Un'occasione perduta per la democrazia italiana

DE SIMONE CESARE

Un'occasione perduta per la democrazia italiana

Quello di Priebke è il caso giudiziario più sconvolgente del 1996. Nessun processo mostra così efficacemente i guasti della giustizia italiana

CESARE DE SIMONE - ROMA

E RICH PRIEBKE, 82 anni, moglie e due figli, ex capitano delle Ss sfuggito alla giustizia alla fine della guerra e trasformatosi in un tranquillo e stimato uomo d'affari a Bariloche, Argentina. Contro di lui la magistratura italiana aveva emesso ordine di cattura dal 25 novembre. Scovato e arrestato nel maggio 1994, estradato in Italia per l'accusa di "concorso in violenza con omicidio continuato in danno di cittadini italiani", come recita l'articolo 185 del codice penale militare: una dizione tecnica che non rende minimamente l'orrore delle colpe attribuite, ossia il carnaio delle Fosse Ardeatine nella Roma occupata del 1944.

Processato dal tribunale militare di Roma, che formalmente lo condanna ma di fatto lo assolve, concedendogli incredibili attenuanti e ordinandone la scarcerazione: una sentenza, nell'agosto '96, che solleva in Italia e nel mondo intero una vera e propria rivolta delle coscienze costringendo il governo ad intervenire sulla base delle sue legittime competenze per impedire che l'ex braccio destro di Herbert Kappler venga liberato. Il 15 ottobre la Corte di Cassazione annulla la sentenza del tribunale militare e ora il processo a Priebke va rifatto da capo.

Una scheda sommaria - quella che abbiamo premesso, tralasciando dettagli e corollari - a indicare i principali parametri del caso giudiziario più indicativo e sconvolgente del 1996. Non vi è dubbio infatti che nessun altro imputato, come Priebke, e nessun altro procedimento, come questo processo, abbiano costituito un banco di prova talmente sintomatico e definitivo delle carenze, dei guasti, dei ritardi della giustizia italiana.

Davanti al tribunale militare presieduto dal giudice Agostino Quistelli si è perduta - è l'elemento primario da considerare -quella che doveva e poteva essere una grande occasione, per l'intera democrazia italiana, di memoria e ricordo, rendendo giustizia alle vittime del nazifascismo e ai combattenti della Resistenza. come ricordano alcuni fra i massimi pensatori del '900 (Croce, Dewey, Gramsci) lo studio del passato, che è la storia, è il frutto di una ricerca che nasce dal bisogno dei popoli di chiarire i problemi dell'oggi. In altre parole, il presente non ha bisogno del passato se non in rapporto col futuro. Non si tratta solo di vivere il presente nel modo migliore, ma di cambiarlo; dunque una società avrà sempre bisogno di definire il proprio passato per definire il proprio avvenire.

E' questo spirito della storia - che è stato sconfitto, nell'aula del tribunale di viale delle Milizie, dove son stati fatti prevalere i cavilli, i ricorsi, le interpretazioni cieche e ottuse dei codici in una sorta di "Norimberga alla rovescia". Scriveva Thomas Mann nel 1945, riferendosi ai crimini del nazismo: "L'umanità vivrà per secoli con questo buco nell'animo". Ebbene: non c'è nessun buco nell'animo degli italiani, ha detto la sentenza d'agosto che liberava "quel povero vecchio" di Erich Priebke. Ed ecco evidenziata - è il secondo elemento da tener presente - quale abissale distanza intercorresse tra il concetto di giustizia che quella sentenza sottintendeva e i sentimenti reali di una nazione che ancora porta fiori, ogni giorno, sulle 335 tombe della Ardeatine.

Emblematica e inesorabile, la vicenda giudiziaria legata al nome di Erich Priebke che tuttora vede in azione allucinanti rimpalli di responsabilità fra procure militari e civili, in uno scaricabarile di competenze tecniche, ha posto via via l'accento su tematiche scottanti e delicate: il rapporto tra apparato giudiziario e potere politico; il ruolo dei servizi segreti occidentali nella complicità coi criminali nazisti in fuga dopo la guerra, per adoperarli in funzione anticomunista; il modo di "leggere" la giurisprudenza internazionale sui crimini di guerra; le distorsioni del revisionismo storico e le truffe della propaganda neofascista; la memoria dell'Olocausto; la capacità e la sensibilità dei mass-media di capire e di intervenire su queste tematiche.

Questo è stato il processo Priebke, occasione perduta di ribadire col linguaggio della giustizia non soltanto la condanna del nazifascismo ma anche i valori fondanti della Repubblica e delle sue istituzioni democratiche. E' forse questo il compito dei giudici? Certamente, quando - come in questo caso - la funzione stessa della giustizia (ricerca dei colpevoli e punizione dei reati) collima con i sentimenti di una nazione, con la morale collettiva dell'umanità stessa, con l'insegnamento della storia.

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