U na sarabanda pirotecnica di 1997 fuochi d'artificio ed uno spettacolo coreografico degno di una inaugurazione olimpica hanno fatto da cornice ieri sera, nello stadio dei lavoratori di Pechino, al discorso ufficiale di celebrazione del vero trionfatore del passaggio di consegne ad Hong Kong, il presidente, segretario del partito nonché presidente della commissione militare del partito Jiang Zemin. Il prestigio e l'immagine di un presidente cui nessuno si azzarda ancora a dare un credito di lunga durata (per quanto si tratti del leader con più cariche e per più tempo alla guida del partito dell'intero dopo-Mao), sono usciti rafforzati da queste prime ore ubriacanti della festa per Hong Kong. Sui "primi cento giorni" e sulla stabilità della situazione nell'ex colonia britannica si gioca una partita che influenzerà non poco lo svolgimento del prossimo congresso del Partito comunista. La data di questo non è ancora conosciuta, ma quasi sicuramente verrà fissata dopo l'8 ottobre - compimento dei cento giorni ritenuti più critici.
Nel suo discorso di ieri sera Jiang, ritornato nella lontana capitale, non si è limitato ad autocelebrarsi ma ha puntato alto, alla riproposizione della formula "un paese due sistemi" anche come soluzione della più spinosa e sensibile delle questioni territoriali, quella che Deng Xiaoping in persona non è riuscito nemmeno ad avviare: Taiwan. Da Taiwan hanno immediatamente mandato a dire (come altre volte) che per ora non se ne parla, e che la formula non può riguardarli; ma questa volta il messaggio è giunto di là dello stretto in modo più chiaro, articolato e significativo di quanto non fosse successo con le manovre militari del marzo scorso.
L'orologio su piazza Tian'an Men che in questi giorni ha sorriso sullo sfondo di infinite coppie di fidanzati e sposi che si facevano ritrarre quando il display dei giorni segnava meno uno, comincerà tra poco a scandire il tempo che manca alla scadenza della sovranità portoghese su Macao. Una tappa intermedia, cui nessuno dedica più che tanta attenzione, se non qualche accanito giocatore d'azzardo che rischia di veder sfumare possibilità di grandi vincite. Il vero oggetto del desiderio per la Cina di Jiang, ora che è rientrata in possesso di quel gioiello che era e rimarrà il proprio terzo partner commerciale, rimane comunque l'isola nazionalista dove nel '49 si rifugiarono gli uomini del Guomindang e la cui economia cresce al ritmo del 6% l'anno, con un reddito pro capite di oltre 14.000 dollari. Taiwan, al pari di Hong Kong, deve il suo sviluppo negli ultimi anni ad una crescente interdipendenza economica con la madre patria di cui è uno dei principali investitori, scontando in più il forte isolamento politico e commerciale che l'assenza di rapporti con la Cina impone (il primo collegamento diretto via mare è stato aperto solo un mese fa, ma solo per le merci in transito).
Se l'"handover" di Hong Kong dovesse rivelarsi sufficientemente positivo, il segnale per i pragmatici cinesi di tutte le due sponde potrebbe giungere più velocemente a destinazione. Tutta la vicenda del passaggio di Hong Kong alla Cina e dello slogan ormai svuotato "un paese due sistemi" innesca una sfida puntata sulla possibilità che la Cina cambi mantenendo Hong Kong e Taiwan uguali a se stessi. Questo era forse il contenuto vero dell'appello di Jiang Zemin, il quale sa di dover costruire il suo potere sulla mediazione e su un progetto ancor più pragmatico di quello del suo predecessore.
Allo spegnersi delle luci dei riflettori la Cina avrà sperimentato una festa che spera di ripetere altre volte e non solo per la passione quasi maniacale che fa accalcare i pechinesi per vedere anche solo uno scorcio di fuoco d'artificio. Il modello di Hong Kong, già filtrato in molte espressioni della vita urbana, ha avuto la sua consacrazione ufficiale e porterà sicure conseguenze nella percezione della vita sociale nella pratica economica. La nuova generazione di leader cinesi dovrà però pensare in modo più articolato se vuole sperare che quanto ottenuto sulla base del rispetto bilaterale di un trattato (seppure ineguale) possa un giorno realizzarsi in virtù di un accordo "nazionale" con i "compatrioti della "provincia ribelle" di Taiwan.