Ricominciamo da 2

GALLO ANDREA

Ricominciamo da 2

DON ANDREA GALLO* -

A DERISCO all'appello di Forum droghe per due leggi di iniziativa popolare sulla legalizzazione della cannabis e la depenalizzazione di tutte le condotte legate al consumo di droghe non riconducibili allo spaccio. Ho trovato originale lo slogan di Grazia Zuffa: "Ripartiamo da due" che rilancia un movimento di civiltà e di tolleranza. Tra la latitanza delle istituzioni si sveglia la mia coscienza di uomo, cristiano, prete, coordinatore di comunità, per i diritti di tutti i cittadini, tossicodipendenti e non.

L'intergruppo parlamentare del Polo "per la libertà dalla droga" (Meluzzi, Gasparri, Giovanardi e altri) non dorme, anzi ha costituito la consulta nazionale delle comunità, associazione degli operatori che aderiscono al progetto dell'intergruppo, pronta - lancia in resta - per una "ennesima restaurazione".

Dopo la Conferenza di Napoli, con l'inquietante prologo parlamentare del voto sulle mozioni d'indirizzo e con il poco rassicurante "Documento Pontificio", si rendono urgenti "nuove iniziative" da parte di chi non accetta guerre di religione su temi dove la posta in gioco è la vita.

Educare, non punire

E' democratico chiedere un confronto costante. La Camera metta all'ordine del giorno la legge Corleone-Manconi perché la Conferenza governativa ha aperto il dibattito e non l'ha chiuso: "In sintesi: ascoltare e ridefinire insieme, la domanda che i cittadini formulano alle loro Istituzioni".

La Comunità S. Benedetto al Porto di Genova, aderente al Cnca-Cartello "Educare non punire", è presente sul territorio da 30 anni (dalla comunità residenziale, all'impresa sociale, all'unità di strada) e non vuole sfuggire all'autocritica. Al di là degli indubbi meriti del volontariato, una seria analisi del fenomeno droga non può dar adito all'elogio del paese, né a quello del volontariato o del privato. Senza cancellare le vittorie, la sconfitta è però individuabile nel fatto che il nostro paese presenta livelli di coscienza e di struttura pubblica e privata del tutto inadeguati nel campo degli interventi socio-assistenziali e in quello dei doveri civili. L'ipotesi è che il privato-volontariato costituisca una sorta di società parallela, che agisca con efficacia in molti campi sociali (vedi droga) senza però essere in grado di rappresentare le dinamiche collettive. Nell'ultimo decennio si è costruito e rafforzato un immaginario collettivo che identifica la "Comunità" come l'unica e la più efficace risposta alla tossicodipendenza.

Il volontariato rifletta

Quest'immagine "salvifica", non corrisponde alla realtà, risulta più dannosa se si pensa alla sproporzione tra la domanda e l'offerta presente sul nostro territorio. Di conseguenza, il livello di tolleranza e d'integrazione da parte della popolazione rispetto alle persone tossicodipendenti non si è modificato ma anzi, in molti casi, è scaduto tanto da promuovere tensioni e violenze in alcune città.

Perciò il magnifico mondo del variegato volontariato dovrebbe trovarsi unito, oggi più che mai, col servizio pubblico per aprire un dibattito di alto profilo, fino alla conflittualità, per dire chiaramente di no alle suggestive ma deleterie proposte di gestire totalmente. Il Paese attende un salto di qualità, possibile scientificamente ed epistemiologicamente. E' evidente a tutti che il fenomeno non è in sé eliminabile totalmente (si pensi alla forte diversificazione del mercato che si è verificata con l'introduzione massiccia di extasis) e che la sua controllabilità si gioca sulla realizzazione di 3 obiettivi ben inquadrati da Roberto Merlo di Bologna: 1) la riduzione dei danni e della sofferenza individuale e collettiva che esso produce; 2) lo smantellamento della costruzione sociale, culturale e giuridica che lo sorregge e lo amplifica; 3) l'attivazione di una strategia di cura (nel senso fenomenologico del "prendersi cura" e non solo del curare medico), abilitazione e prevenzione che produca un contenimento della domanda. Le politiche del contenimento dell'offerta sono palesemente fallite e le droghe sono l'unica merce che non risente né della crisi economica, né dell'inflazione. L'accusa più grave, che investe chi propone la legalizzazione e la "riduzione del danno", è di voler uccidere la speranza di cambiamento dei soggetti tossicomani. Nulla di più falso scientificamente ed epistemiologicamente. Scientificamente perché i dati, e molte esperienze europee, ci dicono che proprio queste pratiche consentono alle persone di maturare la scelta di non abuso. Nessuna invadenza dunque nelle metodologie delle comunità terapeutiche.

Ridurre l'isolamento

Pensate ai tre quarti di giovani disagiati che non accettano, per il significato che danno alla loro esperienza, le pratiche riabilitative di servizi e comunità. L'accusa è inoltre falsa epistemiologicamente, poiché proprio la speranza di una evoluzione dalla condizione tossicomanica non può non partire che da un "riaggancio". Vanno evitate pratiche che mantengono l'isolamento di questi cittadini, occorre cominciare invece dall'assunzione delle loro vicende come fatto sociale e non come fatto a-sociale.

Mi associo a quanti chiedono la legalizzazione e a coloro che, con umiltà, con mitezza e condivisione, praticano la riduzione del danno. Non perché sono fautori di un pensiero e di una pratica debole nei confronti della complessità ma perché, con tante persone di buona volontà, voglio alimentare un pensiero e una pratica forte, in termini di valori e di cultura, fondata sui princìpi stessi della democrazia.

*Coordinatore della Comunità

S. Benedetto al Porto/Genova

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