T ENERE delle scimmie antropoidi isolate in gabbie piccole come quelle del nostro zoo di Schonbrunn è una crudeltà che andrebbe punita dalla legge", così scriveva Konrad Lorenz. Correva l'anno 1949, e da allora, molto si è detto e ragionato sul cosiddetto "benessere animale", e su quali siano i limiti e le regole da rispettare nel rapporto con gli esseri non umani. Non si parla qui, delle situazioni di palese sofferenza, come quelle degli allevamenti intensivi o dei trasporti di bestiame. Ma di zoo e circhi, ovvero dei luoghi deputati, almeno nelle intenzioni, a qualcosa che assomigli a un rapporto di conoscenza e di gioco, di rispecchiamento, in qualche caso, tra uomini e animali. Ma che cos'è il "gioco", per gli animali? Noi giriamo la domanda all'etologo Enrico Alleva: "Il gioco è attività molto difficile da definire, e ne esistono differenti visioni. Una ha a che fare con l'esercizio fisico, quello del cucciolo che si impratichisce del proprio corpo. Un'altra è quella che gli inglesi definirebbero non goal directed, attività ludica senza scopo immediato".
Tutto questo ha a che fare il circo?
Forse nella fase di insegnamento, di addestramento, c'è qualcosa di simile, ma bisogna vedere come viene attuata. E' ben diverso addestrare un animale affamandolo, assetandolo e punendolo se non fa quel che pretende il domatore o invece premiandolo con un buon boccone se obbedisce. Ma queste pur importanti distinzioni fanno comunque i conti con un atto iniziale di violenza, quello di sottrarre un animale libero al proprio ambiente naturale. Non dimentichiamo che i circhi sono stati, almeno fino a un passato non troppo remoto, luoghi pressoché extraterritoriali di ricettazione di animali catturati in natura e spacciati per nati in cattività. Detto questo, va anche sottolineato che chi vive a stretto contatto con gli animali (ed è il caso degli addestratori dei circhi) ha spesso con essi un rapporto affettivo, magari distorto ma intenso.
Questo "rapporto distorto" non assomiglia a quello che si instaura con un cavallo addestrato a correre?
Il cavallo è un animale ormai addomesticato, l'ultimo dei grandi mammiferi ad aver incontrato l'uomo. Associarsi con lui lo ha salvato dall'estinzione. Nel cavallo, come in altri animali domesticati, c'è l'attitudine a vivere bene con gli umani. Ragionamento che non vale, ovviamente, per una tigre o un ippopotamo, anche se nati in cattività.
Ciò che abbiamo definito "rapporto distorto" è tuttavia una relazione, anche con connotati affettivi. Ma è sufficiente a giustificare la cattività?
Gli animali dei circhi e degli zoo sono esseri socialmente deprivati, e il rapporto con l'addestratore, nel circo, può essere un triste surrogato di relazioni "naturali". A questo proposito, credo che, rispetto a quello che si esibisce in pista, l'animale nella gabbia di uno zoo soffra di più, come è dimostrato dalle frequenti stereotipie e automutilazioni. E' comunque assai difficile valutare cosa sia la sofferenza animale (ovviamente non parlo dei casi evidenti di maltrattamento). Non la si può capire comparandola a parametri umani. I felini, ad esempio, in cattività fanno una gran quantità di figli. Però la riproduzione compulsiva può, in qualche caso, essere sintomo di malessere.
Torniamo al circo e all'uso degli animali...
In altre nazioni il circo con gli animali viene ormai considerato una sorta di oscenità. E dalle vicende italiane non si può non trarre la conclusione di una zoofobia di fondo, nel nostro paese. Attutita, certo, dalle campagne di Lav e Wwf. Ma perché non è possibile, da noi, quello che ho visto a Edimburgo? Un magnifico circo cinese, con tutti gli animali parodiati da uomini... L'Italia è a tutt'oggi un paese del sud d'Europa in cui si abbandonano migliaia di cani ogni anno.
Gli animali in gabbia possono morire, letteralmente, di noia. Come scrive Lorenz a proposito dei pappagalli...
La noia è stato un concetto considerato a lungo tipicamente antropomorfo e oggi esteso, con varie gradazioni, a moltissimi animali (non a tutti). E' diventato un problema: come rompere la noia degli animali? Prima di tutto di quelli da compagnia, che di compagnia ne hanno ben poca.
Tornando alla terribile noia dei pappagalli, lo zoo dovrebbe diventare un luogo in cui, oltre che custodire al meglio gli animali irrecuperabili alla vita selvatica, senza assolutamente acquisirne di nuovi, si possa insegnare che i pappagalli non vanno tenuti in gabbia, e che, se te ne offrono uno durante un viaggio in Brasile, non va comprato.
Può sopravvivere, allora, una funzione dei giardini zoologici?
C'è un certo mondo che vorrebbe che gli animali in gabbia sparissero per incanto, un mondo che vorrebbe bloccare il commercio illegale, e su questo siamo tutti d'accordo, ma che nega la realtà. Ovvero che ci troviamo oggi, qui e ora, con un patrimonio di animali selvatici ingabbiati da gestire, perché per la stragrande maggioranza di essi non è possibile la reimmissione in natura. La loro sofferenza va lenita in ogni modo. Non sempre è diseducativo, l'animale in gabbia... Ho vissuto per qualche anno con un allocco in casa. Si chiamava Cocò e me l'avevano portato con le penne di un'ala strappate. Provai in ogni modo, anche con trapianti, a fargliele ricrescere. Infine mi arresi, e oggi Cocò è ospite di un centro di recupero dal quale non potrà mai essere dimesso. Penso alle scimmie vissute a lungo in gabbia, che non possono essere liberate se non a rischio di morire in pochi giorni di stenti o divorate da predatori. Ma sistemate in un parco pubblico, su un isolotto, possono vivere in condizioni quasi naturali, relativamente "felici".
Dobbiamo decidere, una volta per tutte, che con certi animali l'unico contatto ammesso è quello televisivo?
La mostra sul lupo, organizzata a Roma lo scorso inverno, è un esempio di come si possano imparare tantissime cose su un animale, usando realtà virtuale, filmati, espedienti mutimediali raffinatissimi. E poi ci sono i viaggi e, soprattutto, il rapporto con gli animali che condividono il nostro habitat. Chi ha detto che un gorilla sia per forza più interessante del barbagianni che nidifica sotto il tetto di casa? Sono in tanti coloro che tornano da viaggi "esotici", estasiandosi di incontri con animali che vivono anche in città, nel giardinetto dietro l'angolo o appena fuori porta. Lo trovo sospetto, quel bisogno irrefrenabile di guardare negli occhi una pantera, se non si riesce a farlo con gli animali che vivono attorno a noi. E che hanno comunque bisogno della nostra attenzione, come noi della loro.