Manfredonia, l'altra faccia del cancro

DI LUZIO GIULIO

Manfredonia, l'altra faccia del cancro

Ventisette tumori accertati, ma nessuno interviene. L'Enichem e i suoi morti raccontati da un operaio

GIULIO DI LUZIO - MANFREDONIA

L O STABILIMENTO è ormai il fantasma di se stesso. Dei 430 lavoratori rimasti, trenta saranno prepensionati a fine anno, molti andranno in mobilità prolungata per tre anni, i rimanenti (circa cento) avranno un futuro incerto. Tutti sui cinquant'anni questi operai, quasi tutti prossimi alla pensione, ma soprattutto, molti, malati di cancro.

La notizia dei rinvii a giudizio al Petrolchimico di Porto Marghera è rimbalzata con una certa indifferenza a Manfredonia, tra gli operai e nel sindacato. Ormai non c'è più produzione, l'Enichem chiude i battenti (intenderebbe dismettere entro il '99) dopo aver compromesso la qualità dell'ambiente. Il sindacato, sul nodo della sicurezza, ha spesso preferito tirare a campare, e gli operai sono stanchi e delusi. Ma Nicola Lo Vecchio, 49 anni, tessera della Cgil in tasca, dal '71 in fabbrica a contatto con l'arsenico ed il toluolo (noti cancerogeni), non la pensa così.

Dimesso dal gennaio scorso per motivi di salute, rientra tra i 27 casi di neoplasia polmonare accertati tra i lavoratori foggiani. Una scoperta fatta grazie alle ricostruzioni storiche che ha avviato in fabbrica con l'aiuto di Medicina Democratica. Di questi 27 casi, 19 hanno già provocato la morte dei lavoratori. Ma Lo Vecchio non intende fermarsi di fronte al suo stato di salute, molto compromesso da un tumore primario ai polmoni e da due interventi chirurgici.

Una figura insolita quella di Lo Vecchio. Nel '94 ha avviato la sua ricognizione in fabbrica, dove la malattia e la morte degli operai sono state spesso usate dal sindacato per accrescere la sua forza contrattuale con la proprietà, ma mai per aprire vertenze specifiche o iniziative di lotta sul nodo della salute. Indifferenza che, spesso, c'era negli stessi lavoratori. "Perché quegli operai - spiega Lo Vecchio - avevano toccato il cielo con un dito. Tutti ritenevano di trovarsi molto aldilà di quanto si potesse realisticamente sperare", dice mentre illustra uno scenario sociale senza tradizioni di lotte operaie, sganciato dalla nuova realtà industriale che si andava consolidando con l'Enichem, a Manfredonia, negli anni '70.

La ricerca di Lo Vecchio è un lungo reportage dell'interno dei locali polverosi degli stabilimenti, portato avanti col metodo "porta a porta", chiedendo e ascoltando gli operai. Un'esperienza che lo accomuna a Gabriele Bortolozzo, operaio di Marghera e primo obiettore di coscienza ai cancerogeni, che ha condotto una ricerca analoga tra gli operai veneti. Figure che finiscono per diventare una sorta di memoria storica delle lotte operaie. E' così anche per Lo Vecchio, che ricorda la settimana di sciopero nell'81 contro le condizioni insalubri del reparto "insacco fertilizzanti": "Un'iniziativa dei lavoratori - precisa - appoggiata solo dopo dal sindacato, che ha mostrato scarsa sensibilità per il problema della sicurezza, lo ha sottovalutato, ritenendo la morte di alcuni operai quasi come una normale routine in un'azienda chimica".

"Prima il lavoro"

Le parole di Biagio Azzarone, responsabile dei chimici foggiani della Cgil, non sono certo di segno opposto: "Ci siamo trovati sempre sulla difensiva di fronte alla priorità dell'occupazione". Ritorna così il ricatto occupazione-salute, attraverso cui l'azienda ha potuto evitare controlli e vertenze a suo carico, grazie anche a "un sindacato - continua Lo Vecchio - che sulla salute ha fatto solo interventi-tampone, accordi palliativi per accontentare gli operai e mai un fronte di conflittualità con l'azienda". Azzarone preferisce invece elencare le diverse richieste avanzate all'Eni "per conoscere i prodotti nocivi stoccati e chiedere lo stato di aggiornamento dei libretti di rischio e sanitari. Ma l'azienda ci ha sempre ignorato perché ha paura che si ficchi il naso dentro i suoi affari". Stesso rifiuto davanti alla proposta del sindacato di istituire una commissione tecnico-scientifica prima dell'avvio delle operazioni di bonifica. I timori si rafforzano di fronte alla raccomandazione dell'anno scorso dell'Oms, ripresa dalla commissione del ministero dell'ambiente, di continuare la sorveglianza sull'area di Manfredonia, in seguito all'incidente del 26 settembre '76. Quando lo stabilimento e l'intera città furono interessati dall'esplosione, e dalla successiva dispersione nell'ambiente, di 10 tonnellate di arsenico.

Né mancano interrogativi sulla mancata istituzione dell'osservatorio epidemiologico a Manfredonia, pur previsto nell'89 da una commissione del ministero dell'ambiente. Non a caso il 10 ottobre la presidenza della commissione sanità del senato ha informato di aver chiesto l'audizione del ministro della sanità in relazione agli impegni assunti per l'istituzione di quell'osservatorio. Dubbi vengono anche da Medicina Democratica: "Come mai - si chiede Maurizio Portaluri, responsabile foggiano dell'associazione - le ricerche e i dati sui morti per tumori, a Marghera come a Manfredonia, provengono dagli operai e non dalle strutture sanitarie pubbliche"? Una domanda che fa da prologo a un annuncio: l'intenzione di Md di aprire una vertenza nazionale sul problema della salute in fabbrica e della compatibilità tra lavoro e salute.

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