LA CINA DEL DUEMILA E DI DIRIGENTI.

SALVATICI LUCIO

La Cina del Duemila e i dirigenti di sempre

LUCIO SALVATICI - PECHINO

L' ELEZIONE, o meglio sarebbe dire la "conferma" (trattandosi di candidature uniche) di un leader cinese non è mai stata fonte di sorprese. Quella di Zhu Rongji a primo ministro nell'era della "quarta generazione" era certo uno degli eventi più annunciati degli ultimi mesi. Eppure la maggioranza "bulgara" espressa dai 3.000 deputati dell'Assemblea Nazionale del Popolo (solamente 60 i voti contrari, inclusi gli astenuti), riunita in sessione plenaria per due settimane come tutti gli anni in marzo, è un segnale certamente positivo per il nuovo premier. Soprattuto in considerazione della meno rassicurante maggioranza ("solo" l'88,6% dei suffragi) ottenuta dal suo predecessore Li Peng, unico candidato imposto dal partito alla presidenza del Parlamento, solo un giorno prima.

I giorni del voto sono stati l'unico momento di incertezza e di suspense in una edizione dell'Assemblea peraltro passata inosservata. A soffrirne, a Pechino, sono stati solamente gli affari del mercato nero, fermo per la superattività della polizia impegnata a controllare il movimento frenetico dei tremila deputati, distribuiti in una miriade di alberghi di proprietà dei governi provinciali, dove fremevano le attività di lobby dei candidati al Consiglio di Stato, preoccupati non tanto di essere sconfitti dal voto ma piuttosto di perdere la faccia - a fronte di un elevato numero di no - ancora prima di aver assunto la carica. Non era difficile nei giorni scorsi che i ridondanti grandi magazzini del centro venissero chiusi militarmente per un paio d'ore per lasciare il tempo ai delegati di fare lo shopping in santa pace, o che la presenza inattesa di un delegato in qualche quartiere residenziale provocasse posti di blocco estemporanei per difenderne la privacy.

Tutto come previsto quindi per gli uomini e per le strategie già delineate in anticipo. Li Peng è il primo premier a lasciare l'incarico per scadenza del mandato e a rimanere in sella, pur senza il gradimento dell'organo legislativo. Zhu Rongji è il primo ad assumere la carica senza un apparente ampio supporto dell'esercito, ma sulla base di un curriculum e di una rete di "parentele" quasi esclusivamente di tipo economico. Zhu, descritto dalla voce popolare come rude ed integerrimo, è anche, nelle parole di Deng Xiaoping, "l'unico vero esperto dieconomia dentro il partito". Per que-

sta sua unicità si è gia più volte sobbarcato il ruolo dell'antipatico, al punto che i tre anni di austerity che hanno tagliato l'inflazione (assieme a milioni di posti di lavoro), grazie a una politica di stretta creditizia che la Cina sta ancora scontando, gli sarebbero potuti costare il posto. Ma in una situazione complessa, e in una fase tanto delicata del processo di ristrutturazione delle imprese di stato, nessuno avrebbe potuto più e meglio di Zhu tenere insieme tutti gli attori di questa fase: le banche, le grandi corporazioni, i governi provinciali, i grandi capitali stranieri in sospettosa attesa della piega che prenderà la situazione. In tutti questi ambiti Zhu ha sistemato oramai i suoi uomini più fidati: Dai Xianglong, governatore della Banca centrale - e giudice dei destini di una valuta di cui si continua a prevedere una svalutazione ma che continua a volare - è un lealista della prima ora, da quando il "boss" (come lo si chiama) era sindaco di Shanghai, e così lo sono molti giovani nuovi presidenti delle grandi banche cinesi.

Dall'Assemblea del popolo sono uscite le nomine a Consiglieri di stato (membri del governo) anche per ministri amici come la signora di ferro Wu Yi (ex ministro del Commercio estero) e Wang Zhongyu (la cui Commissione di stato per l'economia e il commercio, invenzione di Zhu Rongji, è stata promossa al rango di superministero economico).

Il nuovo governo rispecchia dunque nella sua composizione tecnocratica i risultati del recente Congresso del partito, mentre si prepara alla ardua realizzazione di un doppio progetto di ristrutturazione: quello delle grandi imprese di Stato secondo il modello dei "grandi gruppi" (che neanche il panico per la crisi coreana è riuscito a fermare) ai quali affidare buona parte della competitività internazionale del sistema economico cinese; e quello dell'amministrazione dello stato, con l'accorpamento di alcuni ministeri, lo smantellamento di altri e la "privatizzazione" di altri ancora.

Entrambi questi processi hanno a che vedere prevalentemente con il taglio dei posti di lavoro (quasi quattro milioni nell'amministrazione - ma una circolare ha già fatto sapere che le macchine "nere" per i dirigenti rimarranno in servizio anche dopo il loro licenziamento - molti di più nell'industria di stato). Con Zhu Rongji sul podio a conquistare l'interesse della stampa internazionale, è infine quasi sfuggito, invece, che il segretario del Partito Jiang Zemin non solo ha ottenuto un risultato elettorale comparabile a quello del suo ex collega di Shanghai nella rielezione a Presidente della repubblica e della Commissione militare centrale, ma è anche riuscito a far nominare il suo pupillo Hu Jintao (il più giovane nel Comitato permanente del Politburo) alla carica di vice presidente, di fatto candidandolo al ruolo di suo successore.

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