Flessibili, cioè libere?

PETRUCCI SABINA

Flessibili, cioè libere?

SABINA PETRUCCI * EUFEMIA RIBICHINI ** -

L ETIZIA Paolozzi, sull'Unità ("l'Una e l'altra") afferma che le donne stanno provando a uscire da un sistema lavorista-patriarcale collocandosi nelle professioni, e che scegliere liberamente è il portato della libertà femminile. Questa affermazione segue quella sulla flessibilità nel lavoro che a parere di Paolozzi, se controllata, può tenere in conto la libertà individuale, anche se, certo, pene e fatiche non sono scomparse per le donne (del sud).

Su questi contenuti - espressi anche al seminario internazionale di donne a Londra la settimana scorsa - vogliamo svolgere alcune considerazioni.

E' indubbio che quanto a occupazione e condizioni di vita la situazione delle donne che vivono al sud è drammatica; ma se parliamo di fatiche non c'è una suddivisione geografica così imperativa - come dimostra il rapporto Onu - sulla quantità complessiva dei lavori delle donne italiane.

Nel centronord inoltre le donne occupano la maggioranza dei lavori cosiddetti flessibili (o "atipici") e non nelle libere professioni ma nel lavoro dipendente (industria, commercio, per non parlare dell'agricoltura).

Prima di decantare i pregi della flessibilità e affermare che renderebbe più libere le donne, bisognerebbe chiedersi in quali settori si è verificata una crescita di occupazione femminile, a quali condizioni, quante di queste donne hanno liberamente scelto di lavorare 4 o 6 mesi con salari di 1.200.000 che scendono a meno di un milione quando le assunzioni sono a part-time (esistono 32 forme di part-time praticabile).

Nei luoghi di lavoro che noi conosciamo, le fabbriche metalmeccaniche, le donne se sono felici non è certo grazie né alla flessibilità né alle condizioni di lavoro (vale anche per le più professionalizzate). Con i contratti a termine sono molto meno libere di sottrarsi alle richieste di straordinari, turnazioni disagiate (notte, week-end, ecc.), di stare a casa se si ammalano o in permesso se hanno problemi con i figli, di ottenere un lavoro qualificato. Certo potrebbero far valere i loro bisogni o desideri a prescindere dalla possibilità di futura conferma a tempo indeterminato, considerandosi fortunate di lavorare a periodi alterni.

Le necessità delle donne

Peccato che la realtà sia altra e che la maggioranza delle donne lavori per necessità, come risulta da una recente indagine effettuata dalle donne nella Fiom tra lavoratrici di fabbriche di realtà diverse. Queste donne non sono meno libere di altre, vogliono affermare autonomia e indipendenza. Lavorare per procurarsi un reddito è tutt'altro che un "optional" nel determinare il grado di libertà di scelta di donne (e uomini).

Queste stesse donne ci dicono quanto siano peggiorate negli ultimi anni le loro condizioni di lavoro e di vita e quanta distanza ci sia tra le capacità che si riconoscono e la non valorizzazione di tali capacità sotto tutti i punti di vista, compreso quello salariale.

La nostra esperienza ci fa dire che nel prossimo futuro globalizzazione e interessi dell'impresa giocheranno sempre più la carta della precarizzazione del lavoro (vogliamo chiamarla flessibilità?) delle donne, in una concezione del lavoro usa e getta dove sono le persone che si debbono adattare alle esigenze delle imprese e non il contrario.

Quanto credete sia utile per quelle stesse persone un contesto in cui anche autorevoli esponenti del femminismo della differenza ritengono il lavoro flessibile una risposta alla redistribuzione dei tempi?

Ai dati che ricaviamo dalla nostra pratica quotidiana - e alle statistiche - non si può neanche obiettare che il settore metalmeccanico è a peculiare misura maschile, poiché il processo di precarizzazione avanza anche in altri, come la grande distribuzione - dove ad esempio il part-time può essere spezzato anche nella stessa giornata (4 ore al mattino e 2 alla sera). Tutte le forme di "lavoro" flessibile vengono offerte principalmente alle donne e sono molto limitate per gli uomini, con una tendenza alla strutturalizzazione. E' questa la strada per superare il modello lavorista/patriarcale?

Inoltre in tutti i settori si sta diffondendo l'uso di una lettera di dimissioni firmata dalle donne all'atto dell'assunzione qualora sopravvenga una gravidanza.

Chi sceglie per chi?

Nel seminario internazionale di Londra Maria Grazia Giammarinaro (ministero Pari opportunità) ha espresso una critica all'eccesso di tutela rappresentato per esempio dall'obbligo di astensione dal lavoro per maternità. La soggettività delle donne sarebbe dunque più forte dei possibili ricatti del datore di lavoro? A quali donne pensa Giammarinaro?

Ci siamo messe a ipotizzare con divertimento una fabbrica (dove persino le pause oggi vengono rimesse in discussione) dove le donne che vi lavorano scelgono in nome della propria libertà quando andare in astensione obbligatoria. Ma davvero si può pensare che sia possibile scegliere per tutte indipendentemente da dove e come si lavora?

A noi sembra che da tempo la teoria della libertà femminile si sposi spesso con quella della libertà d'impresa sostenuta da Confindustria.

Anche noi vogliamo riformare lo stato sociale e per prime abbiamo contestato il modello lavorista patriarcale perché non ci comprendeva se non in termini di tutela. Elaboriamo e proponiamo da anni, ma l'ultima riforma delle pensioni ci ha mostrato come una proposta di donne che tentava una riscrittura che cogliesse i cambiamenti soggettivi è stata vissuta nella completa indifferenza dal femminismo "simbolico".

Abbiamo idea di cosa saranno le pensioni di tutte queste donne "flessibili", o di quelle a retribuzione più bassa e con periodi non lavorati? Per queste donne l'età del pensionamento è tutt'altro che "una scelta".

Non si può dunque partecipare a un seminario, dove si interviene non a titolo personale ma come appartenente ad una istituzione (ministero delle Pari opportunità) e parlare a nome di tutte (chi rappresenta chi?) e attraverso l'affermazione della necessità di modificare lo stato lavorista/patriarcale negare rappresentanza sociale e politica ad altre donne.

Chi vuole andare a cercare coincidenze con il pensiero liberale classico faccia pure. Chi vuole utilizzare la libertà femminile per modificare lo stato sociale, deve sapersi confrontare con un femminismo sociale che usa come chiave di letture dei cambiamenti i "lavori" e i soggetti che li effettuano.

Se non si fa questo, le proposte avanzate rischiano di rappresentare solo un ceto politico femminile autoreferenziale che francamente ci sembra oggi in politica solo una buona applicazione delle pari opportunità.

Il 14 marzo a Bologna 300 donne metalmeccaniche si sono riunite per discutere, sfidare e provocare non solo il sindacato. La libertà femminile non può prescindere per noi dalle condizioni materiali di migliaia e migliaia di donne.

*Fiom Bologna, **Fiom Torino

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