Swing del 2000

LORRAI MARCELLO

Swing del 2000

Alla Kongresshalle un Jazzfest postmoderno tra Evan Parker e Grappelli. In parallelo i concerti dell'etichetta Fmp

MARCELLO LORRAI - BERLINO

N ELL'AUDITORIUM della Haus der Kulturen der Welt, sembra di tornare all'atmosfera dei festival del jazz invernali che fino ai primi anni 70 si tenevano in rispettabili teatri italiani. Con la non trascurabile differenza che allora c'erano i Davis, i Mingus, i Mulligan eccetera mentre oggi al festival di Berlino di quel jazz si possono incontrare solo i fantasmi, che si aggirano fra tanti musicisti che disegnano uno scenario variamente ma nettamente "post". Così, quando poi su una sedia a rotelle viene spinto sul palco uno Stéphane Grappelli alle soglie dei novant'anni, è difficile non avere l'impressione di trovarsi di fronte ad un smagliatura spazio-temporale. Cosa che non impedisce al pubblico di alzarsi per una lunga "standing ovation". Non più in grado di reggersi sulle gambe ma ancora lucido e sufficientemente fermo nella diteggiatura e con l'archetto, col suo violino Grappelli, affiancato da due giovani collaboratori alla chitarra e al contrabbasso, ha romanticamente rinverdito le antiche glorie anteguerra dell'Hot Club de France: commovente e non patetico. Alla fine della sua oretta di concerto altro battimani, qualcuno è saltato sul palco a portargli dei fiori, qualcuno addirittura è corso a baciargli una mano.

La direzione artistica di Albert Mangelsdorff, una onorata carriera alle spalle come trombonista nel jazz d'avanguardia, non è evidentemente pro forma, perché si fa sentire nella sterzata del festival in direzione decisamente contemporanea. Poche proposte di grande richiamo, molti concerti. Del resto l'auditorium è praticamente sempre esaurito e a far quadrare i conti ci pensa la sponsorizzazione di una banca.Preponderante in cartellone il jazz europeo, e al suo interno maggioritario quello francese, rappresentato anche da un altro dei suo massimi esponenti storici, il pianista Martial Solal. Purtroppo in duo col violinista Didier Lockwood, qualche decennio e anche tanto gusto in meno di Grappelli: narcisista, molto sull'apparenza e poco sulla sostanza, e anche un po' gigione, non riesce a evitare trovate come l'uso di deprimenti effetti elettronici.

Al Jazzfest Berlin si è ascoltato anche il trio (un classico dell'improvvisazione radicale europea) di Evan Parker, Alex von Schlippenbach e Paul Lovens. Che sarebbe però stato di casa anche al Total Music Meeting -organizzato al Podewal: un locale di Berlino est, dalla Fmp, storica etichetta tedesca di free jazz - giunto alla sua 29a edizione. La manifestazione della Fmp si è concentrata su Steve Lacy e Cecil Taylor, affidando a loro due serate e mezzo a testa. La sua metà serata Taylor l'ha destinata ad un duo con uno dei maggiori batteristi del free jazz storico, Sunny Murray, duo che ha avuto però un esito non brillante anche per l'approccio un po' troppo "rumoroso" di Murray di fronte ad un Taylor non parossistico. Le altre due il pianista le ha invece sviluppate con un gruppo comprendente due musicisti europei a lui familiari, Harry Sjostrom, sax soprano, e Tristan Honsinger, violoncello, e sei musicisti americani, tutti bianchi, qualcuno giovanissimo, con cui collabora abitualmente, Chris Matthay, tromba, Chris Jonas, sax, Elliott Levin, tenore e flauto, Jeff Hoyer, trombone, Dominc Duval, contrabbasso, Jackson Krall, batteria. Nel free della formazione la regia di Taylor è evidente, come la sua capacità di costruire un climax straordinario innescando una sovrapposizione e un accumulo crescenti di frammenti individuali, e poi di mantenerlo, anche attraverso momenti di rasserenamento, in una sorta di catartica sospensione temporale.

Quello fra Cecil Taylor e la Fmp è l'incontro tra due casi più unici che rari di orgogliosa incorruttibilità, di superiore estraneità allo scorrere delle mode e all'ansia consumistica di "novità", di "inattualità" come fiducia nella permanente attualità della musica improvvisata. La love-story fra Cecil Taylor e la Fmp dura ormai da più di dieci anni. Nell'aprile dell'86 il grande pianista partecipa per la prima volta ad uno dei periodici appuntamenti berlinesi dell'etichetta. Non è che l'inizio. A cavallo fra giugno e luglio dell'88, la Fmp lo impegna addirittura per un mese, con un seminario, un workshop e ben 12 concerti, mettendolo fra l'altro a confronto in duo con un drappello di batteristi di punta dell'improvvisazione radicale europea, e affidandogli la guida di un'orchestra che, per la prima volta, è formata in stragrande maggioranza da strumentisti del vecchio continente. Dal quella manifestazione-monstre la Fmp ricava un cofanetto di una decina di cd, omaggio senza precedenti, nei confronti di un jazzman vivente, con cui nell'89 inaugura in grande stile la propria produzione in compact: Live in Berlin '88 si afferma di prepotenza come disco jazz dell'anno nel prestigioso referendum fra critici della rivista americana Down Beat.

Supporta il manifesto e l'informazione indipendente

Il manifesto, nato come rivista nel 1969, è sinonimo di testata libera, indipendente e tagliente.
Logo archivio storico del manifesto
L'archivio storico del manifesto è un progetto del manifesto pubblicato gratis su Internet e aperto a tutti.
Vai al manifesto.it