Una legge subito? Meglio rallentare e ripensarci

D'ELIA CECILIA

PROCREAZIONE

Una legge subito? Meglio rallentare e ripensarci

CECILIA D'ELIA - ROMA Può la legge, e in che misura, porre limiti alla libertà di procreare degli individui regolamentando l'accesso alle tecnologie riproduttive? Il dibattito organizzato ieri a Roma dalla Consulta di bioetica e dall'associazione "Politeia" è stata l'occasione per un confronto ravvicinato fra gli autori del recente manifesto laico per la libertà di procrere e i parlamentari che in commissione affari sociali della camera stanno discutendo il testo di legge sulla fecondazione assistita. Come si sa, il testo non piace ai sottoscrittori del manifesto, che ne contestano la subalternità alla cultura cattolica, la diffidenza nei confronti delle nuove tecnologie riproduttive, e soprattutto i divieti d'accesso alla fecondazione assistita che esso impone; nonché, più in generale, la sovrapposizione fra ciò che deve essere punito e ciò che viene ritenuto illecito sul piano etico (Benagiano). Come ha sostenuto Carlo Augusto Viano, anche assumendo l'ottica degli interessi del nascituro, non si capisce perché il ricorso alle tecnologie debba essere escluso nel caso di donne sole, e non possa essere occasione di prevenzione di malattie genetiche. Al fondo, dice Eugenio Lecaldano, agisce nel testo di legge una grande sfiducia nei confronti dei cittadini, che invece sono moralmente responsabili. E invece è lo stato che dovrebbe arretrare, non perchè le regole non ci debbano essere, ma perchè a fare ordine in questa materia sono le regole che ciascuno, e in particolare ciascuna donna, sa darsi.

A queste obiezioni quasi tutti i parlamentari intervenuti (per prima la relatrice della proposta di legge, Marida Bolognesi, e con lei Fioroni, Palumbo, Procaccini) hanno risposto con la necessità di approvare subito la legge, il miglior compromesso possibile, per regolare il far west della procreazione assistita. Il dibattito etico, culturale e politico, dicono, può "affiancare" la discussione del testo, ma tocca al legislatore stringere sulle mediazioni e gli obiettivi possibili. In nome di questa urgenza si possono sacrificare libertà dei singoli e autodeterminazione femminile: del resto - questa la motivazione - è lo stato che offre una prestazione, quindi può selezionare gli accessi. Per dirla col candore dell'on. Procaccini, la libertà procreativa se naturale è un fatto privato, se artificiale entra nella sfera pubblica e quindi diventa limitabile.

Si dimentica così che la libertà è un fatto pubblico (Maria Luisa Boccia) e che si rischia di fare una legge incompatibile con la convinzione degli individui in carne ed ossa che abitano questa società. Non convince per questo la logica dei due tempi - legiferiamo subito, poi continuamo a discutere: "in realtà, una legge può togliere parola alla società", peraltro con una ulteriore perdita di autorità della politica (Buffo).

Mentre il cattolico D'Agostino, del comitato nazionale di bioetica, si erge a interprete dei bisogni del nascituro, Berlinguer difende la scelta di limitare il ricorso alla fecondazione assistita alla cura della sterilità, perchè solo in questo modo si giustifica l'impegno pubblico, unica garanzia di equità. Giovanna Melandri lamenta che il testo abbia subito uno scivolamento dal suo proprio ambito - l'allestimento di un servizio per la cura della sterilità - spingendosi a determinare e limitare le scelte individuali. In realtà, come ricorda Buffo, diversi sono stati gli obiettivi con cui si guardava a questa legge: chi voleva normare il far west, chi dare una famiglia "giusta" ai nascituri, chi affermare la libertà procreativa. In questo testo, che non è un compromesso, prevale l'idea di affermare il modello parentale e familiare tradizionale, mentre una buona legge è quella che difende la salute della donna di fronte all'ampliamento delle possibilità procreativa. Per questo vale la pena di placare l'ansia di arrivare a una legge purchessia. Non a caso anche dal Tavolo delle donne sulla bioetica viene una richiesta di moratoria, per consentire un reale dibattito nella società (Lidia Menapace), richiesta sostenuta anche dalla Cgil (Grazia Toniollo). Da punti di vista diversi, che non corrispondono alla classica contrapposizione tra laici e cattolici, emerge perciò la richiesta di fermarsi senza cedere all'urgenza, e di una maggiore attenzione alla realtà.

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