GITA SUL LUOGO DEL DELITTO

SALVATICI LUCIO

Gita sul luogo del delitto

Oggi Clinton e Jiang Zemin sulla Tian An Men

- LUCIO SALVATICI - PECHINO

A ncora prima che Bill Clinton arrivasse a Xian, prima tappa del suo viaggio di nove giorni in Cina, la visita aveva avuto i suoi primi, tangibili risultati: a poche ore dall'atterraggio dell'Air Force One, infatti un contratto del valore di 415 milioni di dollari è stato siglato a Pechino per la costruzione di una centrale elettrica vicino a Wenzhou, nel Zhejiang.

Un segnale di benvenuto, un augurio della parte cinese sul segno da dare alla visita, simile a quello mandato ieri dal China Daily (il quotidiano ufficiale in inglese) con un supplemento sull'"Amicizia Sino-Americana"; tutto dedicato ai rapporti economici bilaterali. Il fattore economico è dunque al centro dei gesti e della retorica pubblica cinese tanto quanto i diritti civili di quella americana, in questo primo giorno di presenza del presidente americano in Cina. Gli Stati uniti sono oggi la terza fonte di investimenti stranieri nel paese, e soffrono da tempo della politica commerciale aggressiva della Cina che sugli enormi surplus con i paesi occidentali (il deficit americano nel 1997 ha raggiunto i 39,5 miliardi di dollari secondo solo a quello nei confronti del Giappone), ha fondato buona parte della propria crescita interna.

L'ingresso della Cina nell'Organizzazione Mondiale del Commercio (Omc) è divenuta ormai una necessità improcrastinabile, soprattutto alla luce del lungo processo necessario al recupero delle economie asiatiche. Charlene Barshefsky - segretario al commercio Usa - ha trattato a lungo, nei giorni scorsi, le ultime proposte cinesi di apertura dei propri mercati come richiesto dall'Omc, ma i vincoli imposti dalla ristrutturazione dell'apparato statale non sembrano garantire ancora la forma di liberalizzazione che gli Usa si aspettano. A dieci anni dall'inizio del negoziato sembra dunque improbabile che Clinton strappi un vero accordo su questo punto, ma come si sa i vertici servono spesso ad accelerare processi comunque inevitabili di riavvicinamento.

Sbarcato all'aeroporto di Xian, il presidente Bill Clinton, la first lady e la figlia hanno ricevuto il benvenuto colorito e coreografico della antica capitale della dinastia Tang, nonché, dalle mani del sindaco, le chiavi di una città oggi capoluogo di una delle regioni più povere e conflittuali della Cina interna. Qui il processo di ristrutturazione delle imprese di stato, la mancanza di una economia dinamica e di una presenza straniera paragonabile a quella delle regioni costiere hanno reso il conflitto sociale molto più visibile (pare che il governo cittadino abbia lanciato un appello per una sorta di tregua nelle rivendicazioni dei propri disoccupati durante la visita del capo della Casa Bianca).

La città salva le proprie finanze soprattutto grazie ai milioni di turisti che vengono a visitarvi (come hanno fatto i Clinton) i ritrovamenti archeologici dell'esercito di guerrieri di terracotta sepolto con il primo imperatore Qin Shihuang più di duemila anni fa.

Xian ha lasciato ieri ampio spazio alle domande per i mille giornalisti al seguito. La famiglia del presidente ha dapprima visitato il villaggio modello di Xia He, poco fuori Xian, incontrando di fronte al cortile di una casa tradizionale alcuni rappresentanti della comunità locale che andrà fra pochi giorni alle elezioni per rinnovare il consiglio comunale (con cui hanno parlato del più e del meno) ed ha avuto dopo il suo primo bagno di folla nella piazza del paese, prima di farsi ritrarre nel sito archeologico.

C'è stato comunque tempo anche per un primo incidente diplomatico, legato all'arresto di alcuni dissidenti a Xian nei giorni precedenti la visita (vittime forse anche della fame di dissenso delle televisioni americane che tentano in tutti i modi di ottenere interviste, anche a costo dell'incolumità degli interessati). La protesta ufficiale della Casa Bianca ha condotto alla loro liberazione ieri sera, appena prima che il presidente lasciasse Xian per Pechino, ma l'ambasciatore Usa a Pechino James Sasser ha definito le spiegazioni fornite dai cinesi non molto soddisfacenti.

Il vertice comincerà in realtà solamente oggi, quando le salve di cannone avranno salutato Bill Clinton sui gradini dell'Assemblea del Popolo, a Tian An Men. Sarà finalmente il momento per le due retoriche di trovare completamento l'una nell'altra. Ci sarà da parlare del ruolo della Cina in Asia e della prospettata nuova alleanza strategica tra i due paesi, molto più e molto prima della questione dei diritti umani. Durante un'intervista rilasciata ad un gruppo di giornalisti di Radio Free Asia (cui era stato negato il permesso di entrare in Cina al seguito del presidente), Clinton ha riconosciuto le difficoltà di affrontare il problema del Tibet e di Taiwan direttamente e ha riconosciuto l'importanza fondamentale rivestita per i cinesi dell'idea di integrità territoriale e della memoria della disintegrazione. Si potrebbe trattare di una concessione all'inevitabilità della politica di "un paese due sistemi", che già la Cina ha applicato (con successo riconosciuto anche dagli Stai uniti) per Hong Kong, e che potrebbe costituire lo schema di base per il recupero di sovranità anche su Taiwan. Fonti di Hong Kong parlano inoltre dell'intenzione da parte cinese di proporre una sorta di scambio tra l'impegno a placare gli animi tra i contendenti del nuovo fronte nucleare, India e Pakistan (ques'ultimo in particolare deve la propria intera tecnologia alla Cina) ed i buoni servigi della diplomazia statunitense a favore di un nuovo e decisivo round negoziale tra Cina e Taiwan.

Il presidente Jiang Zemin ed il suo primo ministro Zhu Rongji (l'uomo dell'austerity) hanno poi da giocare la carta della stabilità della loro moneta, rimasta ormai l'unica ancora di salvezza per salvare l'intera area da una ulteriore e probabilmente fatale destabilizzazione finanziaria. Tutti, e Clinton in testa, chiedono a gran voce che la Cina non svaluti, come invece voci insistenti (sempre smentite fino ad ora) continuano a sostenere. Per ora, i vantaggi (politici ed economici) di una moneta stabile rimangono superiori alla necessità di competitività sui mercati asiatici ed internazionali, ma certo nel medio termine anche la Cina dovrà fare i conti con gli effetti economici di medio periodo della crisi asiatica e con la perdita progressiva di fasce di mercato internazionale di cui non si può più privare. Insomma a quanto pare gli assi (la questione dei diritti umani non sembra in realtà cambiare molto negli equilibri politici) sono tutti in mano cinese, per una volta, e su questo é possibile che le relazioni tra le due potenze trovino un assestamento. Con buona pace di chi lo può temere.

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