Per un reddito minimo

CENTO PAOLO

Per un reddito minimo

L'OPINIONE di PAOLO CENTO *

N ELLE ULTIME settimane si stanno susseguendo in tutta Italia assemblee e convegni per promuovere una piattaforma capace di aprire in Italia una vertenza per il reddito minimo garantito. Anche il governo ha annunciato timidi passi in questa direzione, prima con l'ipotesi avanzata dalla commissione Onofrio, successivamente con l'elaborazione di una bozza di legge del Ministro per la solidarietà sociale Livia Turco.

Il mercato con la sua riorganizzazione su scala nazionale e internazionale ha modificato profondamente non solo la qualità del lavoro, ma anche la quantità del lavoro stesso, rendendo la disoccupazione e la precarietà fatto strutturale. Il mito della piena occupazione e dello sviluppo in realtà non solo non esiste più, ma è anche culturalmente e socialmente sbagliato e comunque non in grado di risolvere, come i fatti hanno dimostrato gli ultimi 15 anni, l'emergenza occupazionale che è anzitutto emergenza di mancanza di reddito per fasce di popolazione sempre più ampie.

La cultura dominante ha in Italia e in Europa sacrificato sull'altare di Maastrich e delle compatibilità monetarie e finanziarie, conquiste importanti dello stato sociale del sistema pensionistico, chiedendo il consenso dei lavoratori garantiti con l'obiettivo di redistribuire verso le nuove generazioni quote di ricchezza sociale per offrire loro opportunità di lavoro. In concreto, invece, ci sono stati tagli e sacrifici per i lavoratori garantiti, che significa incentivi all'impresa e non certo creazione di occupazione né tanto meno nuove opportunità di reddito per i disoccupati. E' proprio su questa contraddizione che bisogna ora intervenire.

Le diverse proposte emerse soprattutto in due convegni romani, quello svolto al Villaggio Globale da alcuni centri sociali, e quello organizzata dall'Unione popolare e dal "Centro studi di Proteo Cestes", ma anche la proposta su cui stanno lavorando i centi sociali del Nord-est, convergono su alcuni punti che possono essere la base per cominciare a discutere questa piattaforma: il reddito minimo garantito deve riguardare non solo i disoccupati iscritti al collocamento, ma anche coloro che hanno un lavoro precario sia esso dipendente sommerso o autonomo. Anzi proprio per questi ultimi la garanzia di un reddito minimo costituisce quella forma di tutela anche sindacale di cui tanto si parla e poco si concretizza. Il secondo elemento comune è quello del reddito differito, attraverso l'accesso gratuito a servizi fondamentali (cinema, mezzi di trasporto, mense pubbliche, casa, Università) o il drastico abbattimento delle imposte fiscali (tasse sui rifiuti, tasse sui consumi elettrici e idrici etc.), dando al concetto stesso di reddito minimo un valore ampio, strettamente collegato a una qualità di vita minima o accettabile dell'individuo. Terzo punto è chi paga i costi del reddito minimo e, su questo bisogna essere molto chiari per il fatto che non possono essere formulate né proposte di nuove tassazioni per i lavoratori dipendenti o per le piccole attività artigianali, né quella di un ulteriore attacco alle garanzie dello stato sociale e pensionistico. Si tratta invece di reperire fondi sia attraverso una diversa modulazione dei bilanci e delle priorità delle autonomia locali per quanto riguarda il reddito differito, sia ponendo il problema della tassazione delle rendite del capitale finanziario superiore ai 150-200 milioni. Oltre che ad un maggior sviluppo della lotta all'evasione e all'elusione fiscale.

La battaglia per il reddito minimo è innanzitutto un'affermazione per il diritto ad una vita dignitosa per tutti. Un'utopia che almeno parzialmente in molti paesi europei è già realtà.

* deputato dei Verdi

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