Cronaca di un processo "storico"

PESCALI PIERGIORGIO

CAMBOGIA

Cronaca di un processo "storico"

I dirigenti che si sono liberati del vecchio leader hanno un obiettivo prioritario, cacciar via il "vietnamita" Hun Sen, un loro ex compagno, dal potere. E sono sicuri che nessuno potrà accusarli di coprire i delitti atroci di vent'anni fa: perché tutti quelli che oggi contano in Cambogia sono coinvolti quanto loro

PIERGIORGIO PESCALI - PHNOM PENH

L A FINE di Pol Pot è stata decretata! Onore a Pol Pot! E' questo il paradossale epilogo che si evince dal réportage del giornalista Nate Thayer sul processo intentato a Pol Pot lo scorso 25 luglio ed interamente riportato dal numero del 7 agosto della rivista Far Eastern Economic Review.

Dopo la lettura della sentenza, ascoltata impassibilmente dagli imputati (assieme a Pol Pot erano sotto accusa i generali San, Sarouen e Khon) tra i civili e i quadri del movimento serpeggia un chiaro senso di sbandamento e di incertezza. Molte di quelle stesse persone che durante il processo gridavano all'unisono "Schiaccia! Schiaccia! Schiaccia Pol Pot e la sua cricca assassina!", al passaggio del condannato si alzano in piedi e lo omaggiano di un inchino, un gesto riservato solo a personalità rivestite da cariche supreme e particolarmente venerate dal popolo. Gli stessi quadri che pochi minuti prima si erano avvicendati con freddezza al microfono accusando l'ex leader di tradimento, lasciano trasparire a loro volta smarrimento e incredulità.

Due pericoli

"Ho detto quello che sentivo dal profondo del mio cuore. E' stato molto, molto difficile per me, ma doveva essere fatto. Prima c'erano due pericoli per la Cambogia: Pol Pot e la marionetta vietnamita Hun Sen. Ora ne rimane solo uno", è la testimonianza raccolta da Thayer di Tep Kun Nal, un dirigente emergente del nuovo corso, dopo la sua denuncia della cricca polpottista. E una ragazza che ho intervistato una settimana dopo il processo - a cui aveva personalmente assistito - mi dice: "Da quando sono nata mi hanno sempre insegnato a rispettare il partito e Pol Pot. Ogni cosa che avevamo ci dicevano che la dovevamo a Pol Pot. Ora si scopre che lui stesso è un traditore e che per questo deve pagare. Durante questi anni sono stati accusati di slealtà tutti i vertici del partito: Ieng Sary, Son Sen, fino allo stesso Pol Pot. Chi sarà il prossimo? e a noi, cosa ci aspetterà nel prossimo futuro?"

Con Pol Pot finisce anche la storia del Partito di Kampuchea democratica (Pkd), il nome ufficiale dei Khmer rossi. Dal 25 luglio il Pkd è stato sciolto ed al suo posto è stato creato il Partito della Solidarietà nazionale. Il generale Im Nguon, nuovo capo delle forze armate, dalle pagine della Far Eastern Rewiew fa sapere al mondo intero che il movimento dei Khmer rossi è definitivamente morto: "Se continuano a chiamarmi Khmer rosso, vuol dire che non hanno visto ciò che ho appena fatto. Io sono quello che ha distrutto Pol Pot, il quale è stato al potere per tanto tempo. Perfino gli Stati uniti ed i vietnamiti hanno fallito tutti i tentativi di catturarlo, ma io l'ho fatto. Come potete chiamarmi Khmer rosso?". Ed ancora: "La ragione per cui abbiamo posto fine al regime di Pol Pot è dovuta al fatto che vogliamo che la Comunità internazionale ci aiuti nella nostra lotta assieme agli altri movimenti, contro Hun Sen e i vietnamiti".

Comunisti, mai più

L'allontanamento di Hun Sen dal potere è il punto principale della linea programmatica del nuovo Partito della Solidarietà nazionale. Nessun accenno viene fatto all'ideologia comunista, che sembra definitivamente tramontata anche se i militari continuano a vestire le uniformi in stile cinese, la vita economica è ancora caratterizzata da un forte spirito collettivista e, come lo stesso Im Nguon ammette, elementi della vecchia guardia come Ta Mok, Nuon Chea e Khieu Samphan mantengono un'enorme influenza sulle decisioni della "nuova" leadership. Tra questi però solo Khieu Samphan fa parte del nuovo comitato direttivo del partito, formato da 9 elementi.

