P ubblichiamo ampi stralci dell'intervista di Gianni Minà a Teresa Mattei e Pietro Ingrao, che andrà in onda stasera alle 24.15 su Raidue per "Storie"
Quella ragazza alla quale Roberto Rossellini in "Paisà" fece attraversare la galleria degli Uffizi, poteva essere Teresa Mattei, la più giovane componente del Consiglio di Presidenza dell'Assemblea Costituente in Italia nel '46? Come è che nella sua vita è successo tutto questo?
Allora era naturale accettare le cose più strane. Dopo la guerra e la Resistenza così aspra, sembrava naturale fare cose che oggi dalle giovani donne sono ritenute forse estremamente difficili. Dopo la laurea avrei dovuto insegnare in un liceo filosofia, ma poi la formazione politica a cui appartenevo mi fece cambiare strada e mi fu assegnato un incarico politico...
Nel Partito comunista?
Sì, nelle città di Pistoia e Firenze, dove era molto stimata dagli elettori. Già nel periodo clandestino avevo attraversato a piedi le due province. I contadini e gli operai, soprattutto di Empoli e Prato, mi conoscevano molto bene.
Suo padre, Ugo Mattei, era una prestigiosa figura del Partito d'azione. Come mai lei non condivise la sua stessa ideologia?
Per lui fu un grave colpo quando nel '42 io e mio fratello Gianfranco gli confessammo che avevamo scelto di iscriverci al Partito comunista. Ci rispose che lui ci aveva insegnato ad amare la libertà e che vedeva seri problemi in futuro per il Partito comunista. Noi avevamo scelto il Pci perché ci sembrava l'unico veramente organizzato per opporre resistenza al fascismo ed ai tedeschi.
Mi può raccontare un po' di suo padre che, fra l'altro fu molto amico del suo primo marito che era comunista
Sì, il mio primo marito è stato un suo grande collaboratore e lo ha utilizzato anche ai fini della Resistenza dopo l'8 settembre. Durante i quarantacinque giorni di Badoglio, a mio padre fu dato il compito di organizzare un apparato sindacale giusto in Toscana. L'8 settembre emise un proclama nel quale si esortavano gli operai a difendere le loro fabbriche e i loro strumenti di lavoro, e comunque di distruggerli pur di non consegnarli ai tedeschi che li avrebbero portati in Germania. Questo provocò una dura reazione dei tedeschi e dei repubblichini e gli costò una taglia di 2.000.000 che all'epoca erano molti. Fu aiutato a fuggire e a nascondersi a Roma proprio da Bruno Sanguinetti che poi diventò mio marito.
Suo fratello era una grande mente, uno straordinario chimico...
Sì, Gianfranco fu un grande chimico. Insegnò al Politecnico quando i suoi studenti avevano più o meno la sua età.
Venticinque anni?
Sì. Per tre anni portò avanti delle ricerche che poi valsero al professor Natta, che dirigeva l'equipe di ricerca, il premio Nobel. Mi ricordo che offrì la medaglia a mia madre perché disse che mio fratello se la meritava più di lui.
Come entrò nella Resistenza?
Fu soprattutto per un contatto che ebbi con Vittoria Giunti che insegnava all'università di Firenze. Inoltre ero entrata in contato con un gruppo di studenti antifascisti, circa una cinquantina. Il 10 giugno del '40 organizzammo una manifestazione anti-guerra. In quell'occasione ci denunciarono e ci accusarono di essere dei sabotatori. Non tutti in quel momento capivano la portata di quanto stava accadendo, soprattutto quei ragazzi che poi partirono per Stalingrado per non fare più ritorno. (...)
Parliamo del suo primo matrimonio....
Il mio primo incontro con lui avvenne a Firenze sul ponte Vecchio. Mi fu presentato da Vittoria. Ero stata preparata per quell'incontro. Mi ricordo che Vittoria mi disse che non dovevo fare il nome del compagno perché era una persona molto importante, ma che gli dovevo raccontare quanto facevo all'università per creare una coscienza antifascista. Quando incontrai quest'uomo dai meravigliosi occhi intensi e con un cappello nero, lui mi disse che non dovevamo farci vedere assieme per motivi politici e mi prese a braccetto facendo finta che fosse il mio fidanzato. Mi sentii molto imbarazzata perché nessun uomo mi aveva abbracciato prima. Mi spiegò le regole della clandestinità e mi presentò ad un operaio che si chiamava Rigoletto. Mi ricordo che Rigoletto mi disse: "Se uno di noi viene arrestato, tu dopo dieci giorni finisci nell'Arno" (...)
Lei aveva un aspetto così mite, delicato...
Credo che fu proprio per questo che mai nessuno pensò che potessi far parte della Resistenza. Non ero vistosa.. anzi l'unica volta che lo sono stata fu quando dovetti mettere una bomba. Mi misi del trucco proprio per non farmi riconoscere...
Dove fece l'attentato?
Vicino all'albergo Arno, dove si trovava il capo dei tedeschi.
Fece vittime?
No, solo il capo dei tedeschi finì all'ospedale e poi morì. Noi cercavamo sempre di non fare vittime.
