Dalla guerra del Golfo alla Somalia

GALLO DOMENICO

Dalla guerra del Golfo alla Somalia

Domenico Gallo

H A scritto Primo Levi: "Gli uomini delle Ss erano fatti della nostra stessa stoffa, erano esseri umani medi, mediamente intelligenti, mediamente malvagi, salvo eccezioni non erano mostri, avevamo il nostro viso, ma erano stati educati male" (I sommersi ed i salvati).

Rispetto alle sconvolgenti immagini e testimonianze delle torture, degli stupri e delle brutalità praticate dai parà italiani in Somalia, occorre respingere l'idea che si sia trattato di un accidente della storia, dovuto a mere devianze individuali, secondo la tesi, non disinteressata, dei vertici militari. Ha dichiarato il generale Canino, capo di stato maggiore dell'esercito all'epoca della missione in Somalia: "Le pecore nere ci sono dappertutto, anche nell'esercito. L'importante è snidarle e punirle senza pietà" (Corriere della Sera del 14 giugno 1997). Orbene, prima di tirar fuori -in modo consolatorio - la teoria del mostro (o delle pecore nere o delle mele marce), occorre chiedersi da dove sono stati partoriti i presunti mostri, chi e cosa li ha generati.

L'organizzazione militare è una struttura di uomini e mezzi, inquadrati secondo un principio rigidamente gerarchico, le cui funzioni operative derivano da una pianificazione e da un intenso allenamento che condiziona fortemente il personale che è addetto. E' proprio il condizionamento individuale, pervasivo, quasi totalizzante, che contraddistingue la struttura militare da ogni altra organizzazione civile di uomini e mezzi.

Non si può sfuggire, peraltro, alla domanda politica sull'educazione ricevuta da quegli uomini che in Somalia hanno torturato, ucciso e stuprato. Che tipo di educazione è stata impartita a quegli uomini, in quelle strutture d'elite delle nostre forze armate, come la Folgore? Che fini perseguiva quella educazione, che scopi voleva realizzare, che tipo di soldato voleva costruire, per fare cosa?

La questione chiama in causa, in modo diretto e immediato, il cosiddetto Nuovo modello di Difesa (versione 1991), gli obiettivi che in questo documento venivano assegnati alle forze armate e gli strumenti messi in cantiere. Questo nuovo orientamento strategico, anche se rapidamente invecchiato e obsoleto politicamente, si fonda pur sempre sul modello guerra del Golfo, esperienza che viene indicata come "esempio emblematico... dell'applicazione pratica dei concetti strategici di difesa degli interessi vitali, ovunque minacciati o compromessi e di reciproco sostegno nel contesto integrato di interventi di natura multinazionale". D'altronde proprio la guerra dell'inverno del '91 è stata indicata dall'allora capo di stato maggiore della Difesa, generale Ciorcione, come il modello dei conflitti del futuro: "rapidi, veloci e con poche vittime" (12/3/91).Per prepararsi a questo tipo di conflitti del futuro, il modello ha optato per la marginalizzazione della leva e la creazione di corpi di professionisti, dotati dei mezzi tecnologici idonei per realizzare un'adeguata proiezione di potenza nelle aree di crisi e capaci di effettuare interventi belligeranti con capacità "risolutive" (cioè di effettuare dei combattimenti spiegando la forza necessaria per annientare i reparti nemici, secondo il modello Golfo). Per questo tipo di operazioni, è necessario un diverso addestramento e un nuovo modello di soldato, specializzato e quindi volontario. Però occorre un volontario di nuovo tipo, l'esercito non può più essere considerato come uno sbocco occupazionale per i disoccupati, occorre creare una vocazione al combattimento. Il modello richiede inoltre "una migliore immagine del volontario, prevedendone l'impiego in tutti i ruoli propri del combattente, al fine di indirizzare le scelte della vita militare per motivazioni diverse da quelle semplicemente occupazionali".

Insomma il volontario deve avere una motivazione di combattimento, deve essere una specie di Rambo, un uomo che si realizza combattendo. A spiegare meglio questo concetto ci pensa il generale Canino, capo di stato maggiore dell'esercito (all'epoca della spedizione in Somalia), autore di un inserto speciale sui volontari, dove è scritto: "Quello di cui abbiamo bisogno è, per così dire, un volontario da combattimento e non da caserma, con la prospettiva non legata alle discoteche di Santa Marinella o Santa Severa, ma ai tuguri albanesi o alle macerie di Mogadiscio, con il rischio molto alto di rimetterci la pelle, mitigato soltanto da un addestramento continuo, intenso, nel rispetto completo ed assoluto delle regole, della gerarchia, degli ordini... persone addestrate a difendersi per difendere interessi collettivi senza incertezze o dubbi morali e con i mezzi adatti per farlo ". Sempre il generale Canino ritorna - senza ombra di ripensamento - nella citata intervista al Corriere della Sera, sul tema della formazione dell'elemento umano, dichiarando: "ridotto all'osso il compito è insegnare ad uccidere bene e farsi ammazzare poco".

Se questo è il modello di soldato a cui l'addestramento militare deve tendere, la formazione del gruppo trae senso dalla identificazione collettiva di questo obiettivo comune. "Poche strutture sono atte, più di quelle militari - sostiene il Nuovo modello di Difesa - a promuovere l'idea di fare parte di un unico 'organismo', con un fine di ordine superiore... In sostanza la fisionomia stessa di 'istituzione globale' dei reparti militari implica un più intenso impegno per la vita e gli interessi comuni, una maggiore densità morale".Ed è proprio il carattere di "istituzione globale" dei reparti militari e la maggiore "densità morale" che ivi si realizza che deve farci riflettere sul fatto che episodi come quelli che stanno emergendo in questi giorni, non sono slegati dai fini, dal contesto culturale, psicologico e umano del gruppo nel quale gli individui sono stati modellati. E' proprio la qualità di questa maggiore "densità morale" che deve essere messa in discussione, assieme ai metodi e ai fini della formazione e dell'addestramento militare, e alle strutture che questi metodi hanno assimilato meglio come la Folgore. Occorre avere il coraggio di mandare definitivamente il archivio il cosiddetto Nuovo modello di Difesa, modificarne gli obiettivi e modificare gli standard della formazione dei reparti militari, che non deve essere più quella della costruzione di uomini-macchine da guerra, addestrati a uccidere bene e senza dubbi morali, rinunziando all'alibi delle guerre limitate per imporre la pace, ipotesi che, proprio in Somalia, si è dimostrata impraticabile e fonte di orrori.

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