"Hai abbandonato la tua classe"

CEDERNA CAMILLA

"Hai abbandonato la tua classe"

Questo articolo (di cui pubblichiamo ampi stralci) fu pubblicato da L'Espresso del 30 maggio 1971, un anno e mezzo dopo la strage di Piazza Fontana e la morte in questura dell'anarchico Pinelli, un anno prima dell'assassinio di Calabresi, il cui difensore aveva appena ricusato il giudice, nel processo per diffamazione intentato dal commissario contro Lotta continua.

CAMILLA CEDERNA


MILANO

D OPO DUE ANNI viene spontaneo fare qualche considerazione in prima persona su un argomento che di solito non la richiede. Perché da due anni in certi ambienti borghesi in cui sono nata e cresciuta (famiglie di spada, di penna, di ciminiere e di toga), mi son sentita guardare con sguardi speciali: affettuosa indulgenza, interrogativa deplorazione, allibito stupore. Erano tanto i virtuosi e i benpensanti quanto tutti i moralisti senza morale, capaci di abituarsi come niente all'incredibile e all'assurdo. "Ma come ti viene in mente di occuparti degli anarchici?", mi dicevano, "giustissimo che col caos che c'è si isolino gli elementi malsani. Adesso tu tradisci la tua classe, bel momento di metterti dalla parte dei delinquenti".

Lasciamo ora da parte le futili amiche, i fascisti fossilizzati e chi ostinatamente vuole ignorare rifiutandosi di capire, per concludere che molti oggi mi vengono incontro con facce diverse. Cos'è successo dunque negli anni in cui, addentrandomi nel labirinto giudiziario, mi dovevo render conto che la giustizia è soltanto un lusso? E' successo che una parte dell'opinione pubblica pare essersi finalmente svegliata, in quanto anch'essa ha avuto la conferma di troppi procedimenti lacunosi e sommari, di troppe menzogne, gaffes e contraddizioni in un settore che si pensava insospettabile. (...)

Appena pochi giorni dopo il 12 dicembre, in possesso di sconcertanti elementi (...), mettevo in dubbio la colpevolezza di Valpreda e il salto volontario di Pinelli. Ecco ora che, in un momento difficile per la difesa Calabresi, si è arrivati a un fatto gravissimo: screditando presidente e tribunale, l'avvocato della questura ricusa il giudice amico. Perché mai? Perché ricominci tutto daccapo, con la speranza che, come sempre, la gente dimentichi.

Per Valpreda il problema resta aperto: ma, come abbiamo già ripetuto mille volte, va sempre più in fumo anche il castello delle sue accuse.

"Perché risultano prove evidenti, prove certe essendo state raccolte", era stata la ferravilliana motivazione sull'ordinanza depositata il 2 ottobre 1969 con cui il giudice Amati respingeva le istanze di scarcerazione per i presunti dinamitardi detenuti da cinque mesi senza contestazione di indizi. Allora soltanto gli addetti ai lavori sapevano che in quei mesi la magistratura aveva delegato buona parte dei suoi poteri alla polizia; ma ancora non era venuto alla ribalta nella sua veste di perito calligrafico e interrogante intimidatore quel commissario modern-style di nome Luigi Calabresi. Compare ufficialmente anche ai miei occhi quando, in segno di solidarietà con i compagni dentro a San Vittore, un gruppetto di anarchici fa lo sciopero della fame davanti al palazzo di giustizia. E' certo il più aitante e il più ginnasticato fra gli agenti che a un certo punto un terzetto di giovani prende a botte, determinando una carica improvvisa che provoca arresti e pestaggi: allora anche chi ignora tutto sulla questura, saprà che il vicequestore Vittoria, i commissari Pagnozzi e Calabresi sono denunciati da tre avvocati e due fermati per abuso di ufficio, attentato ai diritti politici dei cittadini e concorso in percosse (...).

Sono nomi che i cittadini attenti e responsabili non dimenticheranno più. (...)

E' Pagnozzi che già tenta di incastrare Valpreda per il 25 aprile, interrogando su di lui i Corradini, è lui che dà ordine il 14 dicembre di non lasciar dormire il Pinelli. E' Calabresi che nel maggio 1969, dopo aver fatto confessare il confessabile al Braschi (un altro anarchico, Ndr.), gli fa coinvolgere Valpreda nel furto dell'esplosivo (poi risultato inesistente). E' Calabresi che interrogando Braschi davanti alla finestra aperta lo sfida: "Magari non sei nemmeno capace di buttarti di sotto"; è Calabresi che con Mucilli e Panessa sottopone i detenuti a violenza fisiche e morali, e per tre giorni li lascia insonni e digiuni, che fa correre il Braschi al buio davanti alla sua auto a fari spenti: "Possiamo anche metterti sotto, e poi diciamo che è stato un incidente". E' Calabresi che l'8 settembre minaccia Pinelli: "Attento che la prossima volta te la faccio pagare, puoi anche trovarti dentro se traversi col rosso"; è Calabresi che a tre ore dalla strage, con Ardau la definisce "di sicura matrice anarchica", e di Valpreda parla come di un "pazzo criminale". E' Calabresi che interrogherà Pinelli, ma poi, per non apparire il suo crudele provocatore, sposta l'orario e il luogo dell'interrogatorio (e lo contraddiranno tanto i colleghi quando il teste occasionale di quella notte). (...) il bel commissario (che a poco a poco nel processo Pinelli doveva subire una trasformazione: da querelante diventare imputato), per mezzo del suo legale, disperatamente si oppone all'apertura della tomba di Pinelli (...) è Panessa che confessa di "lavorare su ordinazione, alle dipendenze di Calabresi", che, sull'ora e le modalità del salto dà risposte che fanno rabbrividire il difensore della polizia. (...)

E' probabile dunque che per la pubblicità che hanno avuto in questi tempi i sistemi della polizia, non siano ritenuti più in preda a delirio avvocati coraggiosi e giornalisti cosiddetti "avventati": che inoltre molti componenti di una società sorda, cieca e come ibernata si siano ridestati di colpo, accorgendosi che quel tal pietrone sollevato a tempo debito con loro gran sollievo sugli anarchici e relative malefatte gli è caduto pesantemente sui piedi. Insomma ormai è chiaro che sono stati proprio quei metodi di maldestra copertura e goffaggine giudiziaria a far più danni allo Stato democratico dei presupposti disordini di piazza. (...)

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