"Ma non pensa che mantenere tra le proprie file elementi come Nuon Chea e Ta Mok, pesantemente implicati nei crimini commessi dai Khmer rossi quando avevano il potere, possa nuocere alla credibilità del Psn?", chiedo a Mak Ben, economista educato in Francia, citato anche da Thayer nel suo articolo sulla Far Eastern e che ho incontrato ad Anlong Veng dopo il processo. Risponde che "anche se Ta Mok è conosciuto dalla Comunità internazionale col soprannome di 'macellaio', non possiamo negare che è uno dei personaggi più popolari ed amati nella regione di Anlong Veng. Le zone da lui controllate sono tra le più sviluppate di tutta la Cambogia e lo stesso Pol Pot ne temeva l'ascendente sulla popolazione, tanto da ordinarne prima l'assassinio e poi, visto che nessuno aveva il coraggio di eseguire gli ordini, la sua destituzione da capo delle forze armate".

La caduta politica di Pol Pot affonda le sue radici fino ad almeno un anno fa, esattamente al luglio 1996, quando le forze Khmer rosse di Pailin guidate da Ieng Sary decisero di deporre le armi e accettare le condizioni di amnistia offerte loro dal governo di Phnom Penh. Il contraccolpo che ne seguì colse Pol Pot di sorpresa: oltre alla diserzione del 50% delle sue forze, il movimento perdeva un territorio ricco di rubini e di legno pregiato, principali fonti di entrate valutarie che permettevano ai Khmer rossi di continuare a condurre la loro lotta armata. Immediatamente l'ex leader riunì la dirigenza e accusò Ta Mok, Nuon Chea e Son Sen di avere favorito la diserzione di Ieng Sary. Timoroso della crescente popolarità che andava acquisendo Ta Mok tra i militari e i civili, ad ottobre Pol Pot diede ordine di uccidere il comandante delle forze armate Khmer rosse. Il suo comando non venne eseguito e il 25 febbraio di quest'anno Pol Pot decise di agire personalmente passando il comando dell'esercito ai generali Sarouen e San. Il contrattacco di Ta Mok non si fece attendere: assieme a Son Sen,

spinse il Partito di Kampuchea democratica verso l'alleanza con Ranariddh. La notte del 9 giugno Pol Pot decide di chiudere i conti con i "ribelli": fa uccidere Son Sen e tutta la sua famiglia e con un gruppo ormai di soli 300 fedelissimi si dirige contro Ta Mok. La rivolta termina il 15 giugno, quando le forze polpottiste si arrendono.

Colpevole

Il processo lo riconoscerà colpevole, tra l'altro, dell'uccisione di Son Sen, del tentativo di detenere e assassinare Ta Mok e Nuon Chea e della distruzione della politica di riconciliazione nazionale. "Questi sono gli atti criminali, il tradimento di Pol Pot e della sua cricca contro il popolo, le forze armate e i nostri quadri. In conclusione decidiamo la condanna e la sentenza della prigione a vita di questa cricca", si legge negli atti processuali pubblicati sulla Far Eastern. Il mancato accenno a ciò che è accaduto negli anni in cui l'ex leader era il capo della Kampuchea democratica ha dato l'opportunità agli avversari dei Khmer rossi di accusare lo stesso Pol Pot di avere architettato il processo per fare credere al mondo intero del ravvedimento dei Khmer rossi e ottenerne la riabilitazione.

Ma è lo stesso generale Im Nguon che afferma senza esitazione: "Noi condanniamo chi ha commesso i crimini e coloro che hanno agito in modo sbagliato (durante il periodo della Kampuchea democratica). A quel tempo io non ho commesso crimini; questi sono stati compiuti solo da Pol Pot e qualche suo fedele seguace. Ora questi seguaci si sono defilati, mentre Pol Pot è stato arrestato. Alcuni di loro hanno disertato, passando dalla parte dei vietnamiti (l'accenno a Hun Sen è evidente), altri non so dove siano". Il senso del discorso è lampante: se il Tribunale internazionale vuole processare Pol Pot, processi anche chi era al suo fianco tra il 1975 e il 1978. Allora, forse, non saranno molti i politici cambogiani che chiederanno a gran voce l'estradizione di Saloth Sar.

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