I
NIZIANO
Ma, mentre le condizioni materiali delle diverse tipologie
lavorative, e tra queste e i disoccupati, convergono sempre più,
delineando una zona grigia in cui i confini si fanno più labili,
sul piano sociale si realizza una frattura e una "scomposizione"
tra i vari soggetti, che depotenzia le possibilità di resistenza
del composito movimento operaio, alimentando il terreno di
crescita delle destre.
1) In Italia, si sta giocando in questi giorni e in queste ore,
la partita cruciale delle 35 ore a parità di salario, e la legge
che ne consegue. La riduzione d'orario costituisce il tassello
strategico di una nuova concezione dei rapporti di forza tra
capitale e lavoro, disegna un nuovo, possibile, orizzonte
sociale, fa giustizia, oggi, degli sbalorditivi incrementi di
produttività e di profitti, realizzati dalle imprese. La
riduzione d'orario, a parità di salario, senza aumento di ritmi e
straordinari è un diritto irrinunciabile.
Riduzione tangibile quindi, oggi a 35 ore per tutti e tutte con
la legge, puntando a 32-30 ore con la contrattazione nazionale in
alcuni settori pubblici e privati, in modo da realizzare
immediatamente lo scarto necessario tra l'orario attuale e quello
futuro. Riduzione senza perdita di salario, ma capace anzi di
rimettere al centro delle lotte contrattuali la questione
salariale, con un aumento significativo dei minimi e
reintroducendo un meccanismo certo di indicizzazione. Riduzione
settimanale, senza alcuna concessione a ipotesi di
annualizzazione, che costituirebbero nuove inaccettabili
flessibilità del lavoro. Anzi, vanno ripristinate alcune
"rigidità", come l'abolizione del lavoro notturno al di fuori dei
cicli continui e dei servizi indispensabili. Riduzione che
preveda penalizzazione per le ore straordinarie, comunque
contrattate e in relazione a eccezionali esigenze tecniche.
2) Ma la riduzione da sola non basta a sostenere la fatica
quotidiana, la vera e propria disperazione, di chi il lavoro non
ce l'ha. Il diritto al lavoro è una rivendicazione essenziale per
costruire una società più giusta e civile, ma nel frattempo è
essenziale garantire a tutti e tutte le condizioni minime per
vivere. "Il lavoro è un diritto, ma un reddito ci è dovuto" hanno
urlato i disoccupati francesi di Ac!. Questa parola d'ordine la
facciamo nostra.
Un salario sociale è possibile. L'enorme quantità di profitti
incamerati (+17% nel solo '97) dalle imprese, spesso con il
contributo statale, indirizzati sui mercati finanziari ai fini di
una speculazione inaccettabile, può essere dirottata per un
obiettivo sociale. Una tassa sui profitti e sulle transazioni
internazionali, può garantire, a chi quotidianamente affronta il
duro lavoro di "cercare lavoro", il diritto di non essere
ricattato o ricattata, di vivere in condizioni dignitose. Così
come la massa gigantesca dell'evasione/elusione fiscale (250.000
miliardi l'anno) può permettere di produrre la risorsa
finanziaria necessaria a realizzare il salario sociale.
Un salario sociale è possibile perché nella legislazione vigente
sono previste norme in materia di "garanzia del salario",
modificatesi nel corso degli anni in relazione ai processi di
ristrutturazione e ai settori lavorativi. L'integrazione
salariale e contributiva ha una durata media di 36 mesi e
riguarda chi perde il lavoro nel settore pubblico e privato e
nelle attività stagionali. La nuova condizione del lavoro e del
non lavoro deve prevedere una garanzia di reddito a chi non ha
mai avuto un'occupazione, per permettere un reale inserimento nel
mondo del lavoro e un sostegno per i lavori "intermittenti". Lo
chiamiamo salario sociale perché all'integrazione salariale di
"emergenza" va affiancata la gratuità dei servizi pubblici
essenziali. Abolizione dei ticket sanitari, gratuità del
trasporto pubblico, concessione di alloggi popolari a equo
canone, predisposizione di piani formativi gratuiti post-scuola
dell'obbligo. Il salario sociale è l'integrazione tra reddito
monetario e pacchetto di servizi sociali minimi. Chiama in causa
direttamente il monte profitti realizzati dalle imprese, che
vanno opportunamente ridistribuiti in funzione, appunto, sociale.
Un salario sociale quindi, come strumento per un inserimento,
dignitoso, nel mondo del lavoro che, al di là di una sterile
concezione lavorista, rappresenta un terreno decisivo del
conflitto sociale.
3) Una vertenza generalizzata a livello locale e nazionale, può
essere avviata per ottenere Piani per il lavoro, che affrontino
radicalmente l'assetto del territorio, le scelte produttive
nazionali e locali, i progetti di sviluppo, soprattutto nel
Mezzogiorno. Viviamo in un paese disastrato geologicamente,
arretrato nella tutela ecologica, con infrastrutture fatiscenti
(gli acquedotti), con ferrovie inadeguate e pericolose, con
migliaia di chilometri di coste abbandonate a se stesse, o
peggio, preda della speculazione edilizia. Assistiamo alla
chiusura di fabbriche sane, alla svendita di patrimonio pubblico,
a privatizzazioni che rappresentano uno scandaloso regalo al
profitto privato. Ci sono tutti gli spazi per costruire progetti
capaci di creare lavoro, se solo si mettesse al centro della
politica economica la riqualificazione del servizio pubblico.
Creare nuovo lavoro è possibile, a condizione che ci si dia una
politica per il lavoro svincolata dall'imperativo del profitto,
ma capace invece di riconoscere l'utilità pubblica di lavori e
servizi che valorizzano la comunità sociale. Sono lavori e saperi
che non possono essere sottoposti alla logica mercantile.
Chiamiamo in causa pertanto i comuni, le province, le regioni, le
aziende pubbliche, i ministeri interessati, perché avviino
progetti di lavoro, ammodernando gli organici, avviando programmi
nuovi, così come fu ottenuto nel dopoguerra con l'imponibile di
manodopera. Si possono realizzare progetti fuori dalla logica
clientelare e burocratica che ha caratterizzato le varie "casse
per il mezzogiorno", che coinvolgano lavoratori e lavoratrici,
popolazioni locali, strutture organizzate.
4) Difenderemo il complesso e variegato mondo del lavoro
precario. Part-time obbligati, partite Iva forzate, lavori
stagionali, precari del pubblico impiego, borsisti di lavoro,
nazionali e locali. Tutti abbiamo il diritto a ottenere un posto
di lavoro stabile e duraturo. Per questo è inaccettabile un
reintroduzione surrettizia delle gabbie salariali, che oggi passa
per i contatti d'area.
5) La nostra è una piattaforma articolata che si rivolge alle
diverse figure sociali con l'obiettivo della loro unificazione.
In questo senso In Marcia! è uno strumento di lavoro, che si
fonda sull'esperienza dei suoi collettivi locali e delle sua
capacità di coordinamento nazionale. Uno strumento di
mobilitazione, di scambio di esperienze tra occupati e
disoccupati. Per estendere le lotte, per mobilitarsi dappertutto.
Ma l'obiettivo principale è un nuovo movimento che sappia darsi
da sé la propria rappresentatività. Per questo mettiamo al centro
della nostra piattaforma la costruzione di comitati unitari per
il lavoro che organizzino le lotte di disoccupati, occupati,
precari, in tutte le città. A partire dal rilancio del Comitato
italiano delle marce europee, che dovrà essere canale di
mobilitazione per un'Europa sociale e del lavoro.
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