B EPPE CACCIA e Luca Casarini (il manifesto dell'8 marzo) chiedono un "dibattito senza preconcetti" sulla "dinamica federalista", sul "movimento federalista", sulla proposta della "federazione dei federalisti".
L'interesse mio, come, credo, di tutti i comunisti, al dialogo con i centri sociali e con le culture verdi alternative deriva dal comune atteggiamento di "radicale critica teorico-pratica all'attuale modello di sviluppo" che si è andato affermando con maggior successo da queste parti, in Veneto. Negli ultimi anni abbiamo compiuto, coi compagni dei centri sociali, e grazie allo stesso manifesto, esperienze importanti, a Parigi, a Bruxelles, a Venezia, a Treviso... e nel Chiapas, per un'"Europa sociale" e contro le destre secessioniste.
Non intendo quindi nascondere tutto il mio dispiacere e le mie preoccupazioni nel vedere che forze che reputo fondamentali per la mia stessa parte politica siano attratte dal discorso, dall'ideologia, dalla pratica politica "federalista". Provo a spiegare perché la penso così.
1. Non credo che possa esistere uno "spazio politico" dove confluiscano idee di società tanto diverse da essere antitetiche, come quelle libertarie e autogestionali dei centri sociali e quelle aziendalistiche e privatistiche, come quelle del confindustriale Mario Carraro o dell'ex assessore regionale alla sanità Luigi Covolo, che lavora per la privatizzazione degli ospedali. Non credo che il "federalismo" possa essere inteso come la nuova metafora della liberazione umana.
2. Bisogna allora districarsi tra i federalismi. C'è quello secessionista di Bossi, c'è quello statalista di Fini (che nell'articolo viene definito "strumentale", ma probabilmente lui dirà lo stesso di quello del sindaco di Venezia), c'è quello presidenzialistico di Galan-Formigoni...
Beppe e Luca vogliono dire che ve ne può essere uno di sinistra, utile alla lotta di liberazione delle classi subalterne e alla loro coalizione contro le forze di mercato? Non lo voglio escludere sul piano dei princìpi teorici; anch'io penso che il nazionalismo e lo statalismo abbiano avuto un grosso peso nel fallimento del comunismo storico. Escludo però che la lotta per la liberazione dalle condizioni di sfruttamento e alienazione di occupati e disoccupati, e per allargare i loro spazi di democrazia e di autogoverno, possa trarre qualche vantaggio dalla attuale vulgata federalista; da uno qualsiasi dei federalismi fin qui proclamati e rivendicati.
3. Ritengo che l'errore sia nel pensare che il "grande rimosso" siano gli squilibri territoriali (la "secessione de facto", che allarga la forbice tra aree del Nord e del sud dell'Europa) e non invece la questione sociale e la struttura classista della società, che produce anche un'altra separazione: quella tra il 20 per cento sempre più ricco della popolazione e il 20 sempre più impoverito, precarizzato, emarginato.
Il federalismo del Nord-est trova fondamento nel fatto che i sistemi economici territoriali della piccola e media industria più produttivi (leggi: capaci di esportare) e ricchi (leggi: capace di maggiori profitti) possono ottenere/trattenere più rimesse pubbliche e quote fiscali.
Ma su questa "oggettiva" connotazione del federalismo nordista dite di essere d'accordo. Non riesco ad immaginare, allora, quale tratto di strada in comune sia possibile fare con i rappresentanti politici di tali forze economiche. Non riesco ad immaginare quale "occasione irripetibile" possa rappresentare il "federalismo", per le vecchie e nuove figure del lavoro sociale, se non quella di tentare di recuperare ritardi e sconfitte (è verissimo che nel Veneto la sinistra ha collezionato errori di analisi, estremismi e subalternità) e organizzare vertenzialità e movimenti di lotta di massa a partire - ad esempio - dai 7 minuti di pausa pagata all'Aprilia, o dall'organizzazione dei precari e dei disoccupati.
Trattasi di "testimonianze"? Non conosco scorciatoie. Credo nella irriducibile autonomia - nel senso di alterità - degli sfruttati; non credo in una autonomia delle formule politiche dai contenuti concreti, economici e di potere che sottendono.
Permettetemi un'unica richiesta: non dite che il federalismo catalano nordestino è l'"unico soggetto politico in grado di fornire una risposta credibile ed efficace di fronte alla barbara prospettiva del secessionismo". Se questa è la sola alternativa molti, a sinistra, potrebbero suicidarsi.