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ELLE ULTIME
Il mercato con la sua riorganizzazione su scala nazionale e
internazionale ha modificato profondamente non solo la qualità
del lavoro, ma anche la quantità del lavoro stesso, rendendo la
disoccupazione e la precarietà fatto strutturale. Il mito della
piena occupazione e dello sviluppo in realtà non solo non esiste
più, ma è anche culturalmente e socialmente sbagliato e comunque
non in grado di risolvere, come i fatti hanno dimostrato gli
ultimi 15 anni, l'emergenza occupazionale che è anzitutto
emergenza di mancanza di reddito per fasce di popolazione sempre
più ampie.
La cultura dominante ha in Italia e in Europa sacrificato
sull'altare di Maastrich e delle compatibilità monetarie e
finanziarie, conquiste importanti dello stato sociale del sistema
pensionistico, chiedendo il consenso dei lavoratori garantiti con
l'obiettivo di redistribuire verso le nuove generazioni quote di
ricchezza sociale per offrire loro opportunità di lavoro. In
concreto, invece, ci sono stati tagli e sacrifici per i
lavoratori garantiti, che significa incentivi all'impresa e non
certo creazione di occupazione né tanto meno nuove opportunità di
reddito per i disoccupati. E' proprio su questa contraddizione
che bisogna ora intervenire.
Le diverse proposte emerse soprattutto in due convegni romani,
quello svolto al Villaggio Globale da alcuni centri sociali, e
quello organizzata dall'Unione popolare e dal "Centro studi di
Proteo Cestes", ma anche la proposta su cui stanno lavorando i
centi sociali del Nord-est, convergono su alcuni punti che
possono essere la base per cominciare a discutere questa
piattaforma: il reddito minimo garantito deve riguardare non solo
i disoccupati iscritti al collocamento, ma anche coloro che hanno
un lavoro precario sia esso dipendente sommerso o autonomo. Anzi
proprio per questi ultimi la garanzia di un reddito minimo
costituisce quella forma di tutela anche sindacale di cui tanto
si parla e poco si concretizza. Il secondo elemento comune è
quello del reddito differito, attraverso l'accesso gratuito a
servizi fondamentali (cinema, mezzi di trasporto, mense
pubbliche, casa, Università) o il drastico abbattimento delle
imposte fiscali (tasse sui rifiuti, tasse sui consumi elettrici e
idrici etc.), dando al concetto stesso di reddito minimo un
valore ampio, strettamente collegato a una qualità di vita minima
o accettabile dell'individuo. Terzo punto è chi paga i costi del
reddito minimo e, su questo bisogna essere molto chiari per il
fatto che non possono essere formulate né proposte di nuove
tassazioni per i lavoratori dipendenti o per le piccole attività
artigianali, né quella di un ulteriore attacco alle garanzie
dello stato sociale e pensionistico. Si tratta invece di reperire
fondi sia attraverso una diversa modulazione dei bilanci e delle
priorità delle autonomia locali per quanto riguarda il reddito
differito, sia ponendo il problema della tassazione delle rendite
del capitale finanziario superiore ai 150-200 milioni. Oltre che
ad un maggior sviluppo della lotta all'evasione e all'elusione
fiscale.
La battaglia per il reddito minimo è innanzitutto un'affermazione
per il diritto ad una vita dignitosa per tutti. Un'utopia che
almeno parzialmente in molti paesi europei è già realtà.
* deputato dei Verdi