Fuori dalla disoccupazione

IN MARCIA!PER IL LAVORO

Fuori dalla disoccupazione

IN MARCIA! PER IL LAVORO

I NIZIANO a rendersi visibili. Prima in Francia, ora in Germania, ma anche in Italia, nel sud disastrato dei senza lavoro. Sono i disoccupati, 18 milioni di persone in tutta Europa, una massa composta da giovani, donne, da lavoratori espulsi dalle grande fabbriche e trasformati in una moltitudine di partite Iva. Sono il prodotto delle politiche neoliberiste, che nel trattato di Maastricht vedono sancita la loro sacralità ufficiale. L'imperativo della concorrenza internazionale spinge il capitalismo di fine secolo ad accelerare le ristrutturazioni aziendali, aumentando i ritmi di lavoro e imponendo l'applicazione di una flessibilità del lavoro parossistica, con l'effetto di far diminuire il numero dei lavoratori dipendenti ufficiali, accrescendo quello di figure lavorative "nuove", formalmente autonome, in realtà totalmente precarizzate e soggette ai meccanismi perversi del libero mercato e di fatto più "dipendenti" dei cosiddetti lavoratori garantiti. Quindi più "dipendenti" dall'impresa. E nessun aumento in termini assoluti della produzione libera più risorse per nuova occupazione, perché l'aumento di produttività assorbe tutto.Si determina così una nuova morfologia sociale in cui, accanto a una massa crescente di disoccupati e disoccupate, si trovano una miriade di rapporti di lavoro precarizzati dall'estensione dei cosiddetti contratti "atipici", ma anche per la prospettiva concreta di perdita del posto di lavoro.

Ma, mentre le condizioni materiali delle diverse tipologie lavorative, e tra queste e i disoccupati, convergono sempre più, delineando una zona grigia in cui i confini si fanno più labili, sul piano sociale si realizza una frattura e una "scomposizione" tra i vari soggetti, che depotenzia le possibilità di resistenza del composito movimento operaio, alimentando il terreno di crescita delle destre.

Insieme

La partita oggi si gioca, e si può vincere, invece, solo se si lavora costantemente e minuziosamente per ricostruire un'unità dei diversi soggetti sociali. L'unità di disoccupati, occupati e precari rappresenta oggi la scommessa ineludibile per aggredire alla base di scarsità di lavoro e le politiche che la determinano, per ricreare le condizioni stesse di una prospettiva di cambiamento sociale.Anche per questo è nata l'associazione In Marcia! per il lavoro, con l'obiettivo di organizzare disoccupati e precari, portando avanti, insieme alle forze impegnate nella costruzione delle marce europee per il lavoro, una battaglia comune contro la disoccupazione, il precariato e l'esclusione. Ma assumendo come valore fondante, l'unità tra disoccupati e occupati.

1) In Italia, si sta giocando in questi giorni e in queste ore, la partita cruciale delle 35 ore a parità di salario, e la legge che ne consegue. La riduzione d'orario costituisce il tassello strategico di una nuova concezione dei rapporti di forza tra capitale e lavoro, disegna un nuovo, possibile, orizzonte sociale, fa giustizia, oggi, degli sbalorditivi incrementi di produttività e di profitti, realizzati dalle imprese. La riduzione d'orario, a parità di salario, senza aumento di ritmi e straordinari è un diritto irrinunciabile.

Riduzione tangibile quindi, oggi a 35 ore per tutti e tutte con la legge, puntando a 32-30 ore con la contrattazione nazionale in alcuni settori pubblici e privati, in modo da realizzare immediatamente lo scarto necessario tra l'orario attuale e quello futuro. Riduzione senza perdita di salario, ma capace anzi di rimettere al centro delle lotte contrattuali la questione salariale, con un aumento significativo dei minimi e reintroducendo un meccanismo certo di indicizzazione. Riduzione settimanale, senza alcuna concessione a ipotesi di annualizzazione, che costituirebbero nuove inaccettabili flessibilità del lavoro. Anzi, vanno ripristinate alcune "rigidità", come l'abolizione del lavoro notturno al di fuori dei cicli continui e dei servizi indispensabili. Riduzione che preveda penalizzazione per le ore straordinarie, comunque contrattate e in relazione a eccezionali esigenze tecniche.

2) Ma la riduzione da sola non basta a sostenere la fatica quotidiana, la vera e propria disperazione, di chi il lavoro non ce l'ha. Il diritto al lavoro è una rivendicazione essenziale per costruire una società più giusta e civile, ma nel frattempo è essenziale garantire a tutti e tutte le condizioni minime per vivere. "Il lavoro è un diritto, ma un reddito ci è dovuto" hanno urlato i disoccupati francesi di Ac!. Questa parola d'ordine la facciamo nostra.

