Le delizie liberiste del modello veneto

SACCHETTO DEVI

Le delizie liberiste del modello veneto

Devi Sacchetto

Analfabetismo e razzismo "endemico". Orari flessibili e produzione familiare. Lavori precari, salari "marginali" e alcolismo da sabato sera. Il disagio sociale ed economico del Veneto

D A DOVE vengono i componenti della banda dello sbarco in piazza san Marco, A Venezia? Da piccoli paesi della fascia meridionale delle province di Padova e Verona. Tre di questi, Mezzane di Sotto, Colognola ai Colli e Cladiero, distano pochi chilometri da dove Pietro Maso, pochi anni fa, uccise i suoi genitori per ereditarne il patrimonio. Qui il disagio giovanile è in aumento, le richieste di consulenza psicologica per i minori sono continue, per patologie microproblematiche ma diffusissime. In queste aree la necessità di esprimere la propria "vitalità" rimane compressa per cinque o sei giorni settimanali per esplodere d'incanto nei fine settimana.

Agna, Cartura, Casale di Scodosia, Conselve, Urbana sono nella bassa padovana, un'area in cui il benessere delle Prealpi è arrivato di striscio. Nel Basso Veneto la disoccupazione è ancora elevata ed i posti di lavoro sono in piccole fabbriche, come operai, elevati ritmi produttivi e bassi salari. Qui i tassi di scolarizzazione, pur in crescita, sono ancora inferiori a quelli del resto del Veneto e l'analfabetismo funzionale è elevato. Della fascia al di sotto dei 64 anni, l'8,1%, pur essendo ufficialmente alfabeta, non ha titolo di studio. Le più penalizzate sono le donne per le quali un posto come cucitrice a 15 anni in qualche piccola fabbrica significa un salario per la famiglia. E' pur vero che molte donne aprono piccole attività produttive, ma spesso sono coadiuvanti nell'impresa familiare gestita dal marito o semplici prestanome. Il lavoro a domicilio, pur in forme diverse dal passato, è ancora esteso e viene fatto per lunghi periodi della vita per integrare il lavoro domestico.

Nell'ultimo decennio nel basso Veneto la piccola proprietà dei coltivatori diretti è andata in crisi, la struttura fondiaria si è rafforzata, sono raddoppiate le imprese che occupano manodopera extrafamiliare, arrivando a quasi il 15% del totale, due volte e mezzo superiore alla percentuale del resto della regione. Nella fascia meridionale del Veneto gli addetti nell'agricoltura sono quasi il triplo rispetto al resto della regione e le donne e i giovani, più che altrove, lavorano nella campagna. E' proprio qui che le donne lavorano più che nel resto della regione; la loro presenza nel mercato del lavoro, spesso legata ai cicli familiari e stagionali, diventa indispensabile per stare al passo della media dei consumi. D'altra parte alla fine del 1994 nel Basso Veneto, i residenti costituivano il 16% della popolazione veneta ma lamentavano una maggiore disoccupazione: il 22% di tutti gli iscritti al collocamento,uno zoccolo duro che fatica a trovare un lavoro continuativo.Sono i giovani, oltre alle donne, che pagano lo scotto del precariato, tra sottoccupazione e lavoro irregolare. Qui il ruolo della donna è fondamentale: crescere i figli, curare la casa e soprattutto lavorare "fuori", percependo un salario che rimane considerato socialmente come un'integrazione a quello famigliare. In questi luoghi, la famiglia allargata condiziona pesantemente i percorsi di vita, educando alle regole di una società che nel tempo si è fatta sempre più aggressiva. Non si tratta certo della Riviera del Brenta dove operava Felicetto Maniero, qui l'aggressività è quotidiana ed agisce in modo magari meno violento ma altrettanto radicale e pervasivo. La media e grande industria, che sta altrove e mantiene una facciata democratica, ha assunto la marginalità economica del basso Veneto come luogo complementare su cui scaricare i suoi costi e le basse congiunture economiche. Se poi gli effetti sociali di queste strette produttive sono devastanti, la media e grande industria si chiama fuori. Il suo silenzio risulta alquanto assordante.

Che cosa facevano gli otto arrestati? Quattro operai, due lavoratori autonomi, un artigiano, uno studente in un intreccio perverso, favorito anche dall'inseguimento da parte della sinistra, delle parole d'ordine leghiste. In Veneto, come altrove nel Nord, questo accodamento al federalismo, alla detassazione, alla sburocratizzazione ha aperto un varco enorme. Ma il localismo, pur nelle sue diverse varianti, prevede dei confini nitidi, i cui effetti non ricadono su tutti in maniera uguale. E' per segnare tali confini che è diventata minacciosa la battaglia leghista - e di altri gruppi politici - contro gli immigrati e soprattutto contro il loro diritto al voto, mentre proprio nel Veneto le assunzioni di lavoratori e lavoratrici immigrati è uno dei punti di forza del sistema produttivo. Dall'agricoltura all'industria gli immigrati vengono incasellati nei segmenti lavorativi peggiori e il razzismo si amplifica, soprattutto all'esterno dei luoghi di lavoro. L'impossibilità di trovare un alloggio, cartelli razzisti nei bar, caccia alle prostitute e agli spacciatori perché stranieri, mostrano uno spaccato in cui una falsa accettazione passa per l'abbassamento di ogni diritto sociale, politico e lavorativo.

