TRANSFUGHI D'ITALIA

VERDI LUIGI

TRANSFUGHI D'ITALIA

LUIGI VERDI

I N MENO di due anni 65 parlamentari hanno cambiato casacca". Questo il secco messaggio dell'Ansa di ieri. Noi del manifesto per tutto possiamo essere meno che per la fedeltà. Chi è nato eretico non può fare un valore della fedeltà che qualcuno di noi (peccaminosamente antianimalista) attribuisce solo ai cani. Ci sarebbe anzi la tentazione di esaltare il dinamismo, la mobilità e flessibilità della politica italiana. Questa tentazione c'è e Francesco Cossiga che vuol riprodurre in Italia il movimento di Giscard d'Estaing (magari evitando lo scandalo dei diamanti di Bokassa) se ne fa paladino. Qui comincia una novella era sembra dirci. Ma non ci convince. Anche in un paese appassionato di calcio e calcio mercato questi 65 eletti dal popolo che in meno di due anni hanno cambiato squadra non ci persuadono. Ci interroghiamo.

Qualcuno, tra i più vecchi di noi, borbotta solitario la parola: trasformismo. E aggiunge la storia d'Italia è storia di trasformismo. E i presenti convengono che in un paese nel quale il Pci e l'Msi hanno, quasi contemporaneamente, cambiato nome qualche problema deve esserci. E qualcun altro può aggiungere che dopo l'iniziale fase della destra storica trasformismo e consociativismo sono stati la costante della storia politica italiana. Qualcuno, più estremista, dirà che anche il fascismo fu consociativo e trasformista, sennò come li spiegate Beneduce e Menichella e anche l'allora giovanissimo Pasquale Saraceno e l'Iri e la nittiana Ina?

Scrivere che oggi nel parlamento italiano ci sono sessantacinque cambiacasacche non serve a niente. Può solo consolare la nostra solitudine. E allora chiediamoci perché questo nostro paese è essenzialmente trasformista, inaffidabile agli alleati esterni e tuttavia vivo e vivace.

Più di uno ha scritto, e bene, del carattere degli italiani, ma oggi siamo a fare i conti non solo con noi stessi, ma con il progetto europeo, che non è una puntata di roulette, ma qualcosa di più serio. Questa volta noi italiani dovremmo fare i conti con noi stessi. Ci può far piacere che un po' di parlamentari fuggano dall'ovile di Berlusconi e che si demolisca l'invenzione, assolutamente casuale e italiana, del trionfo del Cavaliere. Ma se continua così, se non si spiega che il vecchio gioco è finito, allora continuiamo nel vecchio gioco trasformista, dove tutto cambia per restare com'era. Se questo discorso avrà un ascolto esso è rivolto a sinistra e al governo di centro-sinistra. Se ci si ritiene protagonisti di un cambiamento è questo cambiamento che si deve fare. Guadagnare terreno nella persistenza del trasformismo sarebbe solo una dolce eutanasia delle speranze di cambiamento.

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