Clima di intimidazione

PESCALI PIERGIORGIO

CAMBOGIA AL VOTO

Clima di intimidazione

Si fa sentire la violenza poliziesca, "privata" e istituzionale

- PI. PES. - PHNOM PENH

S ono disavventure che possono capitare in ogni Paese, ma qui in Cambogia riescono ad assumere un significato particolare che dà preziose indicazioni su come procede il sistema. Pochi giorni fa avevo un appuntamento con una Ong per visitare un centro di reinserimento per handicappati da mine antiuomo ad una trentina di chilometri da Phnom Penh. Svegliatomi all'alba, all'atto di preparare il corredo fotografico, mi è venuto un colpo al cuore: sparito! Immediatamente ho chiamato il padrone dell'hotel, il quale si è accorto che un pannello del controsoffitto era leggermente spostato dalla sua sede abituale.

Senza alcuna speranza e con il pensiero alla mia Nikon F4, del 300 mm e del flash già in esposizione in chissà quale negozio della città, è intervenuta la polizia del distretto locale, il cui ufficio - più una topaia che una stanza - avevo già notato passando a piedi per recarmi al mercato centrale. Il poliziotto incaricato ad indagare sul furto, un piccolo ometto truculento e sudaticcio dalla faccia che infondeva ben poca fiducia, riusciva a trovare in pochi minuti il flash e i due ladri, una "simpatica" coppia di ragazzi con cui avevo scambiato qualche parola la sera prima. Purtroppo della macchina fotografica e del teleobiettivo, dal valore di circa 4 milioni e mezzo di lire, nessuna traccia: erano gi stati venduti per 317 (!) dollari ad un noto ricettatore della città. "No worry, we find" (Non preoccuparti, li ritroveremo), mi dice in un pessimo inglese il poliziotto, mentre strattona senza troppi complimenti i due ladruncoli.

Poi, dato che la vittima non solo è uno straniero, ma per di più un giornalista accreditato ai vari Ministeri, la macchina investigativa si mette in moto. Le ricerche vengono affidate al distretto centrale di polizia e i poliziotti sono sguinzagliati per tutta la città. Nel frattempo vengo affidato ad una impiegata che mi porta in un ufficio con aria condizionata, riservato ai "Vip". Prima di arrivare attraversiamo stanze con tavoli sgangherati, muri scrostati, tetti cadenti. E sul pavimento, assiepati uno contro l'altro, con le manette che cingono fortemente i loro polsi, decine di ragazzi, quasi tutti sui 15-20 anni, con gli occhi pestati, tagli sanguinanti sulla nuca, nasi rotti. Tra di essi noto anche i due ladruncoli che han cercato di compiere il grosso colpo alle mie spalle. Allora capisco. Dalla camera dell'albergo erano stati prelevati sani, ma al commissariato sono giunti nelle stesse pietose condizioni delle altre persone stese sul lurido pavimento accanto a loro. Evitano il mio sguardo, ed io evito di parlare a loro: la rabbia non ancora sbollita, ma non posso fare a meno di notare con quanta e quale crudeltà la polizia cambogiana conduce gli interrogatori. La ragazza si accorge della mia perplessità e mi dice: "Per la sicurezza del Paese. Se li picchiamo oggi, non faranno atti criminali domani". "Sarà...ma se i criminali comuni vengono trattati in questo modo, non oso pensare cosa subiscano gli oppositori al regime, su cui si abbatte un odio ideologico più feroce, più sottile e diretto. Inoltre ben note sono le connessioni della polizia con i trafficanti locali, che sto sperimentando in prima persona: Heng Syn, il vice direttore della centrale, si reca lui stesso da un noto ricettatore, il quale in meno di tre ore ed un paio di telefonate, gli fornisce tutte le informazioni per risolvere il caso. Ed infatti, ecco comparire esattamente appena sei ore dopo il lanciato allarme, sul tavolo di Heng Syn il teleobiettivo e la macchina fotografica esattamente come le avevo lasciate la sera prima. Sorridendo Heng Syn mi ridà gli strumenti di lavoro, decantando l'efficienza della polizia: "Gli stranieri non debbono aver paura di venire in Cambogia. Ci siamo noi a proteggerli".

Già, ma i cambogiani chi li protegge? Mi pomgo questa domanda perché ciò che tutti temevano si verificasse e che sino ad ora sembrava scongiurato, sta accadendo e lo denuncia anche Amnesty International: le elezioni cambogiane, che dovrebbero tenersi oggi, stanno assistendo ad un intensificarsi di atti di violenza ai danni di candidati di tutti i partiti. A pochi giorni dalle consultazioni, non ancora sicuro che si potrà votare ad Anlong Veng, l'ex baluardo dei Khmer Rossi, dove un convoglio della Nec (National Election Commettee) è stato attaccato la scorsa settimana da gruppi di Khmer Rossi (o forse da comuni banditi, dato che in Cambogia tutte le azioni ad impatto negativo, dal furto di mucche, agli assassini politici, sono attribuite senza differenze ai guerriglieri comunisti).

Incerto il voto nelle basi rosse

Sembra invece sicura e senza problemi la regolare affluenza al voto in altre due ex basi Khmer Rosse: quella di Pailin, a ovest del paese, e Prey veng, a nord. Nella prima provincia sembra favorito il Funcinpec di Norodom Ranariddh, a cui hanno aderito la maggior parte dei Khmer Rossi di Ieng Sary, mentre nella seconda il Ppc di Hun Sen ha molta pi popolarità. "Hun Sen ci ha liberati dai Khmer Rossi ed ha aiutato i contadini a migliorare la loro situazione", mi ha detto un abitante del luogo incontrato ieri durante un comizio di Sam Rainsy. Nonostante la situazione nella città di Prey Veng sia più tranquilla che nel 1993, si registrano due morti, entrambi attivisti per i diritti dei lavoratori, indirettamente legati al Partito di Sam Rainsy. Nel frattempo a Phnom Penh il Ppc si sta preoccupando seriamente a causa della inaspettata popolarità che sta conseguendo Sam Rainsy nella sua campagna elettorale. Il 14 luglio l'Ifrassorc (Istituto Francese per le Statistiche, la Ricerca e le Opinioni delle Elezioni) diretto dall'ex ministro delle Finanze Huy Sophan, ha pubblicato un primo sondaggio elettorale che ha creato non poco scompiglio in tutto l'apparato del Ppc. Secondo l'Ifrassorc, il Ppc conquisterebbe in tutto il Paese il 12,5% dei voti, il Funcinpec il 7,8%, altri 9 partiti minori l'1,4%, mentre Sam Rainsy risulterebbe il più votato col 14,3%. Rimane comunque da notare che ben il 63,8% degli intervistati si è astenuto dal dare un suo giudizio e questo la dice lunga sia sul clima di libertà e di democrazia che regna in questo martoriato Paese. "Il Funcinpec spera di ottenere il 75% dei voti", mi ha detto Hun Ly, un candidato nella provincia di Kandal che ho incontrato nel quartier generale del partito. Il motivo di tale superottimistica e improbabile stima? Semplice: "Se il 7,8% delle persone han detto di votare per il Funcinpec, il 63,8% non si è pronunciata solo perché ha paura di dire che voterà per il nostro partito. Ma se le consultazioni saranno libere e segrete, noi otteremo il 7,8 pi il 63,8% dei consensi degli elettori". Questa è la politica in Cambogia.

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