L'etica del lavoro settentrionale è anche il frutto di una campagna costante e, negli ultimi anni, feroce contro lo studio. Se la distanza tra città e campagna si è approfondita, l'allontanamento è ancora più penetrante sul proseguimento oltre la scuola dell'obbligo e nella divisione del lavoro.

Il Veneto dispone di un sistema produttivo su cui quotidianamente si accendono i riflettori di studiosi provenienti da tutto il mondo, ma le riflessioni - anche a sinistra - riguardano la competitività delle piccole imprese, la loro agilità a muoversi nel mercato, la loro capacità creativa. Qui il sindacato è poco presente e, quando arriva, sciorina la valorizzazione delle identità e dei patti territoriali per difenderne gli elementi "originali" - come li ha definiti un funzionario sindacale - del modello veneto. Troppo difficile organizzare le piccole realtà produttive, alti gli interessi in gioco.

In questo modello il padronato veneto può tentare di inserire, alle sue estremità (Frassinelle Polesine), un contratto Cisal che prevede, tra l'altro, un orario complessivo fino a 2.200 ore, una maggiorazione per le ore di lavoro domenicale del 3%, mentre l'orario "dei fanciulli e degli adolescenti non può durare senza interruzione più di quattro ore e mezza". Il gioco sembra abbastanza chiaro, dal momento che a livello nazionale per il rinnovo contrattuale di fine giugno, Federtessile propone un aumento di 80.000 lire da qui fino al duemila, con un'estensione di sei mesi della durata contrattuale. Ed allora, quali sono le possibilità di riscatto, di modificazione della propria vita? Forse un salario di un milione e mezzo per il 2000 cucendo 800 pantaloni al giorno e partecipando magari alle manifestazioni della Lega?

Il modello Veneto non si è imposto in quanto tecnicamente migliore; esso si crede dotato di molti pregi morali e sociali. La pronta risposta alle esigenze produttive passa attraverso minori vincoli e un'elevata discrezionalità nell'uso della forza-lavoro. Le imprese artigiane e le piccole imprese sono caratterizzate da una pesante dipendenza dal lavoro familiare, basse spese generali, orari di lavoro flessibili e minori costi complessivi. Effettivamente il Veneto con Trentino, Friuli ed Emilia Romagna occupa i primi posti per numero di infortuni su ogni milione di ore lavorate. Dal punto di vista dei costi economici, nel solo 1992 gli infortuni nel Veneto sono costati alla collettività quasi 1.100 miliardi. L'assenza o la programmazione delle visite degli Ispettorati del lavoro, in perenne carenza di personale, è l'altro aspetto di un sistema che non sempre riesce ad integrare livelli elevati in disagio sociale ed economico.

Il modello produttivo veneto è tale per cui nelle strade statali, provinciali e comunali nel 1995 si sono verificati giornalmente 45 incidenti con 2 morti e 62 feriti: una media che nel caso di Treviso è superiore a Napoli e Firenze. Quando poi si arriva al fine settimana, il sequestro da parte delle forze dell'ordine di centinaia di patenti per guida in stato di ebbrezza alimenta ancora di più i sentimenti di avversione. Dal 1992 ad oggi il numero di conducenti denunciati in Veneto per guida in stato di ebbrezza è in costante aumento e nel biennio 1994-95 si è giunti al 157% del totale nazionale. Questo modello ospita imprese "leader" come la Fashion Box - che insieme a Diesel è uno dei nuovi conclamati miracoli del Nord-est - in cui a luglio si appendono cartelli del seguente tenore: "Salvo casi eccezionali, sono sospese le vacanze di agosto"; il tutto per potere inaugurare all'inizio di settembre un nuovo negozio a Parigi.

In una situazione come questa, in cui il sindacato fatica a trovare il bandolo della matassa, che non sia la gestione di corsi di formazione e la fornitura di servizi ai pensionati, ci si appiattisce su posizioni ambigue, senza una progettualità che definisca i modi e i tempi di contrapposizione reale alla continua flessibilizzazione e precarizzazione delle prestazioni dei lavoratori. Forse, persino l'infausto momento di un processo può essere l'occasione di liquidare qualche luogo comune sul Veneto dove operai e padroni si amano, per introdurre qualche elemento nuovo di confronto. Prima che sia troppo tardi.

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