NORDEST
A
I CENTO TIPI
Con Cacciari il federalismo diventa universale ("Riscoprendone
con forza le ragioni storiche e culturali, per così dire,
universali"); metafisico, il fine stesso della storia ("Quello
federalista è un processo storico destinato a durare ben oltre
qualsiasi riassetto istituzionale"); antropologico ("Il nostro
federalismo ha come fine una cultura della persona autonoma e
responsabile nell'età della globalizzazione"); persino
meridionalista ("Il nostro federalismo assume anche una
aspirazione profondamente meridionalista"). Ovviamente, per
affermare queste idee c'è bisogno di un movimento ben
organizzato, capace di andare oltre le forme della rappresentanza
politica ("Il partito politico tradizionale", nonché le
"occasionali coalizioni elettoralistiche, poco importa di che
segno"). Fin qui poco di nuovo. Ciò che distingue il federalismo
cacciariano dagli altri e lo rende appetibile "a sinistra" è la
critica tanto alla "globalizzazione" capitalistica, quanto alla
"tribalizzazione" dei conflitti etno-nazionalisti. E,
soprattutto, l'idea che il "motore di ogni iniziativa e di ogni
decisione è la periferia", con tanto di creazione di "forme
sempre più ampie di auto-governo". Ma i veri punti disvelatrici
del pensiero delle "Tesi" a noi paiono essenzialmente due, ben
intrecciati tra loro: il Nord-est, dove l'ottenimento della
"piena autonomia" potrebbe avvenire in tempi rapidi, poiché: "Per
motivi culturali e storici, oltre che economici, tali istanze
sono più mature"; e il fatto che il federalismo corrisponde "agli
interessi strategici dei ceti produttivi di questa regione (...)
e di tutto il Paese". Ammettendo che ci si trovi davvero di
fronte ad uno scontro tra "centro e periferia", tra poteri forti
capaci di vessare le periferie e istanze di ribellione dei deboli
oppressi, come spiegare il fatto che le richieste di autonomia
vengono dalle periferie più ricche, e che anzi questo loro stato
di grazia le renderebbero più mature e con più diritti
all'autogoverno di altre? Secondo, le "Tesi" dicono: "La società
e l'economia del Nord-est sono ad un passo decisivo. La loro
crescita futura dipenderà dalla competitività del loro sistema".
D'improvviso, l'intera costruzione ideologica cacciariana,
secondo cui la forma federalista dello stato è un imperativo
neutro, al di sopra e prima di ogni interesse politico di parte,
scompare e lascia il posto ad una più corposa idea di
funzionalità tra modello istituzionale e progetto sociale:
federalismo versus neoliberismo.
Anche nella centunesima versione che ci viene proposta, il
federalismo che viene dalle periferie più sviluppate della ricca
Europa sembra essere una grande metafora della lotta per la
supremazia del capitalismo competitivo, che ha bisogno di
scrollarsi di dosso lo stato, qualsiasi stato, qualsiasi regola e
contratto sociale che interferisca all'interno della propria
"unità di business", della propria regione economica. Un
federalismo di sinistra ancora non ci è stato dato. Ancora lungo
è il lavoro per riscoprirlo tra le carte di Silvio Trentin, nel
pensiero antiunitario anarchico e socialista, nella esperienza
della Comune di Parigi... Ma abbiamo l'impressione che prima si
debba sconfiggere, non emulare, il leghismo di Bossi.
* Segretario Prc del Veneto