Questa è l'anima del commercio

CASTELLINA LUCIANA

Questa è l'anima del commercio

Stati uniti ed Europa comunitaria si sono messi d'accordo per violare le regole del commercio mondiale che tengono insieme il Wto, l'organismo nato da poco proprio per volontà delle due maggiori potenze commerciali del mondo. Sulla legge Helms-Burton, che danneggia Cuba ma anche tanti paesi latinoamericani, firmato un compromesso fra ladroni

LUCIANA CASTELLINA -

A NCORA NEONATA, l'Organizzazione mondiale del Commercio (Wto) ha già subito un colpo per mano delle due potenze, Stati uniti e Unione europea, che ne avevano fortemente voluto la nascita. Le madrine, infatti, hanno ancora una volta dimostrato di essere incapaci di sopportare anche un minimo di regole generali, fossero pure quelle che loro stesse hanno steso e poi fatto accettare ai più deboli come moderne tavole della legge. Insomma: gli affari meglio sbrigarli direttamente fra chi conta, le norme custodite a Ginevra vanno bene solo quando servono a mettere in riga i pesci piccoli.

E' accaduto che dopo esser con grande clamore ricorso alle procedure disciplinari previste contro chi viola le regole -in questo caso gli Stati uniti per via delle loro leggi "Helms-Burton" e "D'Amico" (che prevedono la persecuzione di chiunque, a qualsivoglia paese appartenga, commerci rispettivamente con Cuba e con Iran e Libia) - chiedendo ed ottenendo l'istituzione di un panel che avrebbe dovuto decidere quali sanzioni imporre al potente imputato - il commissario europeo sir Leon Brittan ha preferito fare marcia indietro e accordarsi con Washington, rinunciando per ora a proseguire l'imbarazzante processo in cambio di una relativa protezione degli interessi delle ditte europee che operano all'Avana. Con buona pace degli altri paesi implicati, a cominciare dagli stati del centro e del sud America, lasciati soli e ormai indifesi in balia della rappresaglia di Washington. Il tutto in nome della ribadita comune e superiore missione intesa a riportare la democrazia nell'isola caraibica. E non importa se così facendo le due più grandi potenze commerciali del mondo, che dovrebbero essere le vestali del Wto, hanno distrutto la già fragile credibilità dell'istituzione, succeduta al Gatt, che si pretendeva nuovo democratico foro creato a tutela dell'equità dei rapporti commerciali nell'era della globalizzazione.

Il Financial Times ha tirato un sospiro di sollievo, salutando il buon senso di chi ha capito che la cosa peggiore per i signori è mostrare al popolo che essi litigano fra di loro. E in effetti era stato singolare che l'Unione europea avesse osato sfidare Washington portandola in giudizio e reggendo per ben due mesi al suo ricatto: "se intendete andare fino in fondo abbandoneremo il Wto". Come se il papa minacciasse di lasciare il Vaticano.

Il compromesso raggiunto sulla Helms-Burton - che ieri è stato fatto proprio dal Consiglio europeo dei ministri (il commissario operando solo a nome dei 15 stati membri e non in base a competenze comunitarie che in questo campo non esistono, col risultato che non c'è più il controllo dei parlamenti nazionali e però non ancora quello del parlamento europeo) - non è molto chiaro, e si capisce. Lo hanno illustrato, dicendo cose affatto diverse, i negoziatori delle due parti: il sottosegretario americano Stuart Eisenstat e il commissario europeo Brittan. Il primo, sottolineando la rinuncia dell'Europa ad impugnare la "legge per la libertà" (così si chiama la Helms-Burton) e il suo impegno a "globalizzare parametri forti a difesa rafforzata dei diritti di proprietà, e cioé a colpire chiunque traffichi (sic) con beni confiscati dalle autorità cubane". Il secondo, annunciando soddisfatto che il presidente Clinton sospenderà l'applicazione della legge nei confronti delle ditte europee fin quando non si saran trovate soluzioni comuni.

In realtà, sebbene corra voce che bottiglie di champagne siano state stappate per salutare la ritrovata connivenza, ambedue i protagonisti del negoziato debbono esser convinti che quello che hanno firmato è un documento di grande valenza politica e di scarsa applicabilità. Perché: 1) il compromesso si basa sulla promessa di Bill Clinton di limitare, fino alla fine del suo mandato - nel 2001 - l'applicazione del terzo capitolo della legge Helms-Burton nei confronti delle ditte europee. Una promessa (e non dunque una effettiva garanzia) che peraltro sarà assai difficile al presidente americano mantenere, essendo quel potere in mano al Congresso, che egli non controlla. 2) Anche più vago è l'impegno di limitare le disposizioni dell'altra legge sorella, quella D'Amico sull'embargo a Libia e Iran. 3) Quanto al capitolo quarto della Helms-Burton, in cui si autorizzano le autorità americane a negare l'ingresso negli Usa ai rappresentanti delle società che "trafficano" con Cuba e ai loro familiari (misura per ora minacciata nei confronti di dirigenti dell'italiana Stet, di due aziende britanniche e una canadese), l'impegno si riduce a discuterne con il Congresso, che - sottolinea la stampa americana - difficilmente si ammorbidirà se le ditte in questione non si impegneranno a interrompere i loro affari con l'Avana.

Ma il vero nocciolo dell'accordo consiste nell'annuncio di una stretta collaborazione fra Usa e Ue per varare, in sede Ocse ed entro ottobre, una nuova e più rigida normativa per colpire chiunque stabilisca rapporti con aziende oggetto di espropriazione o nazionalizzazione. Non importa quando e in quali circostanze. Negli interventi sentiti venerdì a Bruxelles, nel confronto chiesto sull'argomento dalla Commissione per le relazioni economiche esterne (Rex) del parlamento europeo (che presiedo da un paio di mesi), è stato ironicamente chiesto dagli spagnoli se le misure avrebbero contemplato anche le loro proprietà confiscate a suo tempo dagli americani, e se un contenzioso gigante sarebbe stato aperto con Eltsin.

Il Parlamento europeo non ha il potere di far saltare l'accordo, anche se la maggioranza intendesse farlo. Può però sollevare il caso politico, così come fece mesi fa quando si pronunciò contro il rafforzamento dell'embargo da parte degli americani. Lo ha fatto quasi all'unanimità la commissione Rex, chiedendo formalmente che se ne discuta quanto prima in aula, denunciando la grettezza e la miopia dell'esecutivo che rischia di inficiare la credibilità delle istituzioni multilaterali, le cui norme non trovano applicazione nei confronti dei potenti. Non sarebbe male se se ne occupasse anche il parlamento italiano.

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