Quando si sceglie di fare una guerra così estrema, quanto volte si entra in conflitto con la propria morale ed etica?
Molte, troppe. E' per questo che io preferisco occuparmi di pace. La guerra è terribile ed io spero che mai nessun ragazzo o ragazza debba mai imbracciare un fucile o mettere bombe.
Perfino san Tommaso scrisse: "Il tirannicidio è giusto quando il popolo viene oppresso". Ma quando lei partecipava alle azioni, sapeva che avrebbe potuto fare delle vittime?
Certo. Ma la disperazione di poter finire la guerra era più forte. Mi ricordo di una volta nel '43, io e Gianfranco eravamo a Roma, alla stazione Termini aspettando nostra madre che arrivava da Orvieto, quando sentimmo arrivare un convoglio militare tedesco e udimmo il lugubre suono dei passi di ferro delle Ss. Mio fratello mi abbracciò e mi disse: "Lo sai che uno di noi due non uscirà vivo da tutto questo." E quella sera le Ss assediarono il Ghetto.
Suo fratello come fu arrestato?
A Roma, a Via Giulia, fabbricava ordigni con Giorgio Labò. Qualcuno li tradì. Furono portati a via Tasso, torturati. Disse a Giorgio Labò di scaricare la colpa su di lui e la stessa sera si suicidò.
Cose subito a Roma quando seppe che suo fratello era stato arrestato. Chiese la grazia al Cardinal Montini, futuro Paolo IV
Sì, Montini era un caro amico di mia madre e speravo che potesse spingere Pio XII a chiedere la grazia. Così fu. Pio XII scrisse una lettera che Kappler però strappò senza neanche aprirla e poi disse di non averla mai ricevuta. In compenso, ordinò a Priebke di far parlare con mezzi chimici mio fratello.
Lei ha desposto al processo Priebke?
Sì, ho sentito il dovere ed il bisogno di farlo. Il tribunale militare non voleva testimoni civili. Io comunque avevo il brevetto di partigiana quindi avevo le carte in regola come militare. Non l'ho fatto solo per mio fratello ma per tutti i prigionieri di via Tasso. Durante il processo ha deposto anche un frate del Vaticano che confermò co me la lettera fu veramente consegnata a Kappler.
Lei disse che Priebke doveva essere processato da un tribunale civile
Non volevo che ci si potesse attaccare alla tesi dell'obbedienza. Priebke inoltre era un poliziotto e non un militare.
Quando suo fratello si suicidò in carcere le scrisse un biglietto d'addio?
Sì, scrisse un biglietto per la famiglia. Mi ricordo che mi fu consegnato, un mese dopo la sua morte, da Giorgio Amendola e Sandro Pertini.
Dopo la morte di suo fratello, lei ripartì per Firenze ma sulla strada del ritorno fu catturata e violentata. Non so se posso chiederle di raccontare quest'esperienza
Non ho mai voluto parlare di questo perché non volevo dare un altro colpo a i miei genitori. Al mio ritorno mi vedevano disperata ed io non osavo dire quello che mi era successo. Avevo chiesto un passaggio su un camion di due soldati austriaci, anche perché non c'erano altri mezzi... Questi si fermarono in un campo di nazisti per consegnare del materiale, senza che me ne accorgessi. Quando una pattuglia tedesca si accorse della mia presenza chiesero ai due austriaci spiegazioni, ma loro, per paura di rappresaglie, negarono di esserne a conoscenza. I nazisti pensarono allora ad un'azione partigiana e mi arrestarono, seviziandomi e stuprandomi tutta la notte. Io conosco il tedesco e capii che la mattina dopo mi avrebbero fucilato. Fortuna volle che lasciarono di guardia un italiano, un repubblichino. Aveva una figlia della mia età, non voleva credere che fossi comunista, che fossi una partigiana. Mi disse che avrebbe dovuto allontanarsi per un po' e che non voleva trovarmi al mio ritorno, indicandomi da quale parte fuggire.
Le avevano tolto dei denti...
Sì, ed anche rotto un rene con il calcio del fucile. Riuscii a scappare e arrivai ad un convento dove si trovava la più cara amica di mia madre che era stata sfollata da Messina. In lei ritrovai una mamma. Dopo qualche giorno un carbonaio mi portò via.
I rastrellamenti dei tedeschi in cerca dei partigiani erano terribili...
Sì erano dei momenti terribili. Io mi ricordo di aver visto bruciare vivi dei miei vecchi compagni di scuola.
Chi per esempio?
Mario Sbrilli. Con il lanciafiamme...
Era più la paura o l'orrore?
Tutte e due. Ma la paura era grande.
Signora, parliamo di suo marito. Lei lo aveva incontrato come dirigente della resistenza, sul ponte Vecchio e aveva lavorato per lui. Cosa era cambiato nella vostra vita per far sì che poi divenne suo marito?
Fu lui che riportò i miei genitori a Firenze e rischiò la sua vita per questo. Lui in quel periodo era spostato e aveva due figli. Poi visse una grande tragedia ed interruppe i rapporti con sua moglie che era molto depressa. Io allora compresi che dovevo essere una speranza per lui. Decisi di stare con lui. In quel periodo ero già deputata alla Costituente. (...)
