All'ombra dei Khmer rossi

PESCALI PIERGIORGIO

All'ombra dei Khmer rossi

Mentre a Samrong si combatte ancora tra governativi e monarchici, e migliaia di profughi cercano salvezza in Thailandia, nella capitale della Cambogia "rivoluzionaria" nessuno sa se Pol Pot sia rinchiuso qui o libero altrove, e chi sia al comando

PIERGIORGIO PESCALI - ANLONG VENG

S ULLA CARTINA della Cambogia che porto sempre con me quando esco dalla capitale, Anlong Veng è un anonimo cerchietto posto lungo la strada numero 63, a pochi chilometri dal confine thailandese e a ben 480 da Phnom Penh. Per la maggior parte dei cambogiani e dei corrispondenti stranieri presenti nella nazione, fino al settembre 1993 la cittadina era una delle tante controllate dai Khmer Rossi, sede di un fiorente commercio con i vicini Thai. Quando però l'esercito di Hun Sen e Norodom Ranariddh conquistò Pailin e tutto lo staff dirigenziale dei Khmer Rossi, con a capo Pol Pot, si trasferì al nord del paese ponendo il proprio quartier generale qui, ad Anlong Veng, il minuscolo cerchiolino rappresentato sulle cartine geografiche si trasformò in uno dei centri politici più importanti di tutta la Cambogia.

Improvvisamente divenne la meta più ambita dai giornalisti in caccia di scoop e se in precedenza le frecce puntate con gli spilli sulle mappe militari dei generali governativi, che indicavano la direzione degli attacchi delle loro truppe, convergevano verso Pailin, ora puntavano tutte a nord.

Un grosso mercato

In realtà Anlong Veng ha ben poco della base militare minacciata da attacchi esterni, mentre assomiglia molto più ad un grosso mercato, dove camion civili arrivano con prodotti provenienti dalla Thailandia e ripartono carichi di legname e sacchi di riso che rivendono oltre confine a compiacenti militari o commercianti in cerca di fortuna.

Appena arrivato mi accoglie una vecchia conoscenza: il comandante Chet Prakat, lo stesso a cui ero stato affidato durante il mio ultimo soggiorno nella cittadina nel 1995. La situazione all'interno delle file dei Khmer Rossi dopo quello che è stato definito lo "smascheramento del tradimento di Pol Pot" sembra sia ancora confusa. Secondo racconti, testimonianze e ricostruzioni raccolte durante la permanenza nel quartier generale, Khieu Samphan controllerebbe la maggior parte dei reparti, ma dopo l'arresto di Pol Pot e dei sui ultimi fedelissimi, a contendergli la leadership del movimento ci sarebbe quel Ta Mok, comandante dell'esercito che, pur essendosi sempre mosso dietro le quinte, ha conservato un potere immenso. Ta Mok, famoso per la sua crudeltà, tanto da essere stato soprannominato "il macellaio", è scampato alla purga organizzata da Pol Pot la notte del 9 giugno, quando ha saputo che il ministro della difesa Son Sen, ex direttore del carcere S-21 di Phnom Penh tra il 1975 ed il 1979, era stato trucidato assieme alla moglie e ad altri 15 familiari. La scintilla che avrebbe fatto scatenare l'ultimo atto della vita politica dell'ex premier della Kampuchea democratica vien fatto risalire alle trattative che da diversi mesi si protraevano con il Funcipec per accogliere i Khmer Rossi nella legalità politica cambogiana.

Il 1 giugno sembrava a portata di mano la firma di un accordo tra Ranariddh e Khieu Samphan con il beneplacito dello stesso Pol Pot. Quando però risultò chiaro che l'alleanza avrebbe portato all'esclusione del leader dal vertice dirigenziale e, con molta probabilità, ad un suo esilio, iniziò il cosiddetto "tradimento". Son Sen, favorevole all'accordo, venne eliminato, mentre Khieu Samphan, troppo popolare per fare la stessa fine, venne catturato. Il fatto che la radio Khmer Rossa non desse alcun cenno dell'epurazione fino al 12 giugno, quando trasmise la notizia della morte di Son Sen tracciandolo di tradimento, sembrerebbe indicare che il quartier generale fosse ancora in mano ai fedeli di Pol Pot. La "ribellione" sarebbe iniziata subito dopo, e la situazione sarebbe rimasta in bilico per quattro giorni - il tempo durante il quale la radio rimase muta - per sbloccarsi il 16 giugno con l'annuncio della notizia che in pochi minuti sarebbe rimbalzata per tutto il mondo: "l'alto tradimento di Pol Pot avvenuto tra la notte del 9 giugno e il 14 giugno è terminato. La situazione è tornata nella normalità il 14 giugno.".

