MUSICA CONCERTI
- MARCELLO LORRAI - PALERMO
N on è da oggi che c'è chi dice che Khaled non fa più raï. Intanto ci sarebbe da intendersi su dove comincia e dove finisce il raï, un genere che almeno dagli anni '60 non è vincolato a dei precisi canoni stilistici, e si muove in una dimensione vitalisticamente sincretistica. Se c'è un denominatore comune è forse solo in una certa attitudine vocale inequivocabilmente raï e quanto a questo, Khaled è fuori discussione. Ma cosa dire poi di una situazione obiettivamente difficile (concerto gratuito, platea quindi non tutta motivata, palco all'aperto e dunque atmosfera dispersiva) in cui Khaled, invece di andare sul sicuro con i pezzi di presa più immediata, cuoce il pubblico a fuoco lento e solo verso la fine scatena tutti con il micidiale ritornello di "Didi" e con "Aicha", l'altro suo grande hit. Nell'attesa, nel bel mezzo dell'esibizione, si abbandona ad una canzone lenta e lamentosa in cui lo accompagnano soltanto due tastiere e la tromba: melopee tristi che più raï non si può, che sfiaccano il grosso del pubblico. Ad una delle due tastiere c'è Cheb Kada, al suo fianco fin dai primi anni '80, quando Khaled dalla Orano natale tentava per la prima volta la fortuna ad Algeri, e alla tromba Djaffar Bensetti, con lui da un paio di lustri: sia Kada che Bensetti sono oranesi doc come Khaled. Pubblico folto davanti alla scena eretta di fianco alle palme di piazza Politeama, e moltissimi maghrebini con famiglie intere e un sacco di bambini piccoli. Arabofoni, forse loro si renderanno conto che dietro l'attacco sbarazzino e l'andamento ciondolante di "Lillah" c'è un'invocazione di struggente nostalgia: "Perdio, Algeria, oh fiore dell'anima, sogno il giorno in cui l'incenso del tuo amore torni a profumare le tue strade, le tue storie, i tuoi figli, un giorno tornerà l'amore, non ci sarà né esilio, né separazioni dolorose, non ci saranno più venti di guerra, sotto il tuo cielo azzurro". Con una sezione di fiati molto swingante, il gruppo che accompagna Khaled riesce a tenere dentro tutto: il raï malinconico e le cadenze reggae, le schitarrate rock e le percussioni incalzanti, fino al riff al fulmicotone di "El harba ouine", dove la chitarra, come nel recente album "Hafla", primo live della discografia internazionale di Khaled, guida il complesso in una dimensione inedita, fra soukouss congozairese e zouk antillano, e la voce di Khaled, di cui il "re" del raï, fra troppi concerti, troppe sigarette, troppo alcool e troppo poco sonno, ha forse abusato, con i toni bassi e rauchi: del resto coerentemente, dietro l'apparenza innocua
del pezzo per chi non conosca il testo e la sua storia, con una canzone che secondo la leggenda, fu intonata come un inno di rivolta ("fuggire, ma dove?") dai giovani scesi nelle strade nella "rivolta del pane" dell'88 e falciati dalla repressione quando a massacrare non erano ancora arrivati gli integralisti. Khaled la canta agitando la "bandiera della pace" avuta dal sindaco Orlando. Il messaggio è meno anodino di quello che sembra: in un incontro pubblico, il giorno dopo Khaled dice: "In Algeria non si sa chi fa che cosa". Il concerto palermitano è stato un anticipo di tournée: Khaled sarà di nuovo in Italia in luglio, il 14 a Napoli, il 15 a Taormina il 17 a Cagliari, il 18 a Milano e il 19 a Torino.