Il federalismo che non c'è

TOSI MAURO

NORDEST

Il federalismo che non c'è

MAURO TOSI *

A I CENTO TIPI di federalismo fino ad oggi conosciuti si deve aggiungere quello "dal basso". Fa presa "a sinistra". Scompagina l'Ulivo, affascina i centri sociali. Se Tremonti con il suo "Polo Nord" fa da eco alla Lega, le "Tesi" di Massimo Cacciari, di Rigo e Carraro ne sono il controcanto. Bossi può essere contento: è sempre lui che scrive lo spartito.

Con Cacciari il federalismo diventa universale ("Riscoprendone con forza le ragioni storiche e culturali, per così dire, universali"); metafisico, il fine stesso della storia ("Quello federalista è un processo storico destinato a durare ben oltre qualsiasi riassetto istituzionale"); antropologico ("Il nostro federalismo ha come fine una cultura della persona autonoma e responsabile nell'età della globalizzazione"); persino meridionalista ("Il nostro federalismo assume anche una aspirazione profondamente meridionalista"). Ovviamente, per affermare queste idee c'è bisogno di un movimento ben organizzato, capace di andare oltre le forme della rappresentanza politica ("Il partito politico tradizionale", nonché le "occasionali coalizioni elettoralistiche, poco importa di che segno"). Fin qui poco di nuovo. Ciò che distingue il federalismo cacciariano dagli altri e lo rende appetibile "a sinistra" è la critica tanto alla "globalizzazione" capitalistica, quanto alla "tribalizzazione" dei conflitti etno-nazionalisti. E, soprattutto, l'idea che il "motore di ogni iniziativa e di ogni decisione è la periferia", con tanto di creazione di "forme sempre più ampie di auto-governo". Ma i veri punti disvelatrici del pensiero delle "Tesi" a noi paiono essenzialmente due, ben intrecciati tra loro: il Nord-est, dove l'ottenimento della "piena autonomia" potrebbe avvenire in tempi rapidi, poiché: "Per motivi culturali e storici, oltre che economici, tali istanze sono più mature"; e il fatto che il federalismo corrisponde "agli interessi strategici dei ceti produttivi di questa regione (...) e di tutto il Paese". Ammettendo che ci si trovi davvero di fronte ad uno scontro tra "centro e periferia", tra poteri forti capaci di vessare le periferie e istanze di ribellione dei deboli oppressi, come spiegare il fatto che le richieste di autonomia vengono dalle periferie più ricche, e che anzi questo loro stato di grazia le renderebbero più mature e con più diritti all'autogoverno di altre? Secondo, le "Tesi" dicono: "La società e l'economia del Nord-est sono ad un passo decisivo. La loro crescita futura dipenderà dalla competitività del loro sistema". D'improvviso, l'intera costruzione ideologica cacciariana, secondo cui la forma federalista dello stato è un imperativo neutro, al di sopra e prima di ogni interesse politico di parte, scompare e lascia il posto ad una più corposa idea di funzionalità tra modello istituzionale e progetto sociale: federalismo versus neoliberismo.

Anche nella centunesima versione che ci viene proposta, il federalismo che viene dalle periferie più sviluppate della ricca Europa sembra essere una grande metafora della lotta per la supremazia del capitalismo competitivo, che ha bisogno di scrollarsi di dosso lo stato, qualsiasi stato, qualsiasi regola e contratto sociale che interferisca all'interno della propria "unità di business", della propria regione economica. Un federalismo di sinistra ancora non ci è stato dato. Ancora lungo è il lavoro per riscoprirlo tra le carte di Silvio Trentin, nel pensiero antiunitario anarchico e socialista, nella esperienza della Comune di Parigi... Ma abbiamo l'impressione che prima si debba sconfiggere, non emulare, il leghismo di Bossi.

* Segretario Prc del Veneto

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