IL DIRITTO DI PLATONE

VEGETTI MARIO

IL DIRITTO DI PLATONE

Tra filosofia e scienza, il sapere necessario per resistere alla proliferazione dei messaggi

- MARIO VEGETTI -

D iscutendo il bel libretto di Lucio Russo, Segmenti e bastoncini , Michelangelo Notarianni (il manifesto del 7 aprile) ci invita a riaprire, con un certo respiro, il discorso sulla scuola. E' urgente farlo, perché molte cose si stanno muovendo, anzi è un dovere imperativo per la cultura di sinistra, ma al tempo stesso non è facile. Le impetuose iniziative di Luigi Berlinguer e del suo ministero (non sempre collimano) sono state spesso tali da suscitare un motivato senso di confusione e di irritazione. Penso all'intempestiva sperimentazione avviata in circa 150 scuole, o alla malposta discussione sul primato del Novecento, o alla riforma dell'esame di maturità che precede, anziché concludere, la riforma dell'insegnamento che culmina di quell'esame, o ancora a un certo modo di parlare dell'autonomia scolastica (in termini di sponsor, di presidi come "capi d'azienda" eccetera), che sarebbe sinistro se in realtà non risultasse un po' comico. Tutto questo rischia di deviare l'attenzione dalle due cose davvero importanti avviate da Berlinguer: la riforma dei cicli scolastici con il prolungamento dell'obbligo a 15 anni, che è in parlamento, e il progetto di ridefinizione dei saperi di base che la scuola dovrebbe essere chiamata a trasmettere (la terza cosa sarebbe la riqualificazione sociale e culturale della professione dell'insegnante, senza la quale tutto il resto diventa futile, ma di questo sembra per ora che nessuno abbia la voglia, o il coraggio di parlare: né il ministro né, in fondo, gli stessi insegnanti).

Non parlerò qui dei cicli, che pure presentano motivi di interesse e anche di preoccupazione: soprattutto quella di una scelta prematura, intorno ai 12/13 anni, del futuro scolastico dei giovani, che rischia di registrare e irrigidire la condizione sociale delle famiglie più che corrispondere ad un'autonoma decisione dello studente.

Mi interessano adesso i saperi previsti per la nuova scuola. C'è qui un interessante teorema proposto da Russo: la società chiede alla scuola di formare non più produttori ma consumatori; dunque la scuola deve sostituire la tradizionale offerta di strumenti concettuali (cui assolveva almeno il vecchio liceo) con un processo di deconcettualizzazione; dunque, la riforma che Russo chiama di Berlinguer-Maragliano elimina tutto ciò che ha a che fare con una formazione intellettuale aperta e critica, per esempio lo studio della cultura classica, della storia della filosofia, della stessa storia pre-moderna. C'è una fallacia intellettuale in questo teorema, ed una politica. La prima consiste nel fatto di passare da una premessa descrittiva, accettabile, ad una conclusione predittiva, del tutto controfattuale (per accertarsene basta vedere il documento della commissione Maragliano ristretta, che Berlinguer ha fatto proprio presentandolo ai Lincei il 20 marzo, e che chiunque può consultare su Internet). La fallacia politica è che ad una situazione sociale data debba necessariamente corrispondere una risposta politica coerente. Accade spesso così, ma non sempre, magari quando esiste un governo di centro-sinistra.

Perché non vedere come stanno davvero le cose? La "commissione Maragliano" ha escluso di dovere formulare una tavola dei valori che la scuola fosse chiamata a consegnare alle "giovani generazioni"; e anche un prontuario delle nozioni necessarie a "menti d'opera in formazione", come diceva Giancarlo Lombardi ai sui tempi confindustriali. Ci si è invece posti la domanda: che cosa ha diritto di imparare un cittadino della Repubblica nel corso della sua formazione scolastica? Può darsi che le risposte siano state sbagliate, ma questa domanda non è quell'imbonimento del futuro consumatore che Russo prevede/descrive. Per venire comunque agli esempi cari a Russo: si è pensato, e scritto, che fra questi diritti c'è la conoscenza della cultura classica come radice della nostra identità intellettuale. E c'è la conoscenza della filosofia, intesa come capacità di costruire, comprendere e confutare argomentazioni su questioni di verità e di valore, usando anche gli strumenti della tradizione filosofica nei suoi nodi principali.

E' chiaro che rendere questi diritti culturali disponibili a tutti gli studenti (e non solo a quelli dei licei) comporta sacrifici: si ottiene una massa critica tale da rendere impensabile che tutti possano leggere Sofocle in greco, o conoscere la differenza fra lo scetticismo di Arcesileo e quello di Enesidemo. Questo sarà sicuramente insegnato nell'opzione triennale corrispondente al classico attuale. Ma non sembra importante che ogni studente sappia qualcosa di Sofocle, di Platone e di Kant, un diritto che oggi è negato alla grande maggioranza? E non è importante che una filosofia estesa a tutti insegni almeno a costruire una rete di protezione critico-argomentativa nei riguardi della proliferazione di messaggi tesi, questi sì, a "deconcettualizzare il consumatore"?

Proviamo a prendere sul serio queste cose, discutendole e magari rifiutandole, ma senza dare tutto per perso fin dall'inizio, come è costume diffuso (e deconcettualizzato) da queste parti. E mi piacerebbe molto che gli insegnanti (almeno quelli che prendono ancora sul serio il loro mestiere) facessero sentire la loro voce.

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