La centralità del desiderio e del soggetto desiderante scompaginano qualsiasi centralità "oggettivamente data". Il desiderio diviene movimento e il movimento si fa performance, evento. Non c'è presa del potere negli orizzonti (e negli interessi) del movimento, c'è il suo dis/velamento. Certamente il '77 non è solo questo; è anche (e dopo marzo soprattutto) estremismo politico, l'insurrezionalismo dell'Autonomia operaia, il marxismo rivisitato dei gruppi neoparlamentari dell'estrema sinistra, la radicalizzazione della polemica antiriformista contro il Pci. Ma a fianco della politica, e spesso proprio nelle pieghe dell'estremismo politico, si nasconde questa prima grande sperimentazione del suo superamento, senza la quale l'interesse per il 1977 sarebbe giustamente confinato agli studiosi delle vicende della nuova sinistra e a quelli dei differenti terrorismi di sinistra che a lungo hanno insanguinato il paese. In realtà, proprio nel ghetto dell'estremismo si sperimentano nuovi linguaggi e nuovi comportamenti che negli anni successivi si diffonderanno non più solamente fra i giovani, ma nell'intera società. (....)
La politica si rinchiude nel palazzo, abbandona le strade e le piazze perché questo è quello che vuole il ceto politico come la maggioranza silenziosa della sterminata piccola borghesia, stanca del disordine e della continua ridefinizione di ruoli e gerarchie. (...)
Gli intellettuali più raffinati del Pci teorizzano "l'autonomia del politico", cioè l'assolutizzazione del concetto di politica intesa come arte del sapere governare: i conflitti sociali, le dinamiche complesse e contorte di una società in profonda trasformazione rimangono estranee a questa scienza. L'esito elettorale del 20 giugno stempera le paure del "sorpasso" comunista e del crollo della Dc e conduce a una situazione politica anomala con un governo sorretto da una maggioranza "bulgara" (anche se litigiosa) e un'opposizione parlamentare inesistente per la sua esiguità numerica. La strategia berlingueriana del compromesso storico e quella morotea delle larghe intese sembrano realizzarsi con la loro visione organica della società, dove il conflitto viene espunto come un segnale di malessere. (...)
In questo momento di riduzione degli spazi di partecipazione attiva alla politica, la presa ferrea della politica sulla società comincia ad allentarsi. Le strade divergono in maniera sempre più evidente. Le parole, le categorie interpretative, gli strumenti della politica non riescono più a interpretare i cambiamenti in atto. O forse più che di incapacità si tratta di disinteresse. La politica, ridotta a gioco fra i partiti, strategia tutta interna al "palazzo", si disinteressa della minutaglia e del "brulichio" esterni, trincerandosi nella sua torre d'avorio che è potere, che è (diventerà) denaro, che è estraneità.