Secondo il generale Khien Buchhay ora Pol Pot sarebbe rinchiuso proprio ad Anlong Veng, a pochi metri da dove mi trovo ora, mentre non è ancora chiaro cosa ne sia stato di Noun Chea, fedele braccio destro del leader cambogiano. Nessuno qui ha il permesso di rispondere a domande sugli eventuali prigionieri e tanto meno alla supposta lotta in corso tra Ta Mok e Khieu Samphan. La radio, ora controllata dalla fazione moderata, continua a trasmettere comunicati che invitano il popolo cambogiano ad unirsi alla lotta contro il regime fantoccio di Hun Sen, ignorando apparentemente le dichiarazioni non troppo benevole verso i Khmer Rossi fatte da Ranariddh alle Nazioni unite solo qualche giorno fa.

Col morale alto

"Il colpo di stato di Hun Sen ha rinvigorito le nostre truppe nel morale. Nei villaggi delle zone liberate (cioé controllate dai Khmer Rossi) arriva gente che ha deciso di combattere Hun Sen e molti soldati dell'esercito governativo stanno disertando" mi dice una ragazza sulla trentina, krama bianca e rossa che le scende lungo la camicia a fantasia, calzoni larghi marroni, due occhi neri penetranti e gelidi che rendono ancor più ruvidi i lineamenti del suo volto. Faccio un rapido calcolo: durante il periodo della Kampuchea democratica avrebbe do-

vuto avere sì e no una decina d'anni, l'età in cui i bambini in occidente giocano, vanno a scuola, si divertono. Lei, forse, lavorava duramente nelle risaie o era già stata scelta come quadro tra le file della nuova dirigenza. Ad ogni modo non sarà facile dimenticare quegli occhi di ghiaccio ed il sorriso, l'unico che le ho visto abbozzare, con cui mi ha congedato.

Con un capovillaggio vado verso Ta Sam, una manciata di casupole ad una ventina di chilometri da Anlong Veng, poco addentro la catena delle colline Dang Rek. Le risaie sono allagate in attesa del trapianto delle piantine di riso. Chiedo se qui esiste una sorta di proprietà privata nella coltivazione della terra; "No, tutta la terra appartiene al villaggio e tutto il lavoro viene fatto in comune". Ma a Anlong Veng ho visto gente che vendeva al mercato piccole cianfrusaglie, verdura, frutta... "E' ciò che ricavano dal proprio orto. Hanno il diritto di venderlo per conto proprio per comprarsi vestiti, utensili, oggetti per la casa". Uso della moneta (il bath thailandese), possibilità di mercanteggiare in proprio, alleanze con politici un tempo tacciati come nemici del popolo. Non state cambiando troppo repentinamente? "Son cambiate molte cose dagli anni Ottanta. Anche Pol Pot non è più il Fratello Numero Uno. Perché continuare a commettere i suoi stessi errori?".

Entriamo in una capanna a palafitta, al limite di una risaia. E' del capovillaggio. Sulla parete di assi c'è un ritratto di Sihanouk giovanissimo e sulla destra, nella penombra, bruciano bastoncini d'incenso, con fili di fumo profumato che accarezzano una statuetta di Buddha Shakyamuni. La radio trasmette musiche rivoluzionarie. Questa stanza di pochi metri quadri, carica di simboli, potrebbe rappresentare a pieno titolo il nuovo corso dei Khmer Rossi sotto la guida di Khieu Samphan. Ta Mok permettendo.

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