Da chi fu scelta per la Costituente?
Dall'allora capo della federazione comunista fiorentina, Filippo Rosi.
Lei ragazzina accanto ai personaggi eminenti del dopoguerra come De Nicola, Terracini, Ruini, Mattarella...
Era molto strano (...)
Palmiro Togliatti vi impose di votare l'accettazione del Concordato che Mussolini firmò con la chiesa. Ma a lei l'articolo 7 non piaceva?
No, assolutamente. Io cercai di convincere Togliatti a non votarlo. Ma lui non mi ascoltò. Non ci divideva la mia posizione. Io volevo dare le dimissioni, lo stesso De Nicola voleva andarsene. Mi ricordo che io andai da lui con altri per convincerlo a non mollare dicendogli che anche io condividevo i suoi dubbi ma che dovevamo finire la Costituzione.
E lei, Ingrao, ha passato dei momenti di grande pericolo?
Io non ho vissuto la tragedia che ha purtroppo vissuto Teresa. Io ho conosciuto la clandestinità, ma mai il carcere. Forse in una certa fase, il carcere era considerato anche come un momento di liberazione. Il carcere non faceva orrore o paura in se stesso. La nostra paura era quella di non resistere e parlare. Ma allo stesso tempo era quasi un riconoscimento di identità: ti prendevano, ti mettevano dentro ma potevi finalmente dire di essere comunista.
Lei fu espulsa dal partito Comunista?
Sì fui espulsa nel '55. Fui radiata per dissenso politico. Fu per me un colpo durissimo. Io ero molto in disaccordo con lo stalinismo. Attraverso il racconti di famiglia. Una mia cugina lavorava per Beria, il capo della polizia segreta, il Kgb. Lei si rese conto della gravità della situazione e scappò dalla Russia. Il fratello venne in Italia portandomi testimonianze dei crimini fatti in Russia in nome del comunismo. Passai queste informazioni a Togliatti che impallidì e mi chiese come ero potuta venire a conoscenza di questi fatti. Feci allora il nome di mia cugina Emma, Emma Fierdman.
Togliatti conosceva Emma Fierdman?
Sì, l'aveva conosciuta in Russia.
Perché è rimasta comunista?
Perché credo che sia scelta etica più che politica. Se il Partito comunista era una chiesa alla quale bisognava obbedire, io dissi a Togliatti che ero già uscita dalla chiesa cattolica. Non avrei mai firmato una dichiarazione che smentisse cose in cui credevo.
Ingrao: Non è facile esprimere oggi la paura del nazismo. Da questa paura è nata per noi un'importante scelta di vita: la clandestinità e la resistenza. Ho dei ricordi molto nitidi di alcuni momenti. Con Gillo Pontecorvo mi ricordo di momenti in cui eravamo molto affamati. Ci arrivarono dei rifornimenti di latte e andammo avanti con quel latte non mi ricordo bene per quanto tempo.
Ingrao, lei si dichiara ancora comunista?
Sì!
E lei, Teresa Mattei?
Io non ho più il coraggio di dichiararmi comunista perché c'è una problematica più grande nella mia vita. Mi occupo di bambini e vorrei per loro un mondo dove non esistano più delle contrapposizioni così grandi. Ho imparato da loro a non stare da nessuna parte. Io ho una grande speranza nel mondo. Mi è tramontata la speranza nella politica militante. Dentro di me, ho ancora gli stessi valori, giustizia e libertà! Da Ingrao ho imparato la lentezza che vuol dire riflessione. La riflessione, il fermarsi l'indugiare è importante.
Lei è condannato all'impopolarità visto che si dichiara comunista ed è per la lentezza in un mondo frenetico
Sì, probabilmente.
Un'ultima domanda: che cosa è la treccia che deve fare il giro del mondo?
E' un'invenzione dei bambini. Volevano costruire una treccia con le rimanenze delle stoffe delle industrie tessili di Prato pensando alla pace. Siamo riusciti a raccogliere trecce da tutto il mon, dal Brasile, dall'India... Io credo nella creatività dei bambini. Negli anni '70 quando ho cominciato a lavorare con i bambini dei contadini delle campagne toscane ho scoperto una grande forza nella loro creatività.
La più giovane componente della Costituente cambierebbe qualcosa della Costituzione?
Ci sono due cose che vorrei cambiare: l'articolo 1, l'Italia è una Repubblica democratica basata sul lavoro; io avrei detto sulla giustizia e la libertà ed aggiungerei sulla solidarietà. Il lavoro non è un valore, è una necessità. Inoltre, nell'articolo 3 quando si parla di uguaglianza, nonostante le diverse razze, religione... Non è stata inclusa l'età. Non credo che i pensionati ed i bambini abbiano meno dignità di fronte allo stato data la loro età.
E lei Ingrao?
Io non sono d'accordo con Teresa sull'articolo 1. Un elemento costitutivo della nostra società è il lavorare. Poi sono intervenuti degli elementi che hanno accelerato e deteriorato la situazione.