COME SI ABBATTE IL WEALFARE IN CINA

SALVATICI LUCIO

Come si abbatte il welfare in Cina

L. S. - PECHINO

I L PARTITO comunista cinese si attrezza per una nuova sfida, quella del capitalismo. Un' alleanza intergenerazionale tra i più forti politicamente ed i più capaci tecnicamente (tra i più "rossi" e i più "esperti" si sarebbe detto una volta) determinerà gli equilibri di potere dei prossimi anni.

I veri rischi per la legittimità del proprio potere, il partito li corre per la nuova sfida che dovrà affrontare per sostenere il peso di una giustificazione tutta economica al proprio ruolo guida, soprattutto dopo avere beatificato il Deng-pensiero inserendolo nello statuto, a fianco di Mao.

Quale successore diretto di Deng, Jiang ha già messo in tasca quanto poteva incassare senza grandi fatiche (il ritorno di Hong Kong in particolare) e deve ora iniziare a smaltirne le contraddizioni. Alcune di queste sono vere e proprie bombe innescate. Prima fra tutte, la riforma dello stato sociale, cioè la riforma dell'intero rapporto tra lo stato ed i suoi cittadini. Sulla danwei (l'unità di lavoro sulla quale questo rapporto era stato costruito e alla quale era stata delegata la gestione dell'assistenza fino a ieri) il discorso di Jiang Zemin ha calato la scure.

La fine delle danwei

La trasformazione delle migliori tra le imprese statali in società per azioni, la loro internazionalizzazione e la loro fusione in 120 gruppi industriali che costituiranno il cuore del sistema industriale cinese non può che lasciar pensare a breve al definitivo superamento del sistema sociale in cui le unità di lavoro erano l'emanazione dell'assistenza statale ai lavoratori.

Dei 113 milioni di lavoratori dell'industria di stato, già oltre 80 hanno aderito forzosamente al programma dei cosiddetti fondi pensione (23 milioni di questi sono già pensionati), il nuovo sistema previdenziale basato sulla contribuzione individuale. I fondi che così vengono costituiti sono vincolati al solo investimento in buoni del tesoro in modo da venir salvaguardati da speculazioni e appropriazioni indebite. L'unificazione e generalizzazione di questo sistema dovrebbe avvenire entro il prossimo anno, dopo un lungo periodo sperimentale iniziato alcuni anni fa.

Del welfare di stato ri-distribuito attraverso le unità di lavoro facevano parte anche voci come la casa. Sia lo stato che le unità di lavoro vengono indotte oggi sempre più a vendere le proprie case ai dipendenti, pur mantenendone i prezzi calmierati, e a liberarsi così gradatamente del fardello di costi legato all'assegnazione e alla gestione degli immobili.

Tra il 1992 a oggi a Nanchino 125 mila appartamenti sono stati venduti a prezzi poco più che di costo a dipendenti di imprese o istituzioni pubbliche, mentre a Tianjin, grazie a prestiti ipotecari a tassi bassissimi (meno del 5%) oltre duemila famiglie hanno fatto richiesta di acquisto di un appartamento e le cooperative immobiliari hanno raccolto oltre 130 milioni di yuan (15,6 milioni di dollari) nei soli primi sette mesi di quest'anno.

Si tratta di numeri ancora limitati per parlare di una privatizzazione del mercato immobiliare ma la tendenza appare chiaramente delineata. Per accedere a questo mercato, comunque, uno status è necessario, ed oggi il vero problema per i lavoratori cinesi è quello di averne uno.

Per accedere ai prestiti ipotecari è infatti necessario essere residenti in città, avere un lavoro stabile e contribuire ad un fondo (gestito in generale dalle grandi banche commerciali di proprietàstatale): il ritratto di un cittadino tipo sempre più raro nelle città cinesi.

Oltre ai lavoratori licenziati dalle imprese di stato, ad essere senza status sono infatti anche i contadini che hanno lasciato la terra per lavorare in città, e i lavoratori delle imprese private e cooperative, che non sono per ora inclusi nemmeno nei piani pensione.

Il problema è in parte legato anche al permanere delle barriere amministrative che impediscono gli spostamenti di popolazione e lavoratori tra città e campagna. Il sistema della "registrazione familiare" (che assegna ad ognuno una sorta di passaporto per gli spostamenti interni al paese) nato negli anni 50 e superato oggi dalla mobilità reale della popolazione, è stato recentemente criticato ufficialmente e in più occasioni.

E il problema si estende poi con altre caratteristiche e dimensioni alle campagne, dove gli ammortizzatori sociali sono ancor piu' necessari. Alle aree del grande sviluppo agricolo e tecnologico, ne corrispondono altre dove la povertà continua a fare paura: nella provincia interna dello Henan lo stato ha sfamato quest'anno (con la distribuzione di razioni di grano) circa 5 milioni di contadini che vivono con un reddito inferiore ai 60 dollari all'anno. Visto da qui come da altre province particolarmente povere come il Guizhou, al confine con il ricco Guangdong, il welfare "buono" riservato alle élites urbane appare come un mero esercizio di stile.

Svuotate le banche

Alla vigilia del congresso, proprio per evitare che dalle campagne il malcontento montasse verso Pechino, il governo ha deciso di svuotare le casse delle principali banche di stato pur di mantenere alti i prezzi ai quali i governi locali comperano il grano ai contadini, che per la prima volta è più alto di quello di mercato, in virtù del buon raccolto. Una scelta tutta politica e certamente transitoria, ma che mette in chiaro il disagio con il quale il partito affronta il problema delle campagne nelle quali è nato e dalle quali ancora ottiene gran parte della propria legittimità.

Il Pc uscito dal congresso sembra determinato a proseguire sulla strada intrapresa durante quello precedente, quella di dare libero sfogo alle forze di mercato tenendo sotto controllo soltanto i fattori di instabilità macro-economica. La riforma dello stato sociale, tuttavia, in tutte le sue forme, sia quelle legate alla ristrutturazione dell'economia di stato sia quelle più propriamente assistenziali che riguardano i grandi disagi sociali come la disoccupazione e la povertà rurale, è una variabile che non rientra facilmente negli schemi.

L'efficienza del sistema economico che la Cina sta cercando, non dipende solamente dall'efficienza dei suoi gruppi industriali maggiori, ma anche dalla capacità di gestire grandi processi di trasformazione sociale.

Il governatore del Sichuan, dove recentemente si sono verificate numerose manifestazioni di protesta da parte di operai licenziati dalle fabbriche di stato, ha ammesso pubblicamente, durante la sua conferenza stampa a margine del congresso, l'esistenza di un'emergenza disoccupazione e, per la prima volta, gli stessi scontri di piazza.

La consapevolezza delle difficoltà di questo processo sembrano essere più chiare lontano da Pechino, dove, tra le mura di Zhongnanhai, i conflitti sociali giungono sempre attutiti.

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