Colpo grosso a Chinatown

SALVATICI LUCIO

Colpo grosso a Chinatown

Clinton in viaggio d'affari con 1.500 al seguito

Inizia domani a Xi'an la prima visita di un presidente Usa dall'89. Diritti umani e business per un' "alleanza strategica" voluta da Washington ma temuta dai vicini asiatici, soprattutto Taiwan e Tokyo

- LUCIO SALVATICI - PECHINO

B ill Clinton ha scelto Xi'an la capitale del primo imperatore Qin, come porta d'ingresso in Cina: un arrivo privato e turistico per la prima visita, meticolosamente preparata da entrambe le parti, di un presidente americano dopo il massacro di Tian'an Men. Ma non è detto che la dimensione discreta di questo avvio garantisca che tutto vada liscio: duecento senza casa, sfrattati dalle loro abitazioni dai nuovi proprietari fondiari per far posto a nuovi, più ricchi insediamenti, hanno minacciato di occupare le strade centrali dell'antica capitale quando il presidente Usa arriverà. E' assai dubbio che ci riusciranno.

Anche Pechino si prepara ad accogliere Clinton, la sua gigantesca delegazione (1500 persone) ed il suo corteo di centinaia di auto nere con curiosità mista al terrore per l'effetto che gli spostamenti corazzati del presidente potrebbero avere sul già congestionato traffico della capitale. Ogni trasferimento da e verso la palazzina 18 della Diaoyutai, la residenza ufficiale per gli ospiti di stato (che oggi viene affittata anche privatamente per la modica cifra di 20.000 dollari a notte), significa un attraversamento delle principali arterie di comunicazione della città, ed una paralisi certa di almeno un'ora.

Scomparsa ogni traccia del fino a ieri fiorente traffico di falsi Cd americani (sia a Shanghai che a Pechino i venditori di strada hanno preferito prendersi una vacanza), ripulita delle manifestazioni più evidenti di un'economia sommersa sempre più ingombrante, la capitale cinese si presenta al presidente Usa con la sua familiare ed inamovibile cappa di smog. Tutti i media sono impegnati a non perdere il treno dell'evento: dei mille giornalisti al seguito circa trecento saranno quelli cinesi; la visita andrà in diretta su Internet (in un sito del governo cinese www.china.com).

Non si può non ricordare che l'unico evento della recente storia cinese comparabile a questo per magnitudo e presenza dei media internazionali fu la visita di Gorbaciov nel 1989, proprio nel bel mezzo delle dimostrazioni studentesche di quell'anno. Allora Gorbaciov non poté essere ricevuto a Tian'an Men, occupata dagli studenti. Clinton, probabilmente ci riuscirà, a dispetto di quanti in patria criticano la scelta della piazza simbolo della repressione come luogo per la celebrazione della rinnovata amicizia tra i due paesi che si vorrebbero oggi i più potenti del mondo.

Ci sono tutti gli ingredienti di un vero summit, dunque, carico di significati simbolici ma anche ricco di incognite e di potenziali novità, sia per i rapporti bilaterali sia per la risistemazione degli equilibri regionali dopo la crisi del Giappone e della Corea. Clinton giunge a Pechino accompagnato dall'enfasi declamatoria sui diritti umani impostagli da necessità interne, intenzionato a traghettare la Cina "dalla parte giusta della storia", ma anche pressato dagli interessi degli investitori americani, e con la necessità di discutere, non più di intimare, soluzioni per l'Asia orientale e meridionale, dove riemergono instabilità economiche e militari cui gli Usa non sono più in grado di far fronte da soli.

Jiang Zemin, da parte sua, si prepara ad incassare le ennesime bordate sui diritti umani e a fare le sue concessioni (è di pochi giorni fa l'annuncio del presidente che la Cina siglerà in autunno anche la seconda convenzione Onu sui diritti politici e civili, durante un' intervista al settimanale americano Newsweek ripresa eccezionalmente anche dal Quotidiano del Popolo), in cambio del riconoscimento del proprio ruolo regionale nella risoluzione della crisi dei mercati finanziari nonché di mediatore e ago della bilancia tecnologica nel build-up nucleare di India e Pakistan.

Jiang, erede del pragmatismo denghista, sa di poter contare su una posizione forte su molte questioni calde, e sembra disposto a lasciare che l'immagine di Clinton in patria guadagni punti sul terreno della difesa dei diritti civili (una funzione religiosa ufficiale per il presidente è prevista domenica a Pechino), a favore di un certo assopimento strategico dei tradizionali motivi di tensione tra Usa e Cina. Taiwan è preoccupata per l'atteggiamento troppo conciliante di Washington sulle prospettive di una "riunificazione pacifica", che potrebbe ulteriormente indebolire la posizione dell'isola nel contesto internazionale e negli oramai inevitabili colloqui politici bilaterali nei quali Pechino vorrebbe coinvolgere anche Washington; il tutto proprio in una fase in cui le economie delle "due" Cina sembrano le uniche in grado di trainare l'area fuori dalla recessione. I timori di un cambio di rotta americano hanno fatto passare notti insonni al ministro degli esteri di Taiwan Jason Hu, che ha candidamente dichiarato al proprio parlamento di aver tempestato di telefonate il dipartimento di stato Usa prima di ricevere assicurazione sulla continuità dell'ombrello americano sull'isola.

Il recente discorso di Clinton sulla "China Policy" continua ad insistere sul tema del coinvolgimento di Pechino nell'arena della politica e dell'economia mondiali. Per questo la visita potrebbe portare a passi avanti decisivi per il processo di ammissione della Rpc nell'Organizzazione Mondiale del Commercio, che rischia di "perdere di significato" (sono parole di Jiang) se l'assenza della Cina dovesse prolungarsi.

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