Padri normali di figli eccezionali. Storie di ordinaria autorità

LO RUSSO GIUDITTA

Padri normali di figli eccezionali. Storie di ordinaria autorità

- GIUDITTA LO RUSSO

O GGI CHE SI PARLA di fine del patriarcato, puntuale arriva questo bel libro di Walter Mauro a ricordarci com'era quel padre che non c'è più (Il peso di Anchise, Frassinelli, pp. 190, L. . 28.000). Cogliamo così anche l'occasione per ricordare che il patriarcato è stato oppressione non solo delle donne, ma anche dei figli. Il primo decisivo colpo a quel regime infatti, ancor prima delle donne, l'hanno dato questi ultimi, scrollatisi di dosso a partire dal '68, "il peso di Anchise" e ogni forma di autorità.

I padri qui proposti sono padri piuttosto eccezionali, o meglio sono padri comuni di figli eccezionali: San Francesco, Torquato Tasso, Giacomo Leopardi, Gustave Flaubert, Franz Kafka, James Joyce. Mauro ne propone toccanti biografie, sottolineando i loro fallimenti rispetto ai progetti paterni. Francesco, il santo-poeta figlio del ricco mercante d'Assisi, rifiuta i beni paterni e sposa Madonna Povertà. Al dottor Flaubert, chirurgo di successo primario all'ospedale di Rouen, è capitato d'avere un figlio che più ebete in famiglia non poteva venir considerato, tutto perso in quelle sue estasi incomprensibili e inconcludenti...

Dunque, padri dispotici, tutti più o meno delusi da figli inetti; i quali, pur vittime di umiliazioni e prevaricazioni oggi impensabili, non si sognano di negare al genitore quella reverenza che appunto la norma patriarcale esige. Il conte Monaldo Leopardi ha avuto la disgrazia di un figlio fatto davvero malissimo, il quale tuttavia così gli scrive: "mio carissimo signor Padre... per quanto Ella possa aver cattiva opinione di quei pochi talenti che il cielo mi ha conceduti...se mai Le si desterà ricordanza di questo figlio che L'ha sempre venerata ed amata, non la rigetti come odiosa, né la maledica...".

E' per sfuggire all'incomprensione e repressione paterna che Giacomo, e come lui gli altri figli qui ritratti, si tufferanno nel mare dell'immaginario poetico e nella scrittura, quale antidoto e riscatto alle umiliazioni subite in famiglia. Per tutti si profila un "padre ideale" da contrapporre a quello reale. Nel percorso liberatorio di ciascuno è una figura maschile autorevole, sostitutiva dell'oggetto paterno, che aiuta questi giovani nel difficile transito dall'infelicità filiale alla felicità creativa. E la genesi della creazione letteraria alla luce della relazione padre-figlio è propriamente l'oggetto di questo libro.

Così il giovane Kafka vorrà contrapporre al padre "qualcosa di altrettanto grandiosamente patriarcale". Si butta freneticamente nella scrittura; ha poco tempo. Presto incomincia a sputare sangue; la prima volta trova la cosa "interessante", "guardai un momento e non ci pensai più. Poi avvenne sempre più spesso... e allora non fu più interessante, ma noioso e di nuovo non ci pensai più". Rapida giunge la fine dei quest'uomo che evitava gli specchi per non vedere la sua bruttezza, ma che "il senso della discrezione non abbandona un istante". Quasi in punto di morte rifiuta la visita dei genitori, "non sono ancora bello, presentabile".

Duole di un libro così elegante e ricco di suggestioni dare una lettura in qualche modo ideologica, dunque riduttiva. Ma sulle madri e la relazione materna si è detto e scritto moltissimo; la riflessione sui padri è invece appena incominciata. Essa rimanda a un più ampio discorso sulla differenza maschile (tutt'altra cosa infatti è la relazione filiale vissuta dalle donne) e impone come prioritario il tema dell'autorità. Si deve all'autoritarismo cieco di padri come quelli che giganteggiano in questo libro, fino a ieri del tutto normali e convinti di esser nel giusto, se una generazione di figli ha compiuto il grande parricidio, credendo di poter liquidare, con la patria potestas, anche ogni forma di autorità.

Il '68 è stato la rivolta dei figli contro i padri. Questi figli, per i quali la figura paterna ha rappresentato un modello avversato da evitare e distruggere, hanno buttato a mare con il "peso di Anchise" anche il senso positivo dell'autorità. Essi sono i padri di oggi, che hanno comprensibili difficoltà a riconoscersi in questo ruolo. Non vogliono più essere autoritari, non sanno essere minimamente autorevoli.

E' merito del pensiero femminile aver denunciato nella crisi di autorità che investe uomini e istituzioni, uno dei più preoccupanti mali di questo scorcio di millennio. Di qui "la scommessa di un senso libero dell'autorità", il cui modello le donne di Diotima indicano nella relazione madre-figlia. L'etimologia stessa della parola (da augeo: cresco, accresco, faccio crescere), rinviando alle "radici femminili dell'autorità", è significativa indicazione di quanto essa sia necessaria in ogni processo di crescita. In sua assenza i figli crescono malissimo. Come evidenziato dalle biografie tratteggiate da Mauro, si mettono alla ricerca disperata di un padre ideale, in cui trovare quella fiducia comprensione e riconoscimento che il padre reale ha loro negato.

C'è, può e deve esserci, un'autorità che non è nemica della libertà, ma ne è condizione e alimento vitale. Ma una vera autorità paterna, che aiuti i figli a crescere nella fiducia, nella libertà e nell'amore, non senza la fermezza di regole e disciplina, sembra ancora tutta da inventare.

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