CONVEGNI L'ambivalenza dei regali avvelenati

FLORIS LUCIANA

CONVEGNI L'ambivalenza dei regali avvelenati

"L'occidente fra utilità e dono", un incontro a Firenze dell'Istituto Gramsci

LUCIANA FLORIS - FIRENZE

I L DONO come faccia oscura della modernità, come dimensione altra non riducibile all'utile: questo il tema di un convegno organizzato venerdì scorso dall'Istituto Gramsci Toscano, in collaborazione con l'"Istituto italiano per gli studi filosofici", "L'occidente fra utilità e dono".

Un tema abbastanza insolito in Italia, ma molto diffuso oltralpe, soprattutto in Francia: grazie al M.A.U.S.S. ("Mouvement antiutilitariste en sciences sociales"), un gruppo che ha rilanciato la tematica del dono a partire da Marcel Mauss. Ma, mentre i teroci francesi seguono una prospettiva sociologica, tesa alla critica della ragione utilitaria, come ha ricordato Elena Pulcini, il convegno ha voluto affrontare il problema in termini filosofici. Per porre numerosi interrogativi: il dono è veramente un "atto gratuito"? Fino a che punto è incompatibile col mercato? Oppure può innescare reciprocità e porsi al servizio del legame sociale?

Diversi interventi hanno messo in evidenza due opposte letture del dono che percorrono la tradizione filosofica. Un filone ermeneutico vede il dono come pratica dissipativa, spreco, "figura critica dell'impossibile" (il riferimento a Bataille in questo caso è d'obbligo). Una lettura "ordinativa" vede, invece, il dono in una dimensione scambista, usuraia, funzionale al contratto sociale. Questa logica dell'utile, "del replicante" che finora ha detenuto il primato in Occidente, ha operato un "furto delle passioni" (sostiene Pietro Barcellona), sottraendo loro visibilità. Nel mondo dell'utile, si può parlare tutt'al più, secondo Alfredo Salsano, di "pseudo dono": vale a dire più simile a un regalo. Un'offerta rituale dell'inferiore al superiore, associato a una condizione di privilegio, e capace di alimentare la disuguaglianza. E allora il dono rivela tutta la sua ambivalenza, si scopre "avvelenato", diventa fonte di conflitto: il "beneficio si trasforma in maleficio", come ha sottolineato Bruno Accarino.

Però è possibile riscoprire in questa logica dell'efficienza che caratterizza l'Occidente delle "isole di dono". Guarda caso, le proposte in questo senso sono venute soprattutto dalle filosofe presenti al convegno toscano. Secondo Maria Paola Fimiani, bisogna ripensare il dono come "luogo del divenire simili", che tuttavia salvaguardi il complicato intreccio uguaglianza/diversità. Dono come "figura della mescolanza e dell'accoglienza" che permette di salvare le differenze. Per Chiara Zamboni, invece, occorre ridefinire il dono come "movimento del dare, ricevere e ricambiare attratto da un di più", che in un gioco al rialzo, in un movimento a spirale verso l'alto, genera ricchezza esistenziale, politica e simbolica.

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