Un salario sociale è possibile. L'enorme quantità di profitti incamerati (+17% nel solo '97) dalle imprese, spesso con il contributo statale, indirizzati sui mercati finanziari ai fini di una speculazione inaccettabile, può essere dirottata per un obiettivo sociale. Una tassa sui profitti e sulle transazioni internazionali, può garantire, a chi quotidianamente affronta il duro lavoro di "cercare lavoro", il diritto di non essere ricattato o ricattata, di vivere in condizioni dignitose. Così come la massa gigantesca dell'evasione/elusione fiscale (250.000 miliardi l'anno) può permettere di produrre la risorsa finanziaria necessaria a realizzare il salario sociale.

Un salario sociale è possibile perché nella legislazione vigente sono previste norme in materia di "garanzia del salario", modificatesi nel corso degli anni in relazione ai processi di ristrutturazione e ai settori lavorativi. L'integrazione salariale e contributiva ha una durata media di 36 mesi e riguarda chi perde il lavoro nel settore pubblico e privato e nelle attività stagionali. La nuova condizione del lavoro e del non lavoro deve prevedere una garanzia di reddito a chi non ha mai avuto un'occupazione, per permettere un reale inserimento nel mondo del lavoro e un sostegno per i lavori "intermittenti". Lo chiamiamo salario sociale perché all'integrazione salariale di "emergenza" va affiancata la gratuità dei servizi pubblici essenziali. Abolizione dei ticket sanitari, gratuità del trasporto pubblico, concessione di alloggi popolari a equo canone, predisposizione di piani formativi gratuiti post-scuola dell'obbligo. Il salario sociale è l'integrazione tra reddito monetario e pacchetto di servizi sociali minimi. Chiama in causa direttamente il monte profitti realizzati dalle imprese, che vanno opportunamente ridistribuiti in funzione, appunto, sociale. Un salario sociale quindi, come strumento per un inserimento, dignitoso, nel mondo del lavoro che, al di là di una sterile concezione lavorista, rappresenta un terreno decisivo del conflitto sociale.

3) Una vertenza generalizzata a livello locale e nazionale, può essere avviata per ottenere Piani per il lavoro, che affrontino radicalmente l'assetto del territorio, le scelte produttive nazionali e locali, i progetti di sviluppo, soprattutto nel Mezzogiorno. Viviamo in un paese disastrato geologicamente, arretrato nella tutela ecologica, con infrastrutture fatiscenti (gli acquedotti), con ferrovie inadeguate e pericolose, con migliaia di chilometri di coste abbandonate a se stesse, o peggio, preda della speculazione edilizia. Assistiamo alla chiusura di fabbriche sane, alla svendita di patrimonio pubblico, a privatizzazioni che rappresentano uno scandaloso regalo al profitto privato. Ci sono tutti gli spazi per costruire progetti capaci di creare lavoro, se solo si mettesse al centro della politica economica la riqualificazione del servizio pubblico. Creare nuovo lavoro è possibile, a condizione che ci si dia una politica per il lavoro svincolata dall'imperativo del profitto, ma capace invece di riconoscere l'utilità pubblica di lavori e servizi che valorizzano la comunità sociale. Sono lavori e saperi che non possono essere sottoposti alla logica mercantile.

Chiamiamo in causa pertanto i comuni, le province, le regioni, le aziende pubbliche, i ministeri interessati, perché avviino progetti di lavoro, ammodernando gli organici, avviando programmi nuovi, così come fu ottenuto nel dopoguerra con l'imponibile di manodopera. Si possono realizzare progetti fuori dalla logica clientelare e burocratica che ha caratterizzato le varie "casse per il mezzogiorno", che coinvolgano lavoratori e lavoratrici, popolazioni locali, strutture organizzate.

Il nostro Giubileo

Noi agiremo in questo senso. "Requisendo" posti di lavoro, facendo "scioperi alla rovescia", costringendo, ad esempio, il comune di Roma a realizzare un piano organico per il lavoro (un "Giubileo per il lavoro"). Lo faremo anche in tutte quelle aziende che vantano utili plurimiliardari, perché li utilizzino per creare nuova occupazione.

4) Difenderemo il complesso e variegato mondo del lavoro precario. Part-time obbligati, partite Iva forzate, lavori stagionali, precari del pubblico impiego, borsisti di lavoro, nazionali e locali. Tutti abbiamo il diritto a ottenere un posto di lavoro stabile e duraturo. Per questo è inaccettabile un reintroduzione surrettizia delle gabbie salariali, che oggi passa per i contatti d'area.

5) La nostra è una piattaforma articolata che si rivolge alle diverse figure sociali con l'obiettivo della loro unificazione. In questo senso In Marcia! è uno strumento di lavoro, che si fonda sull'esperienza dei suoi collettivi locali e delle sua capacità di coordinamento nazionale. Uno strumento di mobilitazione, di scambio di esperienze tra occupati e disoccupati. Per estendere le lotte, per mobilitarsi dappertutto. Ma l'obiettivo principale è un nuovo movimento che sappia darsi da sé la propria rappresentatività. Per questo mettiamo al centro della nostra piattaforma la costruzione di comitati unitari per il lavoro che organizzino le lotte di disoccupati, occupati, precari, in tutte le città. A partire dal rilancio del Comitato italiano delle marce europee, che dovrà essere canale di mobilitazione per un'Europa sociale e del lavoro.

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