C OME SI COSTRUISCE una classe dirigente: istruzioni per l'uso. Sembra semplice, in verità non ci sono ricette date una volta per tutte né regole valide ovunque. Se non quelle individuate già nel titolo della tavola rotonda che ha chiuso ieri il convegno promosso dal Pds sulla formazione e la costruzione delle classi dirigenti: "Etica collettiva e responsabilità individuale". Chi si aspettava un bignamino delle vicende italiane dal dopoguerra ai giorni nostri è rimasto deluso, come anche chi pensava che la discussione sarebbe ruotata attorno alla vicenda di Tangentopoli.
Presente come in una seduta spiritica, alla questione morale si alludeva, senza mai nominarla. Forse perché il tono è stato volutamente tenuto "leggero"; forse perché, in fondo, ormai non fa più comodo a nesuno rivangare un passato scomodo. Il risultato è stato che Umberto Eco, Angelo Panebianco, Luigi Berlinguer e Massimo D'Alema hanno preferito mantenere una mondana disinvoltura nella tavola rotonda, coordinata dal giornalista Gianni Riotta.
Sembrava di parlare di corda in casa dell'impiccato o, quantomeno, si avvertiva una singolare coincidenza tra l'interrogativo su forme e contenuti di una nuova leadership in un paese in via di profonda trasformazione e quello, strisciante ma identico, che riguardava proprio il nuovo partito. Affrontato così da D'Alema: "Si è completamente esaurito - ha detto - un certo modo di formare la classe dirigente attraverso le Case del popolo o l'Associazione cattolica. Se è vero - ha proseguito il segretario del Pds - che i partiti hanno dato una classe dirigente a un'Italia che non l'aveva, è anche vero che il declino dei partiti ha coinciso esattamente col progressivo asservirsi dei partiti a interessi e a spinte corporative".
Punto e capo, dunque? Non è così semplice: "Ci rendiamo conto - ha proseguito D'Alema - che il venir meno dei partiti ha prodotto una drammatica frattura non solo tra nord e sud, ma anche trasversalmente. Ha messo in moto pezzi di società che hanno preteso di autorappresentarsi". La conclusione che ne trae il leader del Pds non è però quella di ricostruire sedi e modi della formazione collettiva, quanto piuttosto quella di prendere atto della situazione qual è e "cercare di comunicare con questi pezzi". Purtroppo, conclude, "gli intellettuali non hanno capito, e lo chiamano inciucio".
E' stato anche ironico, D'Alema, con un pizzico di perfidia ha rampognato i "baroni" presenti alla tavola rotonda (Eco, Panebianco e lo stesso ministro Berlinguer) che usano nelle università preferibilmente il metodo della cooptazione piuttosto che quello, auspicabile, della competizione. E ha concluso, tra gli applausi di una sala gremita in ogni ordine di posti, con il suo leit motiv preferito: "Più si cerca l'accordo sulle regole, più è possibile liberamente litigare sui contenuti".
Umberto Eco ha denunciato di non avere ricette in tasca e ha preferito buttarla sul semiserio: "Cosa ci vuole per fare una classe dirigente? Un'aristocrazia che stia con lo stato, una borghesia colta e illuminata e almeno 4/500 anni di unità nazionale; se ci diamo da fare, entro trecento anni ce la faremo".
Panebianco, invece, si è preso molto sul serio, piangendo sulle misere sorti dell'Italia che ha istituzioni private e pubbliche deboli, uno stato debole, un'industria debole. Su chi puntare, allora? Per fortuna che i giovani aspiranti vanno a studiare all'estero, ha detto. Purtroppo, però, riprodurranno l'antico problema italiano: "La sensazione di estraneità dei cittadini nei confronti della classe dirigente".
Di Berlinguer vale la pena citare, per quanto possibile, l'intervento conclusivo del seminario tenuto nel pomeriggio. Alla raffica di domande e di dubbi attorno al suo progetto di riforma, Berlinguer ha risposto come ha potuto: "Nessuna selettività - ha detto - anzi consentire il recupero della perdita". Poi si scaglia contro i "Soloni di una superfetazione del classico" che lo accusano di proporre un progetto troppo "manuale": "Il lavoro come momento di educazione - dice riscaldandosi un bel po' - è nella tradizione del Pci. Rifiuto ogni rigurgito neo gentiliano".
Quanto alla mancanza di risorse, segnalata da molti come limite per una qualsiasi riforma, Berlinguer ha così risposto: "Non ci sto a contrapporre i ragazzi ai pensionati, ma voglio che siano i giovani stessi, futura classe dirigente, ad avanzare proposte di riforma dello stato sociale". Insomma, finora avete occupato le scuole per protestare, ha detto più o meno il ministro agli studenti, ora costruite un movimento che sia "vero riformismo". Ovazioni finali quasi da bis.