I diabolici radicali dell'improvvisazione

LORRAI MARCELLO

PALERMO CURVA MINORE

I diabolici radicali dell'improvvisazione

Nel capoluogo siciliano, il duo Alan Gunga Parves-Ernst Rejiseger e tanti altri gruppi di primo piano della ricerca europea

- MARCELLO LORRAI - PALERMO "Pratiche inusuali del fare musica": un sottotitolo che nelle quattro serate della rassegna 'Curva minore' ha trovato ampie illustrazioni in senso lato, ma qualcuna anche in un'accezione decisamente e godibilmente letterale. Per esempio quando con suprema nonchalance Alan Gunga Parves si infila nella narice un fischietto di legno, probabilmente un richiamo per uccelli, etenendone un altro in bocca riesce a coordinare i soffi in maniera da alternare i suoni dei due strumentini o a sovrapporli; il tutto agitando a tratti, ma sempre con imperturbabile serietà, un campanaccio da bestiame fissato con una cinghia sulla fronte. L'effetto è irresistibilmente esilarante, ma a ben vedere, oltre ad una bella vena teatrale, surreale e umoristica, c'è anche una delicata poesia musicale. Gunga apre una finestra sulla fantasia anche quando percorre lentamente il palco tenendo strette frale cosce due coppie di tubi, sorta di trombe in plastica, dal suono sfacciato, ciascuna azionata da un mantice pure in plastica: a ritmo regolare il performer spinge alternativamente i due soffietti, con un risultato sonoro-visivo di estrema comicità, ma anche creando un effetto reiterativo che finisce per avere qualcosa di ipnotico, e si fa seguire con un piacere quasi infantile.

E' per via di un forzato cambiamento di programma che col suo strampalato assortimento di strumenti a fiato e a percussione Gunga Parves si trova ad affiancare un nome di spicco della musica improvvisata europea, Ernst Reijseger (è proprio con questo sodalizio con Parves che agli inizi il violoncellista si guadagnò una credibilità fra i "radicali" olandesi): Reijseger infatti sarebbe dovuto arrivare col Trio Clusone, ma Gunga riescea non far rimpiangere le magistrali gag di Han Bennink, ed è tutto dire. E conquista anche gli spettatori casuali e niente affatto preparati in materia di musica di ricerca: ce ne sono diversi a seguire le serate di Curva minore, complici il biglietto ridottissimo (5 mila lire), la splendida cornice dello Spasimo e la ricchissima offerta del cartellone (con filmati anche su Lol Coxhill e Fred Frith).

Rappresentata qui anche da altre figure di primo piano come la pianista Irene Schweizer, la contrabbassista Joelle Leandre e la vocalist Maggie Nichols (che si esibiscono come Les Diaboliques, loro sperimentato trio),l'improvvisazione europea è un interesse cruciale di Curva minore, ma niente affatto esclusivo. Alla sua seconda edizione, la rassegna rappresenta bene il punto di vista di una giovane generazione di musicisti (di cui il direttore artistico Lelio Giannetto e Gianni Gebbia, consulente, sono esponenti) che dalla scuola improvvisativa ha tratto una decisiva lezione di non conformismo, di autonomia, di ricerca svincolata dai cliché, ma che, anche e proprio per viadi questa lezione, non si sente affatto obbligata ad indirizzarsi alle forme specifiche che l'improvvisazione post-jazzistica ha assunto storicamente in Europa. E' il caso del batterista Francesco Cusa e del pianista FabrizioPuglisi, entrambi catanesi ed entrambi residenti a Bologna, dove operano nel vivace ambiente musicale di cui è un riferimento il collettivo Bassesfere.

Assieme con Vincenzo Vasi (basso), Tiziano Popoli (tastiere e campionatori),Alberto Capelli (chitarre), Edoardo Maraffa (sax tenore) e Riccardo Pittau(tromba), Cusa ha proposto una composizione molto spaziata, ariosa, agile nel muoversi con un'uso articolato dell'organico fra suggestioni musicali diverse (dal rock-jazz ad esperienze orchestrali contemporanee), ben costruita e con una bella ricerca di suoni, che avrebbe solo bisogno di un po' di rodaggio (ma si sa quanto siano rare le occasioni di suonare musiche come queste). Puglisi invece (con Capelli alle chitarre e Achille Succi, clarinetto e sax), pur lasciando affiorare il suo background jazzistico guarda alla musica classica e al minimalismo, con una chiave personale anche, se con qualche spigolosità e rigidità, che varrebbe la pena di smussare. Ma la Sicilia non era rappresentata solo dalla sua diaspora. Impegnativa, di temperamento, con momenti di notevole pregio, la musica di matrice improvvisativa del trio di Gianni Gebbia, ai sax, e dei francesi Dominique Regef, alla ghironda, e Yves Romain, al contrabbasso (peccato che Regef, un fuoriclasse del suo strumento, fatichi a lasciarsi andare, privilegiando sonorità segaligne e chiuse).

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