SICUREZZA
Il cattivo
esempio
del pubblico:
la legge 626
è in ritardo
- ALESSANDRA BARBERIS
- ROMA
S
ulla legge 626 per la sicurezza nei luoghi di lavoro lo
stato ha dato un pessimo esempio: l'applicazione della 626 nel
settore pubblico, se non è completamente disattesa, è per lo meno
distribuita a macchia di leopardo. E' questa la fotografia emersa
ieri dall'assemblea unitaria di Cgil, Cisl e Uil sulla 626 nella
pubblica amministrazione. I rappresentanti per la sicurezza hanno
raccontato situazioni paradossali: il soggetto pubblico si è
concesso deroghe e proroghe, in parte giustificabili ma in parte
utilizzate per indugiare infinitamente - dal termine per le
scuole prorogato al 1999 al decreto sulla "specificità" dei beni
culturali - indietreggia sulle risorse necessarie per adeguare
edifici e impianti. La depenalizzazione, se non sarà fermata in
tempo, andrebbe a peggiorare il quadro. Come ha ricordato Paola
Agnello Modica, delle segreteria della Funzione pubblica-Cgil, il
soggetto pubblico è un datore di lavoro sfuggente e molteplice.
Ma determinare la figura del datore è decisivo per formare gli
organismi paritetici territoriali, quelle strutture composte da
lavoratori e "padroni" pubblici che dovrebbero occuparsi insieme
della sicurezza. E' particolarmente grave il caso dei Vigili del
fuoco, che non hanno ancora potuto eleggere i propri
rappresentanti per la sicurezza perché l'Aran (l'agenzia pubblica
per la contrattazione) e il ministero degli interni si rimandano
a vicenda il ruolo di datore di lavoro e non è quindi possibile
firmare l'accordo per gli Rls. Così - spiega Fabrizio Cola,
coordinatore nazionale dei vigili del fuoco della Cgil - i
pompieri sono stati sottoposti all'ultima visita di controllo sei
anni fa, e nel frattempo molti di loro sono morti o si sono
infortunati in servizio per cause che avrebbero potuto essere
evitate, come nel caso recente di un vigile del fuoco stroncato
da un infarto durante un intervento.
A parte i pompieri, nel settore pubblico i lavori pericolosi sono
meno diffusi che in quello privato, ma ciò non vuol dire che non
si corrano rischi. E soprattutto i rischi riguardano sia i
lavoratori che gli utenti dei servizi. Anzitutto nella sanità -
il rogo della camera iperbarica di Milano non si dimentica - ma
anche nella scuola e nelle università. La rappresentante per la
sicurezza del Politecnico di Torino ha illustrato quanto sia
complicato tentare di applicare la 626 in un ateneo: la maggior
parte dei lavoratori sottoposti ai rischi sono atipici (dai
lavoratori a tempo determinato veri e propri, ai borsisti e
laureandi), mentre i docenti non si considerano "lavoratori" e
quindi rifiutano le regole di sicurezza.
"Nel settore pubblico l'applicazione della 626 è decisamente più
arretrata che in quello privato - ha concluso Betti Leone, della
segreteria Cgil - perché in quest'ultimo resta aperto l'enorme
problema delle piccole imprese e del lavoro atipico, ma nelle
grandi industrie i rappresentanti sono stati eletti e la messa a
norma è stata fatta". La segretaria di corso D'Italia ha insisto
sul ruolo della contrattazione. "La legge 626 è una legge
partecipativa - ha detto Leone - ma la contrattazione deve
rafforzare il ruolo dei rappresentanti per la sicurezza: anche se
sono una figura istituzionale, non possono essere lasciati soli".