strada: adesso quelle migliaia di donne, costrette con vecchi e bambini a spostarsi incessantemente alla vana ricerca di un luogo dove non avere paura, hanno un solo grande desiderio: tornare a casa, "hocu kuci". Sanija fa un appello a tutte: si faccia pressione sul governo di Belgrado per il passaggio di convogli umanitari, un aiuto per la popolazione di migranti profughi, fatta di albanesi ma anche di serbi. La paura non fa distinzione di etnia.

Ci sono momenti in cui sofferenza impotenza sembrano bloccarci; sono sempre le resistentissime donne di Belgrado che, pur visibilmente commosse (non piangere è impossibile), suggeriscono iniziative, si oppongono a quel sentimento di impotenza e di colpa che prende noi, dei luoghi "in pace", dove le coscienze si stanno addormentando.

"Manifestare, informare, scrivere alle autorità, non smettere di fare e di sperare, non soccombere né alla paura né all'indifferenza".

Paura e indifferenza, percorrono i luoghi in cui viviamo, quella che chiamiamo Europa. Alcune spagnole denunciano la militarizzazione sociale e delle coscienze, l'omologazione passiva che sulla nostra sponda del Mediterraneo innalza un nuovo muro, dopo la caduta di quello di Berlino, contro l'invasione migratoria, che ha già fatto migliaia di morti.Sessismo e militarismo: "due aspetti del regime patriarcale perché fondati sul dominio e la violenza dell'uno sull'altro/altra".

Non mancano le contraddizioni: c'è chi all'est giustifica la voglia di integrazione nella Nato con lo stato disastroso dell'economia nei propri paesi. Alleanza militare in cambio di sviluppo? E' un paradosso drammatico per chi all'ovest si batte contro le spese militari per una destinazione sociale degli investimenti, uno sviluppo umano.

E mentre l'indiana Corinne Kumar racconta della nascita nel 1993 e della attività delle Donne in nero a Bangalore, ultimamente scese in strada contro i test nucleari, fa molto discutere l'accenno di una donna del Kossovo alla possibile utilità di un intervento Nato contro la guerra.

Reagiscono le italiane dell'Associazione per la pace, suscitando consensi: "E' un'illusione pensare di combattere la guerra con le bombe. Le nostre pratiche cercano continuamente altre strade, altre strategie, mettendo in gioco anche noi stesse e i nostri corpi".

Incertezze e contraddizioni presenti in ciascuna, ma unanime è l'atto d'accusa che si leva contro la violenza e le guerre, sue massime e folli espressioni, per il quale trova parole efficaci Jogoda, di Zagabria: "In queste guerre io riconosco solo il serbo che aiuta l'albanese, il croato che ha difeso il musulmano: tanti anonimi, che non hanno l'onore delle cronache, ma la dignità di essere umani".

E infine, siamo tutte "donne in nero" contro la guerra, in una manifestazione circolare nell'assolata piazza di Subotica a pochi chilometri da Palic, sotto lo sguardo curioso dei passanti.L'immaginazione di italiane e tedesche ha prodotto una espressiva coreografia: decine di fili di lana colorata si intrecciano in reti di solidarietà e comune lavoro; girasoli e abbracci esprimo simbolicamente amicizia e speranza, mentre dentro un piccolo centro a terra di frutta e verdura ardono candele, rappresentando la vita e la morte.

Ancora una volta, con grande forza simbolica le "donne in nero" hanno celebrato il proprio rito contro la guerra; ancora una volta dai luoghi più difficili altre donne ci spingono a interrogarci sulla politica dei nostri più facili luoghi.

Supporta il manifesto e l'informazione indipendente

Il manifesto, nato come rivista nel 1969, è sinonimo di testata libera, indipendente e tagliente.
Logo archivio storico del manifesto
L'archivio storico del manifesto è un progetto del manifesto pubblicato gratis su Internet e aperto a tutti.
Vai al